Anche i nostri cani contaminano l’acqua. Test Usa per capire quanto è grande il problema
[2 Ottobre 2014]
Gli americani, come gli italiani, amano i loro cani, ma non sempre amano pulire una volta che i propri animali hanno fatto i loro bisogni. E questo è un problema, non solo di decoro urbano. Le feci di cane lasciate sul terreno vengono dilavate e raggiungono i corsi d’acqua, a volte trasportando con loro batteri, compresi i ceppi resistenti agli antibiotici. La misura in cui i cani contribuiscono alla contaminazione fecale dell’acqua è sconosciuta, nonostante il potenziale del trasferimento zoonotico di agenti patogeni dannosi per l’uomo, e lo studio “Development of Rapid Canine Fecal Source Identification PCR-Based Assays”, pubblicato su Environmental Science & Technology, si occupa proprio di questo.
Un team dell’ufficio ricerca e sviluppo del National Risk Management Research Laboratory dell’ Environmental Protection Agency Usa (Epa) ha preso molto sul serio la questione, e messo a punto un nuovo test genetico utilizzando un genome fragment enrichment (GFE) per «identificare nuovi marcatori genetici microbici non ribosomiali, potenzialmente utili per rilevare la contaminazione fecale canina con metodi basati sulla PCR (reazione a catena della polimerasi – Polymerase Chain Reaction, ndr) in campioni ambientali».
I ricercatori dell’Epa spiegano che i corsi d’acqua sono a rischio per molte fonti di contaminazione fecale, compresi gli sversamenti di liquami ed escrementi di animali da allevamento e della fauna selvatica, ma «La contaminazione da feci di cane è una preoccupazione perché può ospitare ceppi resistenti agli antibiotici di E. coli e di altri batteri e parassiti che possono infettare gli esseri umani» e negli Usa ci sono quasi 70 milioni di cani domestici. Gli scienziati finora hanno avuto pochi strumenti per determinare quanto le deiezioni canine aggiungano patogeni in fiumi, laghi e spiagge. I metodi attuali cercano alcuni geni provenienti da batteri intestinali che finiscono nelle feci di cane. Ma non è un metodo infallibile: i microbiota degli esseri umani e degli animali domestici come i cani che vivono con loro spesso si sovrappongono, rendendo l’analisi complicato. Per questo il team guidato da Orin Shanks ha deciso di creare un test più specifico.
Delle 679 sequenze ottenute dal GFE, il Team Epa ne ha utilizzate 84 per lo sviluppo di analisi della PCR con il target dei marcatori genetici putativi associati ai cani e «12 marcatori genetici hanno dimostrato di essere prevalenti nei campioni delle feci di cani e sono stati raramente trovati in altri animali. Tre analisi, DG3, DG37 e DG72, eseguite al meglio in termini di specificità e sensibilità, sono state utilizzate per lo sviluppo di SYBR Green e TaqMan, analisi quantitative di PCR (qPCR) di 244 campioni di feci raccolti in una vasta area geografica, che hanno indicato che le concentrazioni di marcatori erano al di sotto dei limiti di rilevabilità negli ospiti non canini. Come proof-of-concept, questi marcatori sono stati rilevati nei campioni di acqua piovana urbana, suggerendo una futura applicazione di nuovi metodi sviluppati per il monitoraggio della qualità delle acque».
Infatti, per determinare se il loro metodo avrebbe funzionato per il monitoraggio nel mondo reale, i ricercatori hanno campionato l’acqua dopo la pioggia in un parco dove la gente spesso passeggia con i cani. La tecnica ha rilevato con successo alcuni degli stessi marcatori che avevano individuato nei test per i rifiuti canini.