Il miracoloso fico d’India: resiste alla siccità, è cibo sostenibile per uomini e animali e coltivazione per biocarburanti
Nelle aree semi-aride, il fico d’India potrebbero sostituire le coltivazioni attuali che richiedono più acqua
[9 Marzo 2021]
Secondo i risultati dello studio “Five‐year field trial of the biomass productivity and water input response of cactus pear (Opuntia spp.) as a bioenergy feedstock for arid lands”, pubblicato su GCB-Bioenergy da un team di ricercatori statunitensi guidato dall’università del Nevada, «Nel prossimo futuro, il fico d’India potrebbe diventare una coltura importante come la soia e il mais e contribuire a fornire una fonte di biocarburanti, nonché un cibo sostenibile e un raccolto di foraggio».
I ricercatori dell’Università ritengono che «La pianta, con la sua elevata tolleranza al caldo e un basso consumo di acqua, possa essere in grado di fornire carburante e cibo in luoghi che in precedenza non erano in grado di crescere molte colture in termini di sostenibilità».
All’Università del Nevada ricordano che «I modelli di cambiamento climatico globale prevedono che gli eventi di siccità a lungo termine aumenteranno in durata e intensità, con conseguenti temperature più elevate e livelli più bassi di acqua disponibile. Molte colture, come riso, mais e soia, hanno un limite massimo di temperatura e altre colture tradizionali, come l’erba medica, richiedono più acqua di quella che potrebbe essere disponibile in futuro».
Uno degli autori dello studio John Cushman del Department of biochemistry & molecular biology del College of agriculture, biotechnology & natural resources dell’università del Nevada, aggiunge che «Le aree aride diventeranno più asciutte a causa del cambiamento climatico. Alla fine, in futuro vedremo sempre di più questi problemi di siccità che interesserano colture come mais e soia».
Lo studio, finanziato dall’Experiment Station e dal National institute of food and agriculture del Dipartimento dell’agricoltura Usa, è il risultato di una ricerca quinquennale sul fico d’India come coltivazione commerciale in aree con alte temperature e poca acqua ed è il primo test a lungo termine realizzato sul campo nel gli Usa sull’utilizzo dele specie Opuntia come materia prima bioenergetica per sostituire i combustibili fossili.
I risultati dello studio, hanno di mostrato che «Opuntia ficus-indica aveva la più alta produzione di frutta utilizzava fino all’80% in meno di acqua rispetto ad alcune colture tradizionali».
Cushman evidenzia che «Attualmente, Il mais e la canna da zucchero sono le principali colture bioenergetiche, ma usano da tre a sei volte più acqua del fico d’india. Questo studio ha dimostrato che la produttività dei cactus è alla pari con queste importanti colture bioenergetiche, ma utilizzano una frazione dell’acqua e hanno una maggiore tolleranza al caldo, il che li rende una coltura molto più resistente al clima».
Inoltre, il fico d’India funziona bene come coltura bioenergetica perché è una coltura perenne e versatile: quando non viene raccolto per farne biocarburanti e un serbatoio di carbonio terrestre, visto che rimuove l’anidride carbonica dall’atmosfera e la stocca in modo sostenibile.
Cushman spiega ancora: «Circa il 42% della superficie terrestre in tutto il mondo è classificata come semi-arida o arida. C’è un enorme potenziale per piantare cactus per il sequestro del carbonio. Possiamo iniziare a coltