Gas serra, preoccupante gap da colmare per rispettare l’Accordo di Parigi
Unep: impegni per solo un terzo di quanto necessario per evitare i peggiori impatti del cambiamento climatico
[31 Ottobre 2017]
Secondo l’ottavo “’UN Environment’s Emissions Gap report” appena pubblicato a Ginevra, le cose non vanno per niente bene e «I governi e gli attori non statali devono attuare ancora una crescita urgente della loro ambizione ne per garantire che gli obiettivi dell’accordo di Parigi siano soddisfatti».
Il rapporto dell’United Nations environment programme (Uneep) viene pubblicato in vista della Conferenza delle parti Unfccc che si terrà a Bonn e sarà molto scomodo per i partecipanti, visto che n mette sul tavolo dei negoziati cifre che dimostrano che «Gli impegni nazionali portano solo a un terzo della riduzione delle emissioni richieste entro il 2030 per raggiungere gli obiettivi climatici, con l’azione privata e subnazionale che non stanno aumentando ad un tasso che contribuirebbe a chiudere questo preoccupante gap».
L’Unep ricorda che «L’accordo di Parigi cerca di limitare il riscaldamento globale a meno di 2à C, mettendo anche sul tavolo un obiettivo più ambizioso di 1,5° C. Raggiungere questi obiettivi ridurrebbe la probabilità di gravi impatti climatici che potrebbero danneggiare la salute umana, i mezzi di sussistenza e le economie di tutto il mondo». Ma allo stato attuale delle cose, «anche la piena attuazione senza condizioni e condizionamenti delle Nationally Determined Contributions rende molto probabile un aumento della temperatura di almeno 3° C entro il 2100, il che significa che i governi devono fornire impegni molto più forti quando verranno rivisti nel 2020». E se gli Usa dovessero dar seguito alla loro dichiarata intenzione di abbandonare l’Accordo di Parigi nel 2020, il quadro sarebbe ancora peggiore.
Tuttavia, l’ Emissions Gap report presenta modi pratici per ridurre le emissioni grazie alle azioni di attenuazione che si stanno diffondendo rapidamente, basate sulle opzioni già esistenti per quanto riguarda l’agricoltura, gli edifici, l’energia, la silvicoltura, l’industria e i trasporti. Potrebbero contribuire in modo efficace anche strumenti climatici come il Kigali Amendment al protocollo di Montreal per gli idrofluorocarburi, e altri inquinanti climatici di breve durata, come il black carbon.
Il capo dell’Unep, Erik Solheim, evidenzia che «Un anno dopo l’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi, ci troviamo ancora in una situazione in cui non stiamo facendo abbastanza per salvare centinaia di milioni di persone da un futuro misero. Questo è inaccettabile. Se investiamo nelle tecnologie giuste, assicurandoci che sia coinvolto il settore privato, possiamo ancora mantenere le promesse fatte ai nostri figli per proteggere il loro futuro. Ma dobbiamo farlo subito».
Nel 2014 le emissioni di CO2 sono rimaste stabili, grazie soprattutto alle energie rinnovabili, in particolare in Cina e India e questo aveva suscitato speranze che le emissioni avessero raggiunto il picco per poi poter scendere dal 2020. Ma il rapporto avverte che «Altri gas serra, come il metano, stanno ancora aumentando e la spinta globale della crescita economica potrebbe facilmente rimettere le emissioni di CO2 in una traiettoria verso l’alto».
Il Gap report ritiene che gli attuali impegni presi a Parigi potrebbero fare in modo che nel 2030 le emissioni di raggiungano da 11 a 13,5 gigatonnellate equivalenti di anidride carbonica (GtCO2e) in più di quanto è necessario per restare sulla strada meno costosa per raggiungere l’obiettivo di 2° C. Una giga tonnellata equivale più o meno a un anno di emissioni dei trasporti nell’Unione europea, arerei compresi. Dato che sono disponibili nuovi studi, si è scoperto che il gap delle emissioni da colmare nel caso dell’obiettivo 1.5° C è da 16 a 19 GtCO2e più che le precedenti stime.
Il ministro dell’ambiente e dell’energia del Costa Rica, Edgar E. Gutiérrez-Espeleta, che presiede la 2017 UN Environment Assembly, sottolinea che «L’Accordo di Parigi ha rafforzato l’azione climatica, ma il momentum è chiaramente in bilico. Ci troviamo di fronte a una scelta essenziale: aumentare la nostra ambizione, o subirne le conseguenze».
L’Unep è convinta che per evitare di non centrare gli obiettivi di Parigi, «i governi (aggiornando anche i loro impegni di Parigi), il settore privato, le città e gli altri devono urgentemente di intraprendere azioni che porteranno a tagli più profondi e più rapidi» e il rapporto illustra i modi per farlo, in particolare òer aquanto riguarda agricoltura, edifici, energia, silvicoltura, industria e trasporti e dice che «Gli investimenti tecnologici in questi settori – a un costo di investimento inferiore a 100 dollari per tonnellata di CO2 evitata, spesso molto inferiori – potrebbero far risparmiare fino a 36 GtCO2e all’anno entro il 2030». In tutti questi settori, gran parte del potenziale deriva dagli investimenti nelle energie solare ed eolica, da elettrodomestici e auto efficienti, dal rimboschimento e dallo stop alla deforestazione. Concentrandosi solo sulle azioni consigliate in questi settori – che hanno costi modesti o negativi netti – si potrebbero tagliare fino a 22 GtCO2e entro il 2030 de da soli questi risparmi metterebbero il mondo sulla strada giusta per centrare l’obiettivo dei 2° C ed aprire davvero la possibilità di mantenere l’aumento delle temperature globali entro gli 1,5° C.
