Australia: far diventare velenosi i marsupiali per salvarli dai gatti rinselvatichiti
Una capsula con un veleno naturale al quale sono immuni i piccoli marsupiali
[26 Aprile 2017]
In Australia stanno sperimentando una nuova tecnologia che potrebbe fornire qualche speranza nella lotta contro i milioni di gatti rinselvatichiti che stanno sterminando la fauna autoctona. Australian Geographic spiega come funziona: viene impiantata una capsula piena di veleno nei marsupiali, facendoli così diventare tossici – e mortali – per i gatti.
La capsula, simile a un microchip, viene impiantata, non provocando loro alcun danno, sotto la pelle dei piccoli marsupiali predati dai gatti e la tecnologia è stata sviluppata e testata da un team di ricercatori e studenti guidato dal biologo David Peacock di Biosecurity South Australia e dal chimico Anton Blencowe, dell’università del South Australia.
Peacock spiega che, grazie a un pH 7, la capsula resta sotto la pelle e non si degrada, permettendo così agli animali di vivere tranquillamente. Le cose cambiano se il marsupiale viene attaccato e mangiato da un gatto rinselvatichito: la capsula, «una volta raggiunta l’ambiente gastrico più acido, rilascia il suo contenuto, che sarà molto probabilmente veleno 1080. Non vogliamo che i nostri animali muoiano, ma se lo fanno, vogliamo far fuori il predatore».
La capsula velenosa funziona anche con le volpi, un altro mammifero invasivo introdotto dall’uomo in Australia e che ha un pesante impatto sulla fauna autoctona, ma Peacock, che ha lavorato anche come ranger in un Parco Nazionale, dice che la predazione da parte di gatti è uno dei problemi più grandi affrontati nei programmi di reintroduzione di animali autoctoni: «Tutti conoscono il problema, ma nel nostro cassetto degli attrezzi abbiamo pochissimi strumenti per tenere sotto controllo i gatti. E grossi gatti possono causare “predazione catastrofiche” – riuscendo a uccidere più animali – e l’arrivo di uno solo di loro può distruggere tutto il tuo programma».
Peacock ammette che questa soluzione, che probabilmente farà rabbrividire molti animalisti, «Non è la pallottola d’argento, ma è uno strumento che speriamo saremo in grado di utilizzare con altri strumenti. Anche se riducessimo la predazione del 10%, farebbe una grande differenza».
Per il suo dottorato di ricerca in ecologia, Peacock ha studiato molte specie autoctone che vivono nel sud-ovest della Western Australia, compreso il numbat – e che sembrano prosperare in quel territorio mentre altrove sono estinte. Secondo il ricercatore, la fauna autoctona della regione si ciba di piante tossiche come i Gastrolobium, quindi diventano velenosi e se i gatti – domestici o rinselvatichiti – li predano o mangiano parti di questi animali, muoiono avvelenatii.
Il veleno dei Gastrolobium, comunemente conosciuta come 1080, si trova in un certo numero di specie autoctone di piselli, concentrate soprattutto nel sud-ovest dello Stato australiano, e attualmente viene utilizzato ampiamente nelle esche avvelenate per eliminare volpi e gatti rinselvatichiti, dato che è un composto ideale: i marsupiali autoctoni hanno sviluppato la tolleranza al veleno, mentre i predatori introdotti dai colonizzatori bianchi sono molto sensibili alla sua elevata tossicità. «Ma i gatti hanno palati più esigenti – avverte Peacock – Potete mettere in una zona delle esche che li potrebbero uccidere, ma spesso scelgono di non mangiarle».
Ed è qui che entra in gioco l’impianto sottocutaneo che può essere utilizzato negli animali autoctoni di tutta l’Australia. «Sono specializzato nell’utilizzo di biomateriali per applicazioni mediche – spiega a sua volta Blencowe su Australian Geographic – quindi per me è davvero emozionante espandersi in una nuova area. Il polimero è simile a quello che usiamo per contenere l’olio di fegato di merluzzo, che ha un sapore davvero pessimo. Veniva utilizzato bevendolo, ma ora lo si mette in una capsula rivestita con un polimero, in modo da non assaggiarlo, e l’olio viene rilasciato solo quando è nel vostro stomaco».
La produzione iniziale delle capsule velenose è stata inizialmente un processo ad alta intensità di manodopera, Blencowe e i suoi studenti sono stati in grado di produrre solo tre capsule al giorno, ma grazie a un finanziamento della Foundation for Australia’s most endangered species (Fame) hanno potuto acquistare un macchinario per accelerare il processo e renderlo uniforme e possono essere prodotte centinaia, forse addirittura migliaia, di capsule al giorno da inserire sotto la pelle dei marsupiali. E’ stata anche avviata una campagna di crowd-funding per raccogliere 30.000 dollari e avviare la pèrodizione per realizzare test su vasta scala sul campo, per determinare la sua efficacia e sicurezza.
I ricercatori sottolineano che le capsule verranno iniettate sotto pelle con una piccola siringa sterile, che può essere facilmente trasportata sul campo per impiantare le capsule con facilità durante l’osservazione di routine delle specie autoctone.
Anche se il progetto è nelle sue fasi iniziali, già molte y persone e agenzie statali e federali australiane hanno espresso interesse per il possibile utilizzo del nuovo prodotto in una serie di programmi di reintroduzione in tutta l’Australia.
Peacock conclude: «E ‘eccitante, per tutti noi che lavoriamo in questo campo, che mettiamo il cuore in tutto quel che facciamo e amiamo gli animali e che cerchiamo di rendere il mondo un posto migliore quando lo lasceremo. E spero che questo ci aiuti ad avere più animali autoctoni con i programmi di reintroduzione nel bush».