Coronavirus, Coldiretti: senza i lavoratori stagionali (stranieri) scaffali vuoti nell’Ue. In Italia la situazione più grave
Con la chiusura delle frontiere manca quasi un milione di lavoratori stagionali. Il dramma dei lavoratori clandestini senza tutele
[30 Marzo 2020]
Dopo che il New York Times ha confermato in prima pagina l’allarme per i raccolti in tutta Europa con il blocco alla libera circolazione delle persone tra gli Stati, provocato dal Coronavirus, che colpisce la manodopera stagionale agricola e mette a rischio la produzione alimentare ed il rifornimento futuro degli scaffali nei supermercati europei, il presidente della Coldiretti Ettore Prandini rilancia l’allarme: «La Commissione europea dovrebbe intervenire rapidamente per far sì che gli Stati membri dell’Unione Europea favoriscano l’attraversamento da parte dei lavoratori transfrontalieri che operano nel settore agricolo al fine di garantire le forniture alimentari, con il regolare svolgimento delle campagne di raccolta dei lavoratori stagionali che si sono avviate con l’inizio della primavera».
Secondo le stime della Coldiretti «Con la chiusura delle frontiere nell’Unione Europea manca quasi un milione di lavoratori stagionali per le imminenti campagne di raccolta nelle campagne dei principali Paesi agricoli, con l’Ue che rischia di perdere quest’anno l’autosufficienza alimentare e il suo ruolo di principale esportatore mondiale di alimenti per un valore di 151,2 miliardi di euro con un surplus commerciale nell’agroalimentare di 31,9 miliardi».
Il sogno autarchico della neodestra dei neofascisti e dei sovranisti come Marine Lepen, Matteo Salvini e Giorgia Meloni si sta avverando, ma è già un incubo economico. Come spiega Coldiretti, «Tutti i principali Paesi agricoli dell’Unione fanno affidamento su lavoratori provenienti anche da altri Stati ed in Francia si stima manchino 200mila stagionali rumeni, polacchi, tunisini, marocchini che ogni anno contribuiscono ai raccolti mentre in Gran Bretagna gli agricoltori stanno lottando per trovare persone raccogliere lamponi e patate e in Germania c’è da colmare il vuoto di circa 300mila unità lasciato dagli stagionali polacchi e rumeni che pesa anche sulla Spagna rimasta, ad esempio, senza i consueti 10 mila lavoratori stagionali marocchini impegnati nella raccolta fragole».
Ma Coldiretti sottolinea che «La situazione più grave è però in Italia dove e a rischio c’è più di un quarto del Made in Italy a tavola che viene raccolto nelle campagne da mani straniere con 370mila lavoratori regolari che arrivano ogni anno dall’estero, fornendo il 27% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore, secondo l’analisi della Coldiretti. L’Italia si classifica al primo posto a livello comunitario per numero di imprese e valore aggiunto ed è il primo produttore Ue di riso, grano duro e vino e di molte verdure e ortaggi tipici della dieta mediterranea come pomodori, melanzane, carciofi, cicoria fresca, indivie, sedano e finocchi. E anche per quanto riguarda la frutta l’Italia primeggia in molte produzioni importanti: dalle mele e pere fresche, dalle ciliegie alle uve da tavola, dai kiwi alle nocciole fino alle castagne. Si tratta di produzioni Made in Italy che non servono solo a riempire gli scaffali dei supermercati in Italia che è autosufficiente per frutta e verdura ma anche per garantire gli approvvigionamenti all’estero dove lo scorso anno è stata esportata frutta e verdura Made in Italy per un valore di 8,4 miliardi, dei quali ben 6,4 miliardi nell’Unione Europea. Ed in particolare oltre 2 miliardi di euro in Germani e circa 700 milioni in Gran Bretagna nel corso del 2019».
Questa economia, che diventa orgoglio nazionalistico quando Salvini si fa i suoi selfie alimentari, è in realtà un’economia globalizzata che è tenuta in piedi da manodopera in gran parte straniera, che i nostri sovranisti trattano, quando va bene come bestiame da soma, e non solo gli arabi e i “negri”, ma anche i rumeni e gli albanesi contro i quali i Partiti di Salvini e della Meloni fecero ormai dimenticate campagne xenofobe, indicandoli come malfattori, stupratori e ladri di lavoro degli italiani. Come spiega Coldiretti «La comunità di lavoratori agricoli più presente in Italia è quella rumena con 107.591 occupati, davanti a marocchini con 35013 e indiani con 34043, che precedono albanesi (32264), senegalesi (14165), polacchi (13134), tunisini (13106) e bulgari (11261). Sono molti i “distretti agricoli” del nord (a stragrande maggioranza leghista, ndr) dove i lavoratori immigrati rappresentano una componente bene integrata nel tessuto economico e sociale come nel caso della raccolta delle fragole e asparagi nel Veronese, della preparazione delle barbatelle in Friuli, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell’uva, delle mele, delle pere e dei kiwi in Piemonte, dei pomodori, dei broccoli, cavoli e finocchi in Puglia fino agli allevamenti e i caseifici della Lombardia».
Già 10 giorni fa la FLAI CGIL evidenziava la necessità di tutelare i lavoratori “clandestini” sfruttati e che «Non si può dimenticare il settore agricolo già morso dalla crisi, che oggi in più patisce la carenza di lavoratori agricoli in alcune aree del Paese in ragione dell’interruzione dei flussi di manodopera dai Paesi dell’Est Europa. A causa del Covid-19 si è verificato infatti un rientro massivo da parte di lavoratori agricoli immigrati da Romania e Bulgaria mentre gli arrivi previsti dalla Polonia si sono azzerati. I lavoratori extracomunitari che si trovano in condizione di irregolarità possono tamponare questo vuoto, ma occorre garantire loro i diritti fondamentali. Molti stranieri si trovano oggi in condizioni di irregolarità acuite dai decreti sicurezza e non vanno in cerca di lavoro per timore di essere fermate ai posti di blocco. Diventa quindi fondamentale una regolarizzazione per far emergere chi è costretto a vivere e lavorare in condizioni di irregolarità. Sarebbe una misura di equità e di salvaguardia dell’interesse nazionale, in questa difficile fase in cui un eventuale pregiudizio all’agricoltura, nella sua funzione tutelare della sicurezza alimentare della comunità nazionale, sarebbe drammaticamente deleterio. Questo però non dev’essere uno strumento per rifornire il settore primario di lavoro a buon mercato in un momento di shock economico. È necessario, pertanto, rafforzare le misure di contrasto al lavoro nero e favorire l’assunzione di chi sta lavorando in maniera irregolare,applicando i Contratti Collettivi agricoli. Servono soluzioni strutturali che, soprattutto in condizioni di eccezionalità, non possono attendere». E’ quello che ha fatto per esempio il governo di sinistra del Portogallo regolarizzando tutti gli immigrati e dando loro l’accesso ai servizi essenziali – a cominciare da quelli sanitari – per evitare che la loro condizione di disagio li trasformi da elementi fragili ad agenti incolpevoli della propagazione del coronsvirus. E’ l’esatto contrario dei decreti (in)sicurezza di Salvini che hanno spinto migliaia di migranti nella clandestinità e nella mancanza di tutele.
In Italia su sollecitazione del Presidente della Coldiretti Ettore Prandini il Ministro delle Politiche Agricole Teresa Bellanova è intervenuto per prorogare i permessi di soggiorno per lavoro stagionale in scadenza al fine di evitare agli stranieri di dover rientrare nel proprio Paese proprio con l’inizio della stagione di raccolta nelle campagne. Coldiretti spiega ancora che «La proroga, secondo la circolare del Ministero degli Interni, dura fino al 15 giugno e riguarda i permessi di soggiorno in scadenza dal 31 gennaio al 15 aprile ai sensi dell’articolo 103 comma 2 del D.L. 18. Inoltre è stato ottenuto nel decreto Cura Italia prevede che le attività prestate dai parenti e affini fino al sesto grado non costituiscono rapporto di lavoro nè subordinato nè autonomo, a condizione che la prestazione sia resa a titolo gratuito. Potranno dunque collaborare alla raccolta dei prodotti agricoli anticipata dal caldo inverno anche nonni, genitori, figli, nipoti, suoceri, generi, nuore, fratelli, zii, cugini, figli di cugini, cugini dei genitori e figli dei cugini dei genitori, fratello/sorella del coniuge, zio del marito rispetto alla moglie e viceversa, cugino/a del marito rispetto alla moglie e viceversa. Si tratta di una prassi molto diffusa in agricoltura nel passato quando anche lontani parenti tornavano in fattorie, cascine e masserie di famiglia in occasione delle campagne di raccolta più importanti, dalla vendemmia alla raccolta delle olive, per collaborare attivamente e ricevere magari in cambio frutta, verdura, olio o vino».