Biodinamica, un laboratorio per economia e ambiente?
XXXIV convegno dell' Associazione Biodinamica: settore strategico per il futuro dell’agricoltura made in Italy
[11 Novembre 2016]
Agricoltori e gli addetti ai lavori, economisti e ricercatori e che stanno intervenendo al XXXIV Convegno dell’Associazione Biodinamica in corso a Napoli sono convinti che «La biodinamica rafforza i terreni, li rende più fertili, più resistenti alla siccità e al dissesto idrogeologico. E non solo il modello agricolo attuato dalla biodinamica crea aziende più forti sul mercato: a cominciare dai prezzi, perché i prodotti biodinamici sono pagati di più rispetto ai convenzionali (es: il latte bio 70/50 cent litro – latte convenzionale 30 cent litro), garantendo una stabilità complessiva maggiore delle aziende biodinamiche rispetto alle convenzionali».
L’ dell’Associazione Biodinamica definisce questo quadro «una fotografia particolarmente interessante di uno dei settori più promettenti per il futuro dell’agricoltura made in Italy, l’unica che resiste alla crisi e che in controtendenza registra un incremento del 20% nell’ultimo anno».
Al convegno napoletano sono stati illustrati nel dettaglio le principali caratteristiche dei campi biodinamici: «Terreni più sani e forti e quindi più resilienti, capaci di produrre cibi più sani e più ricchi di proprietà organolettiche e che – come oltre 20 anni di ricerca condotti dall’Istituto Elvetico FIBL di studi hanno dimostrato – diventano naturalmente più fertili e resistenti. Infatti, ospitando una maggiore varietà di piante e animali e di microorganismi che rendono l’ecosistema più robusto, affrontano meglio le situazioni di disturbo e di stress come le variazioni di climatiche. Una qualità non da poco, per un paese sempre più segnato dagli effetti devastanti del climate change».
L’’Associazione Biodinamica ha presentato un mini-compendio dei benefici derivanti da questo tipo di agricoltura:
Resistenza alla siccità. I terreni coltivati con l’agricoltura biodinamica, rispetto a quelli con i metodi tradizionali, sono in grado di trattenere mediamente il 55% in più di acqua. Una straordinaria proprietà che dipende dalla ricchezza (fino al +70%) di humus, la preziosa componente organica del suolo, capace di trattenere acqua fino a 20 volte il suo peso. Insomma l’humus si comporta come una vera e propria spugna naturale che impregnandosi trattiene l’acqua più a lungo nel suolo ed evita – come avviene nei campi convenzionali – il compattamento dei terreni. Una caratteristica non da poco che riduce anche i consumi idrici e rende i suoli più resistenti all’erosione e al dilavamento.
Resistenza all’erosione. I sistemi biologici e più ancora quello biodinamico, impediscono che gli elementi preziosi del suolo si perdano, trascinati via dalla pioggia o dal vento. Il metodo biodinamico garantisce molto più degli altri (fino al +60% rispetto all’agricoltura convenzionale) la resistenza nel tempo delle particelle di sostanze aggregate. Queste particelle, se resistono in glomeruli, impediscono la polverizzazione del suolo e la perdita di elementi.
Terreni più fertili. I preparati utilizzati in biodinamica, in particolare il preparato 500, più noto come cornoletame, fungono da veri e propri attivatori naturali dei terreni. Come una sorta di lievito il preparato 500 è in grado di stimolare la crescita e la produttività delle specie vegetali. Non è solo l’esperienza diretta degli agricoltori a dirlo, ma anche uno studio del Dipartimento di Agraria dell’Università di Napoli che documenta come il sistema di maturazione del letame secondo il metodo biodinamico, che avviene in ambiente praticamente anaerobio, produce più del 50% di composti di lignina (principali stimolatori di ferilità) rispetto al compost convenzionale.
Carbonio organico. Il sistema biodinamico si è rivelato il migliore per accumulo di carbonio nel suolo. Il metodo dei cumuli biodinamici di humus ha dato il miglior risultato. Non solo il carbonio organico è maggiore nel biodinamico (+15% rispetto all’agricoltura convenzionale), ma sono maggiori le frazioni più pregiate di carbonio per la fertilità (umina per esempio) nelle parcelle trattate coi concimi biodinamici. I suoli biodinamici dunque tendono a non destrutturarsi nel tempo, contrastano la desertificazione, conservano carbonio organico stabilmente. Inoltre proprio nei terreni sabbiosi e limosi il metodo biodinamico si è mostrato capace più di altri di conservare stabilmente nel suolo la sostanza organica di maggior pregio per la fertilità.
Biodiversità. Nel metodo biodinamico i microrganismi non solo sono di più, ma sono anche molto più vari. La presenza di una grande biodiversità, rende l’habitat più equilibrato ed efficiente, senza dispersioni di energia, che resta disponibile per le colture. Si stima che la flora presente dei suoli biodinamici sia 9 volte superiore a quella presente nei terreni convenzionali.
Microbi. L’attività dei microbi nel suolo è un importante indicatore di biodiversità. Il metodo biodinamico evidenzia un’attività eccezionale di respirazione del suolo ad opera dei microbi. Inoltre la massa dei microorganismi nel suolo biodinamico è tra il 60 e l’85% superiore rispetto al sistema convenzionale.
Ma a Napoli è stato evidenziato anche un altro aspetto che i detrattori di questo metodo considerato di “nicchia” tendono ad ignorare : «La biodinamica rappresenta sempre più runa prospettiva concreta per far ripartire l’economia del Paese, per creare nuovi posti di lavoro e per difendere il nostro territorio. Nel mondo ci sono più di 2 milioni di ettari coltivati in modo biodinamico e certificati, ma sono molto più numerose le aree agricole dove si produce secondo le pratiche agronomiche biodinamiche. L’Italia è al terzo posto (dopo Germania e Francia) tra i Paesi europei per superficie destinata all’agricoltura biodinamica e conta oltre 4.500 aziende che ne applicano le tecniche, tra cui alcune grandi realtà: ad esempio, è coltivata con i metodi biodinamici una delle più grandi aziende biologiche europee, così come la più grande azienda agricola in assoluto del Molise è oggi biodinamica. Più del 50% di quanto raccolto e trasformato in Italia viene esportato in Giappone, Usa e Scandinavia».