Amianto, cresce la produzione di rifiuti in Italia ma gli impianti per gestirla sono sempre meno
La quota smaltita è salita in un anno del 16,9%, ma nel mentre è sparita una discarica: adesso sono solo 21 per tutto il Paese. E 145mila tonnellate vengono spedite (a caro prezzo) in Germania
[17 Luglio 2017]
La scia di inquinamento, malattia e morte che comporta la presenza dell’amianto nel nostro Paese è ben lontana dall’esaurirsi. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Ona – Osservatorio nazionale amianto, le necessarie bonifiche non saranno completate – procedendo al ritmo attuale – prima del 2102, mentre le morti asbesto correlate continueranno per altri 130 anni. Come mai, se l’odiato amianto è stato messo al bando ormai 25 anni fa? A spiegarlo con dovizia di dati è l’Ispra, che al tema dedica un focus specifico all’interno del suo XVI Rapporto sui rifiuti speciali, pubblicato oggi.
L’emergenza amianto in Italia «non solo non è conclusa ma, al momento – aggiunge l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – sembra mostrarsi in uno stadio fortemente attivo. Ciò è dovuto essenzialmente al lungo periodo di latenza, anche quarant’anni, per la comparsa della sintomatologia all’esposizione e alla non eliminazione della possibile esposizione in ambito occupazionale, ambientale e domestico».
Difatti, i ritmi di questa «non eliminazione» sono più che blandi. Ad oggi, le stime sulla presenza di amianto nel Paese oscillano tra le 32 e le 40 milioni di tonnellate, ma le bonifiche scarseggiano. «I rifiuti contenenti amianto prodotti in Italia nell’anno 2015, sono pari a 369 mila tonnellate», dettaglia l’Ispra, mentre quelli effettivamente smaltiti nell’anno sono ancora meno, pari «a 227 mila tonnellate», il 54,2% delle quali «viene smaltito al Nord, il 29,5% al Centro e 16,3% al Sud».
Dal 2014 al 2015 un timido segnale di miglioramento è avvenuto: la quota smaltita di rifiuti contenenti amianto è aumentata del 16,9%, con Lombardia e Toscana a rappresentare le regioni più virtuose: entrambe con circa 60mila tonnellate smaltite nel 2015 (sebbene, a confronto con il 2014, in Lombardia la quantità smaltita è aumentata del 47,3%, mentre in Toscana è diminuita del 19,6%). Per sommo paradosso, però, a fronte di un piccolo passo avanti ne è stato segnato uno all’indietro su un fronte già critico, ovvero la cronica mancanza degli impianti sul territorio necessari a smaltire in sicurezza l’amianto.
Nonostante dallo stesso ministero dell’Ambiente (e da associazioni ambientaliste come Legambiente) indichino come uno dei principali ostacoli al superamento dell’emergenza amianto in Italia stia nella mancanza di discariche adatte a gestirlo in sicurezza, il «numero totale delle discariche operative che smaltiscono rifiuti contenenti amianto, nell’anno 2015» è calato di 1 unità: adesso sono soltanto 21 per tutto il Paese (17 classificate come discariche per rifiuti non pericolosi e 4 per rifiuti pericolosi), 9 delle quali al Sud, 7 al Nord e 5 al Centro. Pochissimi impianti dunque, e ancor meno volumetrie libere: «In particolare, per 12 impianti su 21 il volume totale autorizzato per le sole celle dedicate/monodedicate all’amianto, risulta pari a circa 2,5 milioni di mc, mentre la capacità residua al 31/12/2015, disponibile per 9 impianti su 21, è pari a circa 740 mila mc». Non è un caso dunque se nel 2015 sono state esportate ben 145mila tonnellate di rifiuti contenti amianto italiano, dirette quasi tutte nella civilissima Germania, pronta ad accoglierle – profumatamente pagate – nelle proprie miniere dismesse.
L’asbesto non è un materiale demoniaco, sembrano sottolineare dall’Ispra, ma un «minerale a base di silicati» per il quale la normativa ha già individuato le migliori modalità di gestione: ovvero, lo smaltimento in «discarica per rifiuti pericolosi, solo se dedicata o dotata di cella dedicata, o in «discarica per rifiuti non pericolosi, dedicata o dotata di cella monodedicata», a seconda dei casi e delle tipologie di rifiuto. A 25 anni dal bando, è imprescindibile capire che siamo di fronte a una scelta: bonificare e gestire in sicurezza l’amianto tramite risorse e impianti adeguati, oppure continuare pericolosamente a conviverci.
Un pericolo in cui siamo tutti coinvolti, come ricorda l’Ispra dettagliando alcuni settori e impieghi dove in passato «si è fatto largo utilizzo di questo minerale». Nell’industria, come isolante termico in cicli industriali (es. centrali termiche, industria chimica), come isolante termico in impianti (es. frigoriferi e di condizionamento); materiale di coibentazione di carrozze ferroviarie, autobus e navi. In edilizia, nelle coperture sottoforma di lastre piane o ondulate; in molti manufatti quali tubazioni, serbatoi, canne fumarie; nei pannelli per controsoffittature. Perfino dentro le nostre case, in alcuni elettrodomestici (es. forni, stufe, ferri da stiro); nei tessuti ignifughi per arredamento (es. tendaggi, tappezzerie); nei tessuti per abbigliamento (es. giacche, pantaloni, stivali).
L. A.