Cambiamento climatico, Enea: «Comunità microbiche sahariane sulle Alpi»
Migrazioni che non si possono fermare, provocate dal cambiamento climatico e dall’uso del suolo
[21 Marzo 2017]
Probabilmente, fin dal titolo, lo studio “Legal immigrants: invasion of alien microbial communities during winter occurring desert dust storms” potrebbe sollevare le preoccupazioni di Salvini per l’invasione di migranti alieni sulle Alpi, ma quelle di cui parla il team multidisciplinare di microbiologi, geologi, chimici e bioclimatologi di Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, Istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibimet-Cnr) e università di Firenze, Venezia e Innsbruck che hanno pubblicato lo studio su Microbome sono migrazioni provocate dal cambiamento climatico e dall’uso del suolo e che non si possono fermare: quelle dei microorganismi.
Il team interdisciplinare guidato da Tobias Weil (Fem), Duccio Cavalieri (università di Firenze) e Franco Miglietta (Ibimet-Cnr, Foxlab) che hanno coordinato esperti in geologia, ambiente, meteorologia, microbiologia e bioinformatica, ha studiato la carica microbica di uno tra i più intensi eventi di trasporto di polveri sahariane, quello che ha raggiunto le Alpi nel 2014, e spiega che «Questa grande tempesta ha depositato enormi quantità di polvere sahariana sulle Alpi dolomitiche che è stata poi sigillata tra strati di neve “pulita”. Ciò ha permesso una determinazione precisa di microrganismi associati alla deposizione. Nei campioni di neve raccolti su Marmolada e Latemar». I ricercatori hanno trovato prove che öle grandi tempeste di polvere possono muovere non solo frazioni, ma intere comunità microbiche (batteri e funghi) dalle aree sahariane all’Europa e che questo microbiota contiene molti organismi estremamente resistenti e in grado di sopravvivere in ambienti diversi».
I ricercatori spiegano che «L’idea di studiare un eccezionale evento invernale ha consentito di scoprire quasi intere comunità di microbi Sahariani, trasportate dal vento e congelate in uno strato di neve rosa, isolato sotto lo zero dagli strati precedenti e dai successivi. L’analisi delle firme genetiche dei batteri e funghi congelati e delle comunità microbiche dei suoli ha consentito di verificare che alcuni di questi microbi sahariani sopravvivono anche dopo lo scioglimento delle nevi, probabilmente perché presenti in grandi quantità. Quanto scoperto suggerisce che il cambiamento climatico e l’aumentata frequenza di questi eventi possa cambiare in modo significativo le comunità microbiche dei nostri suoli, trasportando intere comunità microbiche molto lontane».
Lo studio è stato reso possibile dalle moderne e sofisticate strumentazioni di ricerca: tra queste la metagenomica e biologia computazionale di Fem e gli autori dello studio hanno raccolto la sfida, lanciata dall’Onu, per l’implementazione di azioni di monitoraggio e protezione in materia di tempeste di sabbia e polvere dovuto a trasporto di lungo raggio e indicano «metodologie rapide ed efficaci per monitorare i rischi associati alla fusione di neve e ghiacciai contaminati da popolazioni microbiche che arrivano da lontano. Una strada per arrivare a sistemi efficaci di allerta precoce».
I ricercatori concludono: «Da quando tecniche di sequenziamento di ultimissima generazione hanno dato all’uomo la possibilità di vedere microorganismi senza coltivarli su piastra, ma identificandoli direttamente dalla “firma” del DNA, si è scoperto che i batteri e i funghi sono in tutti gli ambienti, inclusa l’aria, le nubi e il vento».