America Latina, un futuro di guerre, sempre petrolio, come in Medioriente?
I casi del Venezuela e del Nicaragua, mentre si ignora quel che succede in Honduras
[5 Settembre 2017]
Le notizie dal Venezuela che tutti leggiamo sono preoccupanti per il futuro di tutta l’America Latina, e le trovo confermate e rafforzate dalle fonti e notizie locali che raccolgo in questi mesi in Nicaragua dove mi trovo per progetti di Cooperazione con impianti di energia rinnovabile. Partiamo da un da alcuni dati di fatto.
Il Venezuela è il paese al mondo con le maggiori riserve di Petrolio “dimostrate”: 297 Miliardi di barili contro i 267 Miliardi dell’Arabia Saudita (Fonte: CIA World Factbook). Quindi nei prossimi decenni il Venezuela sarà “la nuova Arabia Saudita” dal punto di vista delle risorse, e forse “il nuovo Iraq”, dal punto di vista geopolitico, come ha Twittato Julian Assange che è persona certamente molto informata (per es. più della Cancelliera Markel che ha saputo solo grazie a Wikileaks di essere intercettata dai Servizi Usa).
Gli Usa sono ora terzo produttore mondiale di petrolio e primo di gas, ma con gli attuali ritmi di estrazione esaurirà in poco più di un decennio tutto il suo petrolio e gas ora conosciuto. Tra circa 11 anni il petrolio e tra 14 il gas (Fonte di area Enel). Questo significa un oggettivo ed estremamente serio problema per i futuri approvvigionamenti energetici Usa.
Poteva puntare sulle energie rinnovabili che nelle enormi distese delle praterie centrali (il “middle west”) hanno con il vento un potenziale letteralmente immenso anche per un paese che consuma e sperpera moltissima energia, contribuendo ad affrontare il cambiamento climatico. Ma tirandosi fuori dall’accordo sul clima di Parigi e nominando a Segretario di Stato di Rex Tillerson, ex CEO di Exxon, Trump ha chiaramente fatto la scelta del petrolio, delegando (di fatto) ad Exxon la sua politica energetica come quella estera, puntando inevitabilmente alle immense risorse del vicinissimo Venezuela (la politica estera).
Vi è una comprensibile logica: Exxon è infatti la quarta compagnia petrolifera al mondo (prima viene quella dell’Arabia Saudita, seconda quella Iraniana, terza la Cnpc Cinese), ed è di gran lunga la prima negli Usa (la seconda negli Usa, Chevron è solo decima al mondo). La Exxon ha quindi un ruolo centrale per approvvigionare del Paese, tanto più che Exxon Mobil è il secondo titolo a maggiore capitalizzazione quotato alla Borsa Usa dopo Apple. Una situazione un poco simile a quella Italiana dove sono l’Eni e l’Enel che “fanno” la politica energetica e quella estera (l’Eni), con la differenza che Enel ed Eni sono controllate dallo Stato Italiano, e questo rende in qualche modo più comprensibile tale delega, ma pure con la differenza che negli Usa questa “delega” è di fatto “trasparente” ed evidente, mentre in Italia no.
Ora l’America Latina inizia ad essere direttamente coinvolta da questa nuova (vecchia) politica estera Usa: nel twittter di Assange vi è pure un video di Russia Today in cui il direttore della Cia Mike Pompeo dichiara di aver discusso con il Messico e la Colombia per coordinare iniziative comuni nei confronti del Venezuela.
Se è legittimo per un Paese criticare un altro Paese e cercare alleanze con alti Stati della regione (Messico e Colombia), il fatto che questa “nuova” politica estera Usa di Trump in America Latina attivi prima tra tutti la Cia e non la Segreteria di Stato (Ministero degli esteri) ripercorre le vecchie politiche Usa nell’America Latina e crea le condizioni per fare del Venezuela e di tutta l’area un nuovo Iraq (e Siria), e col preciso obbiettivo di controllare le maggiori risorse petrolifere mondiali, e così andando a rinnovare una storia piena di golpe, torture e desaparesidos e riportando un intero continente indietro di un secolo.
