Il presente e il futuro della geotermia (toscana e non) secondo Riccardo Basosi
Le emissioni legate alle centrali geotermoelettriche dell'Amiata e le loro ricadute su ambiente e salute, spiegate dall’autore del noto studio del 2014
[19 Gennaio 2018]
Nel corso degli ultimi giorni abbiamo avuto modo di approfondire temi legati alla coltivazione della geotermia, soprattutto per quanto riguarda il contesto toscano e dell’Amiata in particolare. Durante il nostro lavoro abbiamo ritenuto utile rifarci alle dichiarazioni recentemente rilasciate (nel settembre 2017) da Riccardo Basosi – Ordinario di Chimica Fisica e Prorettore all’Energia presso l’Università di Siena – alla redazione di GeotermiaNews, all’interno della quale vengono spiegati tra gli altri i temi dell’ormai noto studio del 2014 (poi parzialmente aggiornato nel 2015)“Environmental impact of electricity from selected geothermal Power Plants in Italy” firmato da Basosi e Bravi: le emissioni legate alle centrali geotermoelettriche toscane e le loro ricadute su ambiente e salute. Per una panoramica più ampia sul tema, riportiamo di seguito la versione integrale dell’intervista.
Autore di oltre 270 lavori su riviste internazionali ad alto impatto su temi di chimica fisica e di energetica, Riccardo Basosi (Ordinario di Chimica Fisica e Prorettore all’Energia presso l’Università di Siena e Rappresentante italiano permanente nel Programma Energia di Horizon 2020) ha avuto modo di occuparsi anche di geotermia. In particolare, sull’applicazione alla geotermia dell’analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessment, LCA) per studiarne l’impatto. Nel 2014 Basosi è autore (con il suo collaboratore Mirko Bravi) di un articolo pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Journal of Cleaner Production dal titolo “Environmental impact of electricity from selected geothermal Power Plants in Italy” che ha suscitato molta attenzione nel mondo scientifico e nella società civile.
A partire dalla serie di dati ARPAT sulle emissioni di gas incondensabili delle centrali geotermoelettriche amiatine dal 2002 al 2009, la pubblicazione scientifica mette in comparazione i potenziali impatti da esse derivanti, in termini di riscaldamento globale, acidificazione e tossicità umana, con quelli causati dalla produzione elettrica attraverso l’utilizzo di fonti fossili: gas naturale e carbone.
Sin dalla pubblicazione, lo studio è stato oggetto di contrapposte interpretazioni (talvolta non esenti da strumentalizzazione politica) da parte di comitati di cittadini e ENEL, a prescindere dalle intenzioni essenzialmente scientifiche degli autori. L’articolo, infatti, aveva come obiettivo principale quello di fornire informazioni utili circa gli impatti a livello atmosferico della produzione di elettricità nelle centrali amiatine, che utilizzano la tecnologia flash. Queste informazioni sulle emissioni effettive risulterebbero infatti utili ad identificare quali soluzioni tecnologiche implementare per prevenire o ridurre tali impatti, anche in vista di una possibile futura intensificazione della generazione di elettricità da fonte geotermica.
In questa intervista, cerchiamo di fare chiarezza con il Prof. Basosi sul significato dei risultati dello studio del 2014, anche alla luce di quali potrebbero essere gli aggiornamenti ed approfondimenti futuri di un tema così importante.
Sappiamo delle battaglie che ha dovuto fare nella sua veste di rappresentante italiano per Horizon 2020 e per il SET Plan a favore della ricerca in geotermia. Qual è adesso la situazione ai tavoli di lavoro internazionale?
