Goletta Verde: smantellare le piattaforme petrolifere
Il dossier #Dismettiamole: 136 le piattaforme offshore, 53 concessioni o permessi di ricerca
[7 Agosto 2017]
In occasione del suo passaggio lungo le coste emiliano-romagnole, Goletta Verde ha lanciato il dossier #Dismettiamole (in allegato), mettendo al centro della sua mobilitazione il tema della dismissione delle piattaforme petrolifere dai mari italiani e sottolineando che «In Italia sono 136 le piattaforme offshore per l’estrazione di petrolio e gas ripartite in 53 diverse concessioni di coltivazione o permessi di ricerca: 96 di queste strutture ricadono entro le 12 miglia mentre 43 sono oltre il limite delle acque territoriali. Delle 136 piattaforme in questione, 9 sono definite non produttive, 8 sono di supporto alla produzione di altre piattaforme e ben 119 risultano invece produttive. In tutto sono 710 i pozzi definiti produttivi su un totale di 730 installati».
Su Goletta Verde spiegano che «Il dossier nasce dalla convinzione che il gioco portato avanti da molte delle compagnie petrolifere operanti nei mari italiani sia più incentrato sul posticipare il momento in cui una buona parte delle strutture presenti dovrà essere dismessa (con il ripristino delle aree da parte delle compagnie), che non sulla estrazione e produzione di idrocarburi».
Già nel maggio 2016 Legambiente aveva inviato una lettera di diffida al ministero dello sviluppo economico e per conoscenza al ministero dell’ambiente e a tutti gli enti competenti,nella quale sottolineava che «Diversi titoli abilitativi, per lo più localizzati entro la fascia delle 12 miglia, fossero da rivedere e da controllare accuratamente per determinarne l’eventuale non compatibilità con le normative di settore, con conseguente revoca del titolo e obbligo di ripristino e bonifica delle aree da parte delle società titolari».
Nella lettera gli ambientalisti chiedevano anche allo Stato di «esercitare un ruolo chiaro e attivo sul decommissioning delle piattaforme offshore, ritenendo non solo necessario inquadrare la gestione delle concessioni entro una strategia di decarbonizzazione della nostra economia, ma anche urgente intervenire sulla moltitudine di piattaforme presenti entro le 12 miglia, molte delle quali scarsamente o affatto produttive e per il 47% sprovviste di Valutazione di impatto ambientale».
Partendo da questi presupposti, Legambiente sottolinea che «L’attività di decomissioning si dovrebbe poi estendere ad una serie di impianti, molti dei quali praticamente fermi, attraverso una rigorosa valutazione ambientale ed economica. Per fare tutto questo servirebbe però un piano trasparente di intervento per il ripristino integrale delle aree sfruttate dalle aziende petrolifere. Già nel 2016 Legambiente aveva individuato ben 38 piattaforme e 100 pozzi come possibili di smantellamento e, a distanza di un anno, la convinzione che la maggior parte di queste strutture sia sostanzialmente inutile ed improduttiva è confermata anche dall’analisi del 2017. Solo 4 piattaforme già individuate lo scorso anno nel frattempo hanno ripreso una parvenza di attività e produttività (Morena 1, Davide 7, Clara NW e Bonaccia NW). Per le altre 34 piattaforme ed i relativi pozzi invece nulla è cambiato. Inutili erano all’ora, ed inutili sono rimaste».
Il tratto di costa maggiormente interessato è quello che va dall’alto Adriatico fino alle coste dell’Emilia Romagna con 75 piattaforme, seguito dal medio Adriatico con 46,9 nel canale di Sicilia e 6 nello Ionio. Il 90% delle piattaforme (123) è adibita all’estrazione di gas mentre solo 13 estraggono petrolio. Il loro contributo, in termini quantitativi di gas e petrolio estratto secondo i dati del 2016, è pari al 6% del fabbisogno del nostro Paese di gas ed al 1,2% di quello di petrolio. Proprio in Emilia Romagna insiste una criticità, a Lido Dante, dove la piattaforma Angela Angelina, con le sue estrazioni di gas a ridosso della costa, concorre all’abbassamento della costa, fenomeno che ha raggiunto livelli allarmanti. A tal riguardo, il sindaco di Ravenna, Michele De Pascale, ha annunciato l’accordo preso con ENI per una chiusura anticipata della piattaforma. Un accordo che al momento si limita alle dichiarazioni a mezzo stampa, ma di cui non si conoscono ancora tempistiche ed eventuali aspetti operativi.
Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente, sottolinea che «Al di là dei numeri, delle classificazioni e delle considerazioni riteniamo che la valutazione sulla persistenza nei nostri mari di alcune infrastrutture estrattive, nonché la proroga delle concessioni, non possa e non debba essere svincolata da criteri di utilità e tutela dell’ambiente marino. In particolar modo prestando attenzione in termini di apporto al sistema energetico nazionale, gettito fiscale per i territori interessati, ricadute occupazionali ed ovviamente in termini di sostenibilità ambientale. Le strutture individuate e riportate nel nostro dossier #Dismettiamole, su cui siamo fermamente convinti che fino ad ora non rispondano ad alcuno di questi interessi specifici, sono un potenziale pericolo in termini di tutela ambientale, per la navigazione, nonché una limitazione di attività alternative in quei tratti di mare. Parliamo di piattaforme ferme da molto tempo, mai entrate in funzione o che estraggono quantità di idrocarburi del tutto irrilevanti. Per tutti questi impianti crediamo che la concessione di risorse pubbliche, a fronte di benefici per la collettività prossimi o pari allo zero, sia chiaramente ingiustificata. In molti casi si tratta di impianti vetusti e costruiti anche in assenza della necessaria procedura di Via, il cui “futuro industriale” appare pregiudicato anche da un fattore di obsolescenza e capacità estrattiva, nonché di sicurezza, rispetto a impianti più moderni».
Legambiente ricorda che «Le piattaforme sono delle attività industriali a tutti gli effetti con tutti gli impatti e i rischi connessi. La valutazione di “ipotesi alternative” di utilizzo delle piattaforme, come già si sta valutando in alcuni casi, deve essere, secondo Legambiente, necessariamente subordinata alla definizione di linee guida univoche, rigorose e trasparenti per le procedure di individuazione e quantificazione della contaminazione presente nell’area e per i conseguenti interventi di risanamento e smantellamento delle strutture. Come avviene per i siti contaminati sulla terraferma, per cui le norme impongono, prima di destinarli ad una eventuale re-industrializzazione o ad altri utilizzi, che si seguano precise procedure di caratterizzazione, bonifica e risanamento delle aree. Una volta definiti questi aspetti, e solo allora, si potranno prendere in considerazione eventuali eccezioni, fermo restando la necessità di definire le competenze e le responsabilità per la gestione della struttura rimanente, nonché della sostenibilità (ambientale ed economica) dell’eventuale alternativa allo smantellamento».