Il Ghiacciaio Occidentale del Montasio è il più resiliente: ha perso “solo” 34 metri di spessore rispetto agli anni 80, circa un metro l’anno
I risultati dell’ultima tappa della Carovana dei Ghiacciai 2020
[4 Settembre 2020]
«Una riduzione di 34 metri di spessore rispetto agli anni 80’, con una perdita media di almeno un metro l’anno e uno spessore medio che è passato dai 15 metri del 2013 agli attuali dieci metri». Sono questi, in sintesi, i risultati del monitoraggio effettuato nella sesta ed ultima tappa della Carovana dei Ghiacciai 2020 di Legambiente sul Ghiacciaio Occidentale del Montasio, il più basso dei ghiacciai dell’arco alpino.
«Un bilancio che – sottolinea Legambiente – tra il 2016 e il 2019 , risulta comunque meno negativo rispetto alla gran parte dei ghiacciai alpini in virtù delle sovrastanti pareti dello Jôf di Montasio che ombreggiano il ghiacciaio e sono caratterizzate da una conformazione ad imbuto che lo alimentano con accumuli di neve conseguenza di eventi valanghivi».
Il Ghiacciaio Occidentale del Montasio, con la quota media di 1910 m s.l.m., è il più basso dell’arco alpino. Secondo i dati discussi durante il sopralluogo effettuato con gli operatori glaciologici guidati da Federico Cazorzi dell’Università di Udine, attualmente il ghiacciaio copre un’area di circa 7 ettari, con un volume stimabile in un milione di m3. Storicamente era ritenuto un nevaio o un glacionevato ma, attorno al 1920, gli studi di Ardito Desio (eminente geologo e glaciologo di origini friulane) riconobbero la sua reale natura di ghiacciaio, che permane tuttora, come dimostrano i recenti rilevamenti effettuati tramite fotogrammetria di precisione. Essi sono utili a determinare le variazioni di volume, di forma della superficie (apertura di crepacci) e di spostamento della massa glaciale. Il movimento misurato su diversi blocchi rocciosi, utilizzati come capisaldi di riferimento, risulta essere in media di 8 centimetri all’anno.
Le sovrastanti pareti dello Jôf di Montasio sono caratterizzate da una conformazione ad imbuto che favorisce un notevole accumulo di neve da valanga, rendendo il Montasio un ghiacciaio ad alimentazione prettamente valanghiva. Infatti non è infrequente osservare consistenti accumuli di neve da valanga conservati fino a fine stagione, mentre nei sopralluoghi primaverili hanno raggiunto anche 12 m.
Davanti al ghiacciaio in caso di assenza di copertura nevosa sono visibili tre profonde incisioni nella morena principale, una ad est e due ad ovest, generate dall’erosione causata dalle acque di pioggia e di fusione.
Proprio durante il sopralluogo è stato rilevato un anomalo fenomeno di frammentazione della massa glaciale dovuto all’acqua penetrata all’interno del ghiacciaio da un crepaccio trasversale, poi concentratasi in pressione lungo un livello interno al ghiaccio e ricco di detrito. Il risultato è stata la repentina fuoriuscita dell’acqua attraverso nuove fratture e la formazione di una colata detritica a valle.
La Carovana dei Ghiacciai spiega che «La parete nord dello Jôf di Montasio ombreggia il ghiacciaio nelle ore estive più calde del giorno, proteggendolo dalla radiazione diretta e dando origine allo strato di detrito di copertura della zona basale del ghiacciaio che funge da isolante termico. Rilievi eseguiti tra il 2006 e il 2019 hanno evidenziato come, proprio grazie a queste caratteristiche, il ghiacciaio abbia avuto un bilancio meno negativo rispetto a gran parte dei ghiacciai alpini, nonostante la quota estremamente bassa.
Rispetto agli anni 80’ è possibile osservare una notevole perdita di spessore pari a 34 m, in media, almeno 1 metro all’anno. Attraverso i rilievi del georadar del 2013 si è misurato uno spessore medio del ghiacciaio pari a 15 m, attualmente ridotto a 10 m.
Il Montasio è un ghiacciaio molto particolare perché è posto fra pareti che lo proteggono dalla radiazione solare diretta; per questo motivo riceve energia in grado di fondere il ghiaccio soprattutto dall’atmosfera e la misura di questa energia è la temperatura. Quindi è un sensibilissimo termometro dei cambiamenti climatici. Si può quindi affermare che il ghiacciaio Occidentale del Montasio è un esempio di possibile evoluzione futura di molti piccoli ghiacciai alpini soggetti ad alimentazione valanghiva e progressivamente ricoperti di detrito, tipici ad esempio delle Dolomiti, in uno scenario futuro di aumento delle temperature».