«Il lavoro a Bruxelles sia in H2020 che nel SET Plan è giustamente e fortemente influenzato dai risultati della COP21 di Parigi del dicembre 2015. In tale sede la quasi totalità della comunità internazionale ha deciso di provare a limitare ben al di sotto dei 2 gradi l’aumento di temperatura (al 2030) conseguente all’emissioni climalteranti, in particolare dovute all’anidride carbonica. Peraltro, per quanto si possa essere soddisfatti del fatto che in meno di un anno l’accordo sia diventato un trattato internazionale (mentre per il Protocollo di Kyoto ci sono voluti 7 anni e mezzo), si dovrebbe ricordare che gli impegni presi dai 187 paesi trascurano ancora la allocazione di 14 miliardi di tonnellate di CO2, di cui dobbiamo sbarazzarci velocemente se vogliamo rispettare l’obiettivo dei 2 gradi. È evidente all’intero mondo scientifico che tale obiettivo può essere raggiunto soltanto sviluppando efficienza energetica e le fonti rinnovabili in sostituzione di quelle fossili. A questo scopo tutte le fonti non fossili (secondo me ad esclusione dell’energia nucleare che presenta problemi di altro tipo, legati alla eccessiva durata delle scorie e al loro smaltimento) vanno sviluppate con le tecnologie più pulite possibili.
La mia battaglia nel Comitato Energia a Bruxelles per la geotermia rientra in questo quadro e l’impegno è stato massimo sia per tener conto di una storica tradizione nazionale sia perché ritengo che la geotermia, fra le fonti rinnovabili, sia una di quelle le cui potenzialità sono per ora meno sfruttate e che ha bisogno di forte innovazione tecnologica, ad esempio con la re-iniezione dei gas che oggi sono oggetto di emissione, per renderla più pulita e quindi fruibile dalla collettività.
Il mio impegno si è focalizzato, con qualche successo, sul finanziamento di progetti geotermici a basso impatto, mentre altri paesi sostenevano soluzioni tecnologiche in un’ottica più “produttivistica”».
Eppure, nonostante le battaglie ambientali di cui si è fregiato e che ancora sta portando avanti per assicurare a questa fonte energetica tutte le risorse necessarie a supportare una ricerca scientifica e tecnologica all’altezza delle proprie potenzialità, la sua voce come ricercatore ha avuto spesso dei tratti critici, tanto da essere spesso citato da coloro che la geotermia la osteggiano.
«Le affermazioni scientifiche, se sostenute dal rigore metodologico, non si prestano alle interpretazioni politiche. Sfido chiunque a trovare nei miei scritti una sola frase nella quale mi dichiaro contrario alla fonte geotermica. Questo non mi impedisce di criticare tecnologie ambientalmente inadeguate se ritengo che si possa fare meglio.
Io penso – e lo dico spesso nelle mie conferenze – che l’unica energia pulita è quella che non si consuma, ovvero quella risparmiata. Quindi al primo posto c’è il recupero dell’efficienza energetica sia elettrica che termica. Per quanto concerne le fonti energetiche, tutte hanno un qualche impatto. Naturalmente hanno impatti diversi e in una scala di qualità le peggiori sono le fonti fossili. Anche tra le rinnovabili è possibile definire una scala di qualità: per esempio, l’eolico ha talvolta impatti visivi che lo rendono inadatto a determinati contesti; e lo stesso può valere per il solare fotovoltaico che eviterei di mettere sulla cupola del Duomo di Firenze. Per inciso, un sito eolico significativo a Firenze sta proprio fra il Duomo e il Battistero ed è il motivo per cui quelle alte funzioni religiose e civili sono lì collocate: fresco d’estate e caldo d’inverno. Ma non ci metterei un aerogeneratore.
In conclusione, la valutazione su quale fonte energetica utilizzare, per tutte le fonti e anche per le rinnovabili, deve derivare da un’analisi costi/benefici e si deve puntare sulla minimizzazione dell’impatto, che non è mai nullo, sull’annullamento dei rischi sanitari e sull’ottimizzazione del processo energetico. Nel caso della geotermia mi pare evidente che si sia ancora lontani dall’aver ottenuto un risultato pienamente soddisfacente. Per esempio, le potenzialità offerte dagli usi plurimi anche termici non mi pare che siano sfruttate in modo adeguato, con un’attenzione eccessiva al vettore più pregiato che è quello elettrico.