Semplificando le politiche di Tramp sembra quindi che replicheranno quelle di Bush junior in Medioriente, con il rischio di destabilizzare un intero continente, con Stati che collassano (potenzialmente il Venezuela) e poi la disperazione di milioni di profughi. In questi 20-30 anni di progressiva pacificazione, finiti quasi totalmente i golpe e le guerriglie, in America Latina ci sono stati seri ed importanti progressi nella riduzione della povertà e ridistribuzione della ricchezza, che sono i primi parametri a cui guardare, insieme ai diritti civili; ma all’opposto anche con la diffusione e l’estensione drammatica delle mafie e del loro potere e di una corruzione che non è purtroppo diminuita nonostante al potere sia andata una nuova classe dirigente (in teoria di sinistra). Caso esemplare il Brasile, di gran lunga il più importante Paese dell’area, dove l’ex presidente Lula (icona sbiadita dei campesinos brasiliani – sin tierra), sarebbe coinvolto in modo pesante in una sistematica corruzione con Petrobras, guarda caso l’azienda petrolifera Brasiliana.
Nicaragua: in questi mesi si segnalano una serie di eventi che riguardano le relazioni tra Usa e Nicaragua, a partire dal “Nicaragua Act”, provvedimento approvato il 27 Luglio dalla Commissione affari esteri della Camera degli Stati Uniti, che se approvato da entrambe le Camere porterebbe al divieto di qualsiasi prestito da parte degli organismi di credito multilaterali al Nicaragua. Nella parte introduttiva della proposta di legge si sottolinea la preoccupazione degli Stati Uniti, oltre che per la qualità del processo elettorale nicaraguense, per la limitazione delle libertà civili e politiche nel paese centroamericano da quando, nel 2006, Daniel Ortega è stato eletto presidente del Nicaragua.
Il Nicaragua Act sta comprensibilmente creando molte preoccupazioni in Nicaragua, a partire dal mondo finanziario e Imprenditoriale: al momento, la sola Banca interamericana di sviluppo, Bid, e la Banca mondiale prestano annualmente al Nicaragua circa 250 milioni di dollari destinati a programmi e progetti di investimento, che corrisponderebbero a circa il 63% dei finanziamenti internazionali al Nicaragua e il rischio di blocco dei finanziamenti all’economia locale è indubbiamente serio. Curioso notare inoltre che se approvato in via definitiva, il Nicaragua Act potrebbe forse impedire di alla Bei, e dunque all’Unione Europea, di finanziare progetti in Nicaragua, dato che tali fondi passano attraverso le Istituzioni Internazionale come la Banca Mondiale e la Bid.
Occorre attenersi ad informazioni e dati affidabili per una valutazione il più possibile corretta.
Il primo elemento riguarda le motivazioni del Congresso USA che parlano di “processo elettorale nicaraguense, per la limitazione delle libertà civili e politiche nel paese”, mentre il rapporto degli osservatori dell’Osa (Organizzazione degli Stati Americani), in occasione delle elezioni in Nicaragua del 2011, affermava sostanzialmente l’opposto: che “nonostante alcune previsioni di possibili tensioni …. il carattere pacifico con cui le elezioni generali si sono svolte nel paese centroamericano” e che “il contesto normativo entro il quale le elezioni hanno avuto luogo contiene procedure affette da imperfezioni che esistono dal 1996”, quando era stato eletto Arnoldo Alemàn (Partito Liberale Costituzionalista), a cui era succeduto Enrique Bolaños (Alleanza Liberale Nicaraguense), tutti esponenti di partiti differenti e ora di opposizione.
Se dunque l’Osa aveva dato una valutazione che sostanzialmente smentisce il Congresso Usa, è utile guardare ad altri indicatori relativi a democrazia e diritti civili, e confrontandoli con quelli di tutti gli altri 6 Paesi dell’America Centrale per capire se il Nicaragua nel Centro America sia comunque il Paese con i maggiori “rischi per la democrazia e le libertà” (come sembra affermare il Congresso Usa), o meno.
