Anche il livello di disuguaglianza del reddito è «tra i più alti in Europa»
Benessere equo e sostenibile, Istat: sulla sostenibilità l’Italia è ferma al 2013
«Il nostro sistema economico non è riuscito a fare passi avanti riducendo in modo apprezzabile il prelievo di risorse e le emissioni di gas climalteranti»
[10 Marzo 2021]
A dieci anni dall’avvio del pioneristico progetto sul Benessere equo e sostenibile, nato per offrire una panoramica sullo sviluppo del Paese più articolata e realistica rispetto al solo andamento del Pil, l’Istat ha presentato oggi l’VIII edizione del rapporto Bes. Purtroppo le buone notizie sono poche, anche prima che arrivasse la pandemia ad innestare la retromarcia su elementi cruciali per il benessere come povertà e speranza di vita.
Covid-19 ha infatti annullato «completamente nel Nord e parzialmente nelle altre aree del Paese» l’evoluzione positiva della speranza di vita alla nascita guadagnata tra il 2010 e il 2019: il dato al Nord si ferma ad 82 anni nel 2020, contro gli 83,9 dell’anno precedente. Drammatica anche la stima preliminare sulla povertà assoluta, che nel 2020 conta oltre 5,6 milioni di cittadini – con un’incidenza media pari al 9,4%, dal 7,7% del 2019 – ovvero il valore più elevato dal 2005. Ma si tratta di problemi preesistenti, che la pandemia ha acuito: ad esempio il livello di disuguaglianza del reddito, misurato dal rapporto tra il reddito posseduto dal 20% più ricco della popolazione e il 20% più povero, resta «stabile a 6 punti per i redditi del 2018, rimanendo comunque tra i più alti in Europa e segnalando quindi una distribuzione del reddito profondamente diseguale».
In questo contesto, come accade ormai da molto tempo a rimetterci di più sono i giovani: nel secondo trimestre 2020 sale al 23,9% la quota di giovani di 15-29 anni che non studiano e non lavorano (Neet), e in Italia l’aumento è stato più accentuato rispetto al resto d’Europa, accrescendo ulteriormente la distanza col resto del continente (+6% nel secondo trimestre del 2010, +10% nel 2020).
In compenso, guardando alle tematiche ambientali, l’indicatore di insoddisfazione per il paesaggio del luogo di vita (associato alla percezione diretta del degrado) segna nel 2020 un netto miglioramento, registrando il valore più basso dal 2014 (19,2%) e al contempo cresce una consapevolezza – per quanto sui generis – della cittadinanza: è ormai dal 2015 che la preoccupazione per gli effetti dei cambiamenti climatici cresce «in modo costante», toccando oggi il 70% dei cittadini (contro i 58,7% del 2014). Ad aumentare è anche la preoccupazione per la perdita di biodiversità, espressa nel 2020 dal 24,3% della popolazione di 14 anni e più.
Guardando alle performance di sostenibilità, però, il Paese nel suo complesso non sembra rispondere affatto a questa preoccupazione.
Preoccupa la biodiversità, ma «l’insieme delle aree protette terrestri copre il 21,6% del territorio nazionale, un valore invariato dal 2012».
Preoccupa anche il clima, ma nel 2019 le emissioni di gas serra per abitante erano ancora pari a 7,1 tonnellate di CO2eq contro le 7,5 del 2015 (e il contributo delle famiglie, è del 25,7% contro il 22,2% del 2008). Anche per il consumo di materiale interno (Dmc), che «rappresenta la pressione esercitata dal sistema economico sull’ambiente», prosegue la fase di stabilità che dura dal 2013. Anzi: «Nel 2018, sono state consumate 489,9 milioni di tonnellate di materiale, l’1,7% in più rispetto all’anno precedente». Sul significato di questa stasi è molto chiara: «Il confronto degli andamenti dei due indicatori di pressione – spiega l’Istat – permette di documentare come, a partire dal 2013, il nostro sistema economico non sia riuscito a fare ulteriori passi avanti in direzione della sostenibilità, riducendo in modo apprezzabile il prelievo diretto di risorse interne e le emissioni di gas climalteranti». Idem per quanto riguarda le rinnovabili, che avanza a passo di lumaca: «Nel 2020, la produzione da fonti rinnovabili fa registrare un incremento di circa l’1%, dovuto principalmente all’aumento della produzione di energia fotovoltaica».
Eppure ormai i parametri “ambientali” sono decisivi per misurare la sicurezza e il benessere della popolazione umana, prima ancora che quelle della natura.
Mentre «la spesa pubblica per cultura e paesaggio resta tra le più basse d’Europa in rapporto al Pil (0,4% nel 2018)», il clima italiano si surriscalda sempre più velocemente – nel 2020 le temperature minime e massime registrano scarti di +0,9 °C e +1,3 °C rispetto al periodo di riferimento 1981-2010 – e circa il 13% della popolazione vive in aree a rischio idrogeologico e «la crescente frequenza di eventi climatici estremi, e in particolare di precipitazioni intense e localizzate, non fa che accentuare tale rischio». Tutto questo ha già ricadute assai concrete sotto il profilo della sicurezza: nel 2020 le vittime da dissesto idrogeologico sono state 3.078, circa dieci volte tante rispetto a tutti gli omicidi registrati nel 2019 (315).