Concludendo, non credo esista una soluzione definitiva ai problemi energetici e penso che ogni fonte di energia, in particolare se rinnovabile, meriti di essere usata nel contesto storico-geografico che ne permetta il migliore sviluppo delle potenzialità».
A questo riguardo quali sono gli aspetti più delicati della geotermia?
«Premettendo che la geotermia è una risorsa preziosa e, quando disponibile, dovrebbe essere sempre utilizzata, è necessario implementare tecnologie adeguate che minimizzino il più possibile la pressione sull’ambiente di questa attività, anche a discapito degli aspetti economici se necessario.
Relativamente all’uso della fonte geotermica, infatti, la sostenibilità economica ed energetica possono essere migliorate collegando alla produzione di elettricità anche gli usi diretti del calore a cascata. Nel caso specifico delle centrali geotermoelettriche amiatine, il nostro studio ha ipotizzato che potrebbero essere realizzati impianti ad emissioni molto più contenute. Tuttavia, siamo consapevoli delle limitazioni tecnologiche dovute alle condizioni sito-specifiche della risorsa, che rendono di difficile applicazione tecnologie alternative e meno invasive (per esempio i cicli binari o i sistemi misti flash-binario). La completa reiniezione degli incondensabili in contesti simili a quello amiatino (campi geotermici con alta percentuale di incondensabili, pressioni e temperature elevate) che tenga conto anche di aspetti legati alla sostenibilità economica di tali soluzioni dovrebbe essere una delle principali sfide che la ricerca tecnologica del settore geotermico dovrà affrontare nel prossimo periodo».
Nello studio del 2014 è stato preso in considerazione il quadro emissivo delle centrali geotermoelettriche amiatine, facendo riferimento ai dati ARPAT dal 2002 al 2009, mentre su QualEnergia nel 2015, in un aggiornamento dello studio, sono state considerate anche le emissioni al 2010 sempre prendendo in considerazione le 3 categorie di impatto (riscaldamento globale, acidificazione e salute dell’uomo). Prendiamo in considerazione il riscaldamento globale, ovvero le emissioni di CO2 eq dalle centrali. Nello studio del 2014, l’emissione di gas serra per ogni kWh prodotto dalle centrali amiatine è paragonabile a quella di una centrale di pari potenza alimentata da fonti fossili. Ritiene che tali valori emissivi contribuiscano significativamente, rispetto alle emissioni regionali e globali di gas serra?
«Dovrebbe essere compreso meglio se le emissioni di CO2 e di altri gas ad effetto serra dalle centrali geotermoelettriche abbiano un impatto significativo o meno sulle emissioni totali a livello regionale. Di norma, non sono preoccupato dei livelli quantitativi, dato che rispetto alle emissioni a livello globale, il rilascio di gas serra di origine geotermica è ritenuto trascurabile anche dall’IPCC. Il nostro lavoro però, si preoccupava di affermare per la prima volta che non si trattava di quantitativi irrilevanti o nulli come molti pensavano o veniva proclamato da fonti interessate».
Per quanto invece riguarda il potenziale di acidificazione, questa sembra essere la tipologia di impatto che dà risultati più critici, rispetto alle altre due. Tuttavia, a seguito all’installazione avvenuta nel 2014 della centrale di Bagnore 4 e del parziale ammodernamento tecnologico di Bagnore 3, il quadro emissivo di idrogeno solforato dalle due centrali sembra essere in diminuzione. Le due centrali infatti sono collegate e costituiscono il profilo tecnologico di riferimento per le centrali geotermoelettriche in Toscana. A questo proposito, pensa che un aggiornamento dello studio, includendo anche le emissioni degli ultimi 2 anni, possa dare risultati differenti per quanto riguarda l’acidificazione?