Rispetto alle liberta civili propriamente dette, per l’Economist Intelligence Unit (Istituto di ricerca che lavora per istituzioni e grandi aziende) l’Honduras (che nel 2010 ha avuto un colpo di stato) è il Paese con la situazione più grave nell’America Centrale; per la libertà di stampa, secondo Reporter senza frontiere, il primato negativo spetta sempre all’Honduras. Rispetto ai tassi di violenza, omicidi ogni 100.000, abitanti (il primo diritto civile è quello di non venire ammazzato), secondo l’Unidc – Nazioni Unite , abbiamo sempre l’Honduras che registra valori altissimi con 83 morti ammazzati ogni 100.000 abitanti (contro gli 8 del Costarica e 11 del Nicaragua!), mentre il Comitato interbancario di Basilea nel suo indice sul riciclaggio e il fnanziamento al terrorismo indica che di gran lunga il peggiore nell’area è Panama. Insomma, i Paesi che più dovrebbero preoccupare rispetto alla democrazia, le libertà civili, il terrorismo e mafie, sono altri.
Aggiungo uno sguardo agli indici di povertà che sono fondamentali rispetto ai diritti sociali e la dignità umana: l’ultimo rapporto realizzato con la collaborazione della Banca centrale del Nicaragua e della Banca mondiale, ha evidenziato una forte riduzione nel periodo 2009-2014 (con l’attuale governo). La povertà generale (ossia di coloro che fanno fatica a far fronte ai bisogni più elementari), è scesa in modo veramente importante, dal 42,5 al 29,6%, mentre la povertà estrema è diminuita dal 14,6 all’8,3%.
Una povertà ben percepibile agli occhi dei sempre più numerosi turisti Europei e nordamericani, se solo vogliono interessarsene e “guardarla in faccia”, insieme ad un sempre maggiore benessere ostentato e consumismo di una classe media in forte crescita: tutto all’opposto di quanto mi sembra faccia il Congresso Usa, di un Paese dove la classe media è oramai sull’orlo della povertà secondo il Libro “Guai ai Poveri, la faccia triste dell’America” del Gruppo Abele di Don Ciotti, con un percentuali di poveri salita al 33%, e quindi superiore a quella Nicaraguense!, e del 6,6% di povertà estrema, appena poco di meno che in Nicaragua!, mentre erano solo del 3,3% nel 1976.
Se comunque nel suo complesso gli indicatori di democrazia e diritti civili in Nicaragua non sono i peggiori nell’area, e questo non significa certo che tutto va per il meglio, le “attenzioni” degli Usa preoccupano anche nel Paese, parliamo infatti di una Nazione storicamente oggetto di molte “attenzioni non gradite” da parte degli Usa che un secolo fa lo occupò militarmente per ben venti anni; fino alla più recente, quelle dei Contras per cui gli Usa furono condannati con sentenza del 1986 dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aia per aver organizzato e finanziato quello che non si può definire altro che “terrorismo” (dei Contras) che devastò il Paese per oltre dieci anni.
Il Nicaragua è insomma un Paese ancora poverissimo e con problemi ancora pesanti, ma con un’evoluzione che è certamente positiva anche se con pesanti ed evidenti contraddizioni. In ogni caso l’eventuale isolamento finanziario minacciato dal Congresso Usa sicuramente farebbe ritornare il Paese ai livelli drammatici di povertà estrema e diffusa da cui sta faticosamente uscendo, oltre ad inasprire la già forte contrapposizione politica interna e il già eccessivo livello di demagogia e populismo, caratteristica questa non più tipica dei soli Paesi latinoamericani (pensiamo al peronismo); Usa ed Europa su questo terreno non sono infatti secondi a nessuno.
Ritornando al Venezuela e all’intera America Latina, tra pessimismo della ragione e ottimismo della speranza occorre sperare che la previsione di Assange su di un “nuovo Iraq”, venga smentita dai fatti.
di Lorenzo Partesotti per greenreport.it