I trattori possono cambiare l’agricoltura africana, nel bene e nel male
Le lezioni di 4 Paesi africani per una trasformazione agricola sostenibile da un punto di vista sociale, economico e ambientale
[30 Dicembre 2020]
In tutta l’Africa la meccanizzazione agricola è in aumento e le zappe e gli aratri trascinati dagli animali vengono sostituiti dai trattori. Lo studio “Perceived effects of farm tractors in four African countries, highlighted by participatory impact diagrams”, pubblicato recentemente su Agronomy for Sustainable Development da un team di ricercatori di Germania, Benin, Nigeria, Kenya, Mali e Ghana ha esplorato come la meccanizzazione potrebbe cambiare il volto dell’agricoltura e delle aree rurali africane ed evidenzia che «E’ importante garantire che la meccanizzazione possa essere accompagnata da politiche che ne sfruttino il potenziale e riducano al minimo i potenziali effetti negativi».
Infatti, come spiega su The Conversation il principale autore dello studio, Thomas Daum dell’Hans Ruthenberg Institut dell’Universität Hohenheim, «Mentre circa l’ 80 – 90% di tutti gli agricoltori fa ancora affidamento sul lavoro manuale o sugli animali da tiro, la situazione sta cambiando, guidata dal calo dei prezzi dei macchinari e dall’aumento dei salari rurali. Negli ultimi due anni, le vendite di trattori sono aumentate di circa il 10% all’anno».
D’Altronde l’Africa sta seguendo i passi dei Paesi oggi meccanizzati dove, come dimostra la storia, una diffusa sostituzione del lavoro manuale con mezzi meccanici può avere grandi implicazioni socioeconomiche e ambientali.
Daum sottolinea che «Per comprendere gli effetti della meccanizzazione, abbiamo raccolto dati in 87 villaggi in Benin, Nigeria, Mali e Kenya. Questi villaggi sono stati scelti come esempi perché hanno già sperimentato la meccanizzazione. Abbiamo condotto 129 discussioni in focus group con 1.330 residenti rurali che hanno identificato vari modi in cui la meccanizzazione ha influenzato l’agricoltura, la vita rurale e la natura. Gli approfondimenti negli 87 villaggi hanno rivelato il grande potere di trasformazione della meccanizzazione agricola. La meccanizzazione può ridurre il carico di lavoro, aumentare la prosperità e migliorare le diete». Ma sono emersi anche problemi, come l’erosione del suolo, la deforestazione e l’accesso delle donne ai trattori e ad altri mezzi meccanizzati.
Daum è convinto che l’identificazione di queste sfide offre l’opportunità di prevenirne il verificarsi di questi problemi grazie alla ricerca agricola e un’azione politica appropriata.
Visto che questa era l’attività meccanizzata più comunemente nei Paesi indagati, lo studio si è concentrato sull’utilizzo dei trattori per la preparazione del terreno, un’attività laboriosa e faticosa che di solito è la a essere meccanizzata. Ai partecipanti agli incontri è stato chiesto di dire quali erano stati i cambiamenti positivi ottenuti grazie alla meccanizzazione. Poi i ricercatori hanno identificato le modifiche economiche e sociali successive e realizzato una catena di impatti.
Daum sottolinea che « Nel complesso, abbiamo scoperto che la meccanizzazione ha conseguenze agronomiche, ambientali e socioeconomiche di più ampia portata di quanto comunemente si creda. Prima di tutto, libera uomini, donne e bambini dal pesante lavoro agricolo. Questo dà loro il tempo di fare altre cose, come gestire attività non agricole o andare a scuola. La meccanizzazione aiuta anche a superare le strozzature del lavoro, un vincolo ben noto nell’agricoltura pluviale. Questo consente alle persone di coltivare più terra, come riferito dal 61% degli intervistati». Un contadino del Mali ha detto: «Molti agricoltori hanno della terra che non possono coltivare, viene lasciata a maggese. Con il trattore, la terra viene coltivata e produce volumi di raccolti oltre la capacità di consumo della famiglia».