«Risulterebbe sicuramente interessante lavorare con le serie di dati ARPAT a partire dal 2014. Già nell’aggiornamento parziale del nostro studio, pubblicato sul numero 3/2015 di QualEnergia, le emissioni di idrogeno solforato rilevate nel 2010 (1.742 ton/anno) risultavano in diminuzione rispetto a quelle del 2007 (2.492 ton/anno), ma non quelle di ammoniaca (4.334 ton/anno nel 2010 contro le 3.132 ton/anno del 2007). Gli ammodernamenti di Bagnore 3 e la costruzione di Bagnore 4 hanno parzialmente modificato gli scenari emissivi degli incondensabili, adesso resta tuttavia da capire come questi cambiamenti abbiano ripercussioni su acidificazione, riscaldamento globale e tossicità umana».
Queste conclusioni possono escludere il rischio di tossicità sulle popolazioni amiatine, legato alle emissioni complessive di non condensabili dalle centrali geotermoelettriche?
«Il potenziale di tossicità rilevato nel nostro studio non presentava valori preoccupanti. Inoltre è già da diversi anni in corso un attento monitoraggio da parte dell’ARS (Agenzia Regionale di Sanità) che nonostante abbia rilevato alcune criticità sulla salute in Amiata rispetto ad altri contesti toscani, non ha ad oggi evidenziato correlazioni significative con l’attività geotermica. Nonostante ciò, risulterebbe interessante determinare quanto particolato fine di origine secondaria(PM 10 e PM 2,5) si origina dalle emissioni di NH3 e H2S emessi dalle centrali geotermoelettriche amiatine. In particolare per quanto riguarda i fluidi geotermici nella concessione di Bagnore, che presentano una percentuale più elevata di ammoniaca rispetto alle altre centrali. Resta ancora da approfondire l’eventuale incremento di fenomeni di acidificazione dell’ambiente nelle vicinanze degli impianto, ma ci stiamo lavorando».
Lo studio del 2014 prende in considerazione le emissioni dalle centrali geotermoelettriche legate esclusivamente alla loro fase operativa. Crede che uno studio volto a considerare anche gli impatti potenziali su altre matrici ambientali (ad esempio il suolo), possa dare risultati interessanti?
«Vorrei precisare che il nostro studio, nato da pura curiosità scientifica, è stato finoraautofinanziato e che per qualunque sviluppo futuro si renderebbe necessaria una committenza, preferibilmente pubblica, data la delicatezza dei temi in gioco. Noi per ora abbiamo considerato che gli impatti delle emissioni legate alla realizzazione di una centrale (principalmente costruzione centrale e perforazione pozzi) possano essere trascurati, se rapportati ai 25 anni di esercizio di una centrale e considerando che anche le centrali alimentate a combustibile fossile hanno costi di impianto di ordine di grandezza simili. Tuttavia una ricerca volta ad analizzare tutti gli impatti della produzione di elettricità, con approccio LCA (dalla culla alla tomba), darebbe risultati più facilmente comparabili con la generazione elettrica da fonte fossile. Inoltre questo consentirebbe di mettere a confronto gli impatti generati dalla produzione di elettricità con le differenti tecnologie utilizzabili all’interno delle centrali geotermoelettriche».
Si potrebbero ipotizzare scenari emissivi simili a quelli amiatini rilevati nel vostro studio anche nel caso di utilizzo di fluidi geotermici in altri territori con potenziale vocazione geotermica?
«Dovrebbero essere fatti degli assunti, ma la grande variabilità delle caratteristiche dei fluidi e delle condizioni geologiche tra un serbatoio geotermico e l’altro portano, se non ad escludere, almeno a considerare improbabili scenari emissivi simili in altri territori. Tuttavia lo stesso approccio utilizzato nel nostro studio potrebbe essere applicato anche in altri territori geotermici e portare ad un mappaggio completo».