Ci sono poi le azioni climatiche promesse da organismi non statali e subnazionali (come le città e il settore privato) che potrebbero ridurre il gap delle emissioni previsto per il 2030. L’Unep ricorda ancora che le 100 più grandi impfrese inquinanti del mondo rappresentano da sole un quarto delle emissioni globali di gas serra, dimostrando così che ci sono enormi spazi per un loro maggiore contributo. L’’emendamento di Kigali al Protocollo di Montrealche punta a eliminare l’uso e la produzione di idrofluorocarburi – sostanze chimiche utilizzate principalmente per gli isolanti dei condizionatori la refrigerazione e le schiume – se attuato con successo, anche se non potrà influenzare il gap del 2030, potrà dare un reale contributo al raggiungimento degli obiettivi delle temperature a più lungo termine.
Nel riassunto del rapporto si legge che «Entro la metà secolo, le riduzioni degli inquinanti climatici a breve durata, come il black carbon e il metano, potrebbe contribuire a ridurre gli impatti basati sull’accumulo di calore e contribuire a garantire una traiettoria delle temperature costante e più bassa verso gli obiettivi a lungo termine di Parigi».
Ma, nonostante le promesse, le cose non filano per niente lisce. L’Unep evidenzia che i Paesi del G20 si sono impegnati per rispettare gli obiettivi sul clima di Cancun per il 2020, ma fa notare che «questi impegni non creano un punto di partenza sufficientemente ambizioso per soddisfare gli obiettivi di Parigi. Anche se il 2020 è proprio dietro l’angolo, le nazioni del G20 possono ancora intraprendere azioni che portino a riduzioni a breve termine e aprire la strada a ulteriori cambiamenti nel corso del prossimo decennio». Tra queste azioni ci sono quelle di evitare di costruire nuove centrali elettriche a carbone e di accelerare la graduale eliminazione di quelle esistenti, garantendo un’attenta gestione di problemi quali l’occupazione, gli interessi degli investitori e la stabilità della retea. L’Unep rivela che « Nel mondo ci sono circa 6.683 centrali elettriche a carbone operative, con una capacità combinata di 1.964 GW. Se questi impianti vengono utilizzati fino alla fine della loro vita e non venissero completati con la Carbon Capture and Storage, emetterebbero un accumulo di 190 Gt di CO2. All’inizio del 2017 erano in costruzione ulteriori 273 GW di capacità a carbone e 570 GW in pre-costruzione. Queste nuove centrali potrebbero portare a ll’accumulo di ulteriori emissioni per circa 150 Gt di CO2». Dieci Paaesi – Cina, India, Turchia, Indonesia, Vietnam, Giappone, Egitto, Bangladesh, Pakistan e Corea del sud – rappresentano circa l’85% delle nuove centrali a carbone.
Il rapporto esamina anche l’assorbimento della CO2 dall’atmosfera attraverso l’imboschimento, il rimboschimento, la gestione forestale, il ripristino delle terre degradate e l’aumento del carbonio del suolo.
Inoltre, un nuovo rapporto pubblicato sempre oggi dalla 1 Gigaton Coalition dimostra che i partner che sostengono progetti di energia rinnovabile ed efficienza energetica nei paesi in via di sviluppo possono tagliare 1,4 GtCO2e entro il 2020, a condizione che la comunità internazionale rispetti la sua promessa di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad adattarsi al cambiamento climatico e a ridurre le loro emissioni.
La coalizione di 1 Gigaton è sostenuta da UN Environment e dal governo norvegese e intervenendo alla presentazione del Gap Report a Ginevra, Ine Eriksen Søreide, ministro degli esteri della Norvegia, ha detto: «Dato che l’energia rinnovabile e l’efficienza energetica offrono altri vantaggi, inclusi il miglioramento della salute umana e posti di lavoro, esorto la comunità internazionale a fornire i finanziamenti promessi a sostenere le nazioni in via di sviluppo nell’azione climatica. I progetti e le politiche in materia di energie rinnovabili e di efficienza energetica sostenute dai partner sono essenziali per la decarbonizzazione globale, in quanto forniscono risorse fondamentali e creano ambienti abilitanti in regioni critiche».
L’Unep conclude: «I benefici di una società low-carbon sull’inquinamento globale – ad esempio, tagliando ogni anno milioni di inquinanti legati all’inquinamento atmosferico – sono chiaramente illustrati in Towards a pollution-free planet, un rapporto del direttore esecutivo dell’UN Environment che sarà presentato alla prossima United Nations Environment Assembly. Il rapporto prevede un quadro ambizioso per affrontare l’inquinamento, anche attraverso la leadership politica, spostandosi verso il consumo e la produzione sostenibili e investendo alla grande nello sviluppo sostenibile».