Secondo il 72% dei contadini intervistati, l’utilizzo di un trattore migliora anche la tempestività delle attività agricole, permettendo di completarle al momento giusto, il che fa aumentare i raccolti. E l’aumento complessivo della produzione agricola contribuisce a migliorare la sicurezza alimentare e ridurre la povertà.
Ma il 58% degli intervistati ha fatto notare che, a lungo termine, la meccanizzazione può compromettere la fertilità del suolo, in particolare quando viene utilizzato l’aratro a dischi, e i contadini africani sono consapevoli che l’utilizzo di trattori pesanti può innescare l’erosione e la compattazione del suolo. Un agricoltore del Benin ha riferito che «Visto il suo peso, il trattore aumenta la compattazione del suolo… Seguono i problemi di allagamento ed erosione, che riducono notevolmente la fertilità e di conseguenza la resa».
Daum evidenzia che «Un’altra preoccupazione è la deforestazione. Coltivare più terra può significare perdere alberi su larga scala. Anche l’abbattimento degli degli alberi nei campi, in modo che i trattori possano operare, riduce la biodiversità e rende il suolo più suscettibile alla pioggia e all’erosione del vento». In Mali, un agricoltore ha ammesso che «Gli alberi vengono distrutti per consentire al trattore di lavorare comodamente. Questo espone la terra».
Alcuni effetti, come quelli sull’occupazione, riguardano fortemente alcuni contesti. In Benin, dove la meccanizzazione ha prodotto un’espansione delle aree coltivate, c’è stato un notevolmente aumento della domanda di manodopera per svolgere le parti non meccanizzate dell’agricoltura. In questo caso, non ci sono stati effetti sulla disoccupazione, confermando un andamento che è stato riscontrato anche in Paesi come lo Zambia.
In Nigeria, dove c’è stato un minor ampliamento procapite dei terreni, il 48% degli agricoltori denuncia la perdita di posti di lavoro.
Daum fa notare che anche gli effetti sull’occupazione possono non essere diretti: «Molti abitanti nelle aree rurali hanno riferito che la crescente prosperità degli agricoltori dovuta alla meccanizzazione porta a ricadute positive per i non agricoltori come fabbri, falegnami e parrucchieri. Come per la maggior parte delle nuove tecnologie, la meccanizzazione ha vantaggi per alcuni ma non per altri. Mentre altri studi hanno rilevato che i piccoli agricoltori hanno meno accesso alla meccanizzazione, questo è stato menzionato solo dal 15% degli intervistati. Ma la meccanizzazione è meno accessibile per le donne rispetto agli uomini. Questo è stato segnalato in tutti i Paesi ma varia: il 71% delle donne in Mali condivide questa percezione, ma solo il 5% delle donne in Benin».
I ricercatori sono convinti che la maggior parte degli effetti negativi non riguardano la meccanizzazione agricola e possono essere affrontati con pratiche agronomiche complementari e politiche adeguate.
Daum conclude: «L’erosione del suolo può essere ridotta con l’agricoltura conservativa, che protegge i suoli sostituendo gli aratri a disco pesanti con scarificatori che disturbano meno il suolo o seminatrici dirette e coperture continue del suolo. La deforestazione può essere ridotta al minimo con un’attenta pianificazione dell’utilizzo del suolo, ad esempio proteggendo la terra che è particolarmente preziosa per la mitigazione dei cambiamenti climatici, la biodiversità e la fauna selvatica. I punti di accesso per garantire che le donne traggano vantaggio dalla meccanizzazione possono comprendere campagne che mostrano modelli di ruolo delle donne che utilizzano trattori, sostenendo i gruppi di meccanizzazione delle donne e sviluppando conoscenze e abilità. Con le giuste politiche, i Paesi possono sfruttare il potenziale della meccanizzazione e gestire le sfide. Questo può garantire che la meccanizzazione contribuisca a una trasformazione agricola africana sostenibile da un punto di vista sociale, economico e ambientale».