Alla luce degli studi condotti dal suo gruppo di ricerca, quali tecnologie crede che potrebbero avere effetti sulla riduzione delle emissioni delle centrali geotermoelettriche in Toscana?
«Beh, sicuramente l’installazione, dove possibile, di tecnologie che riducano l’emissione degli incondensabili avrebbe effetti positivi sull’ambiente. La ricerca tecnologica in ambito geotermico dovrebbe orientarsi sullo sviluppo di impianti con re-iniezione totale degli incondensabili anche in contesti complessi come quello amiatino, pur in presenza di temperature e pressioni elevate. Si vedano al riguardo le esperienze di ORMAT, società israeliana leader mondiale nella costruzione di impianti a ciclo binario.
Nei loro documenti viene riportato che la loro tecnologia può lavorare con una percentuale di gas incondensabili fino al 15%. Inoltre, viene dichiarato che i loro impianti hanno una potenza da 250 kW fino a 130 MW lavorando con fluidi con temperatura compresa tra 95°C e 315°C, e una pressione compresa tra 1,5 e 25 bar).
L’installazione dei sistemi AMIS (Abbattimento Mercurio Idrogeno Solforato) su tutte le centrali ha sicuramente portato benefici ambientali, ma qual è ad oggi il profilo tecnologico di riferimento più avanzato disponibile dal punto di vista ambientale? Occorre che gli organismi di controllo pubblici possano entrare nel merito di questo tema, seppur delicato dal punto di vista della riservatezza delle informazioni dei soggetti industriali coinvolti, magari avvalendosi delle competenze esistenti nelle Università pubbliche del sistema toscano».
Quale assetto tecnologico crede che possa essere il migliore per uno sfruttamento della risorsa geotermica, per produzione di energia elettrica?
«Dovrebbe essere sviluppata una tecnologia che tenga in considerazione in particolare le questioni ambientali e sociali, piuttosto che esclusivamente aspetti di natura economico/finanziaria. Oltre ad una riduzione della pressione di questa attività sull’ambiente, questo consentirebbe anche di superare o attenuare le preoccupazioni sociali e politiche che finora hanno rallentato lo sviluppo nell’utilizzo di una risorsa particolarmente preziosa a livello nazionale e soprattutto per i territori dove essa si trova.
Ho avuto modo di incontrare, su loro richiesta, alcuni dei referenti dei comitati che si oppongono ad un ulteriore sviluppo della geotermia sull’Amiata. Dal confronto, molto civile, credo di aver chiarito loro che io sono da sempre un fautore di uno sviluppo della geotermia che tenga conto delle esigenze delle popolazioni e dell’ambiente. Tuttavia, in un’ottica di promozione della diversificazione dell’approvvigionamento energetico che favorisca le fonti energetiche rinnovabili, non posso che auspicare una maggiore presenza di questa risorsa nel pacchetto energia del nostro paese e a scala europea, non solo per la produzione elettrica, ma anche per le pompe di calore ad uso civile e per gli usi termici che meglio si prestano allo sfruttamento territoriale locale».
Il suo gruppo di ricerca sta quindi considerando la possibilità di approfondimenti rispetto allo studio del 2014?
Abbiamo fatto alcuni aggiornamenti e siamo giunti ad analizzare anche i dati del 2014, prima dell’installazione di Bagnore 4. Tuttavia il mio gruppo di ricerca avrebbe intenzione di effettuare degli approfondimenti nei prossimi mesi, almeno fino al mio previsto pensionamento, per raggiunti limiti di età, dall’Università di Siena, il prossimo 31 ottobre. Poi, se i miei collaboratori vorranno continuare la ricerca, e se lo chiederanno, non farò loro mancare, da privato cittadino, il mio contributo di idee e di esperienza nell’interesse della collettività toscana.