Vanda Bonardo, responsabile Alpi Legambiente, spiega che «Il ghiacciaio del Montasio Occidentale, osservato nell’ultima tappa di Carovana è un bel esempio di resilienza ai cambiamenti climatici. E’ il ghiacciaio più basso in quota delle Alpi tuttavia, seppur in sofferenza, riesce a sopravvivere agli aumenti di temperatura. Il Montasio, reso forte dalla sua particolare collocazione spaziale, con le pareti che lo proteggono dalla radiazione solare diretta è quasi un paradigma di come la natura riesca a reagire alle perturbazioni. In questo senso assume un valore simbolico, un messaggio di resilienza per noi umani poiché la crisi climatica non è solo una sfida alla sopravvivenza, ma anche una fonte di opportunità e di nuove idee. Richiama l’attenzione alle questioni specifiche delle Alpi e dell’intero Paese su aspetti riguardanti: risorse, competenze, beni comuni, ecosistemi con la loro adattabilità e la loro capacità di ripristino. Nuove e vecchie potenzialità su cui tutti quanti siamo chiamati a lavorare».
Secondo Marco Giardino, segretario del Comitato Glaciologico Italiano. «La tappa conclusiva della Carovana dei ghiacciai ha dimostrato l’importanza dell’attività degli operatori glaciologici che integrano le tradizionali osservazioni sul terreno con i monitoraggi tecnologici. In particolare, sul piccolo ghiacciaio del Montasio, la rilettura sul lungo periodo del patrimonio di dati d’archivio (fotografie e descrizioni delle campagne annuali), confrontate con i dati numerici dei rilievi topografici di precisione (fotogrammetria da terra e da drone) hanno chiarito i meccanismi di alimentazione del ghiacciaio e la sua dinamica evolutiva superficiale. Interpretazioni estrapolabili ad altre masse glaciali simili ed utilizzabili anche per chiarire gli scenari futuri degli ambienti circostanti ai ghiacciai. Tutti questi risultati confermano l’importanza delle Campagne glaciologiche annuali che il Comitato Glaciologico Italiano coordina sin dal 1914 sul territorio italiano».
Renato R. Colucci, ricercatore del CNR e membro del Comitato Glaciologico Italiano, ha spiegato come «la superfice glaciale delle Alpi Giulie (tra Slovenia e Italia) si sia ridotta dell’85 % mentre la massa glaciale totale abbia perso in volume il 96% negli ultimi 150 anni circa. I 23 residui piccoli corpi glaciali delle Alpi Giulie rappresentano però un eccellente esempio di resilienza al cambiamento climatico. Le già abbondanti precipitazioni (le Alpi Giulie registrano le più abbondanti precipitazioni di tutte le Alpi) sono influenzate da eventi estremi che in alcune annate hanno portato nevicate eccezionali in quota in grado, per ora, di controbilanciare estati sempre più lunghe e sempre più calde».
Hannes Slamaning, ufficio progetti transfrontalieri della Carinzia, ha evidenziato gli effetti del cambiamento climatico nella regione, con un clima ormai simile a quello che negli anni 70 era tipico del Friuli. E ha ricordato «gli ultimi eventi piovosi del 29/30 agosto e la pioggia caduta fino sulla cima del Grossglockner, con una perdita importante di massa nevosa. Slamaning ha inoltre descritto l’importante progetto del “Parco transfrontaliero della pace” nei luoghi dove si è combattuto durante il primo conflitto mondiale.
Dal marzo 2019 i tre Parchi del Triglav, Prealpi Giulie e del Dobratsch e Legambiente Friuli Venezia Giulia, CIPRA Slovenia e Club Tre Popoli Carinzia, lavorano insieme su alcuni importanti obiettivi: una riserva comune della biosfera contigua tra Austria, Italia e Slovenia, un modello per un programma Europeo integrato nei tre Paesi sugli stessi temi e la promozione, sul territorio transfrontaliero, del volontariato giovanile sui temi della pace e della tutela della biodiversità.
Legambiente Friuli Venezia Giulia, ha chiesto che »le istituzioni siano coerenti con la necessità di rendere più resilienti i territori agli effetti dei cambiamenti climatici e promuovere uno sviluppo che non sia effimero, costoso e insostenibile nel tempo». I Cigno Verde chiede a PROMOTUR di «non procedere con la realizzazione di impianti di sci che scendono alla quota di 800 m, iniziativa che in nessun luogo sulle Alpi è oggi, pur tardivamente, presa in considerazione».