Dopo l’energia il cibo: con la crisi ucraina crescono anche i prezzi di grano e mais

Coldiretti: «La situazione sta innescando un nuovo cortocircuito sul settore agricolo nazionale»

[22 Febbraio 2022]

L’evolversi della crisi ucraina, con l’ingresso di truppe russe due repubbliche autoproclamate del Donbass – quelle di Donetsk e Luhansk – preoccupa non solo per i risvolti umani, geopolitici ed energetici, ma anche per l’approvvigionamento di beni alimentari nel nostro Paese.

Secondo i dati riportati da Coldiretti, la più grande associazioni d’agricoltori in Italia, le quotazioni del grano che sono balzate del 2% in un solo giorno mentre il mais destinato all’alimentazione del bestiame ha raggiunto il valore massimo da sette mesi.

L’Ucraina rappresenta infatti uno dei più importanti “granai d’Europa” e del mondo, con la produzione di circa 36 milioni di tonnellate di mais per l’alimentazione animale (5° posto nel mondo) e 25 milioni di tonnellate di grano tenero per la produzione del pane (7° posto al mondo).

«Dall’Ucraina – continua la Coldiretti – arriva in Italia anche grano tenero per la produzione di pane e biscotti per una quota pari al 5% dell’import totale nazionale e una quantitativo di 107mila tonnellate nei primi dieci mesi del 2021. Un valore quasi doppio rispetto a quello proveniente dalla Russia (44mila tonnellate) dalla quale arriva anche il grano duro per la pasta (36mila tonnellate). L’Ucraina è anche il secondo fornitore di mais destinato all’alimentazione del bestiame nelle stalle, con una quota di poco superiore al 20%. Un colpo mortale per gli allevamenti che sono costretti a fare i conti anche con il caro energia a fronte di compensi ben al di sotto delle spese. Il mais è la componente principale dell’alimentazione degli animali negli allevamenti con l’Italia che è costretta ad importare oltre la metà del fabbisogno (53%)».

Di fronte a questo scenario, il presidente della Coldiretti Ettore Prandini afferma che «la situazione  sta innescando un nuovo cortocircuito sul settore agricolo nazionale, che ha già sperimentato i guasti della volatilità dei listini in un Paese come l’Italia che è fortemente deficitaria in alcuni settori ed ha bisogno di un piano di potenziamento produttivo e di stoccaggio per le principali commodities, dal grano al mais fino all’atteso piano proteine nazionale per l’alimentazione degli animali in allevamento per recuperare competitività rispetto ai concorrenti stranieri. Nell’immediato occorre quindi garantire la sostenibilità finanziaria delle stalle affinché i prezzi riconosciuti agli allevatori non scendano sotto i costi di produzioni come previsto dalla nuova normativa sulle pratiche sleali».

Già nel medio termine, questa nuova crisi potrebbe però offrire gli spazi – politici ed economici – per contribuire a migliorare l’agroalimentare italiano, diminuendo la diffusione degli allevamenti e riconvertendo le attività verso produzioni più sostenibili.

È utile infatti ricordare che secondo i dati Ispra arriva da agricoltura e allevamenti il 7% delle emissioni nazionali di gas serra e oltre il 90% delle emissioni di ammoniaca, ed in entrambi i casi il contributo degli allevamenti (80%) è determinante. Non solo: l’impatto degli allevamenti sull’inquinamento atmosferico è ancora più rilevante. Per quanto riguarda in particolare il PM2,5, da un’indagine condotta dall’Ispra insieme a Greenpeace emerge come il settore più inquinante sia il riscaldamento residenziale e commerciale – responsabile del 36,9% delle emissioni totali di PM2,5, primarie e secondarie –, seguito dagli allevamenti (16,6%), dai trasporti stradali (14%), dall’industria (10%) e da altri tipi di trasporti (7,8%), mentre in fondo alla classifica risultano l’agricoltura (4,4%) e le produzioni energetiche (2,5%).

Per tutelare la salute del pianeta e la nostra, è dunque necessario ridurre (anche senza eliminare del tutto) il consumo di carne e accrescere quello di vegetali. Ma questo in Europa non sta succedendo, anche se alcuni positivi cambi di rotta stanno emergendo: il governo dei Paesi bassi, guidato dal premier liberale Mark Rutte, ha ad esempio appena reso noto i suoi piani per dimezzare le emissioni di azoto nazionali entro il 2030, anche attraverso la riduzione del 30% dei capi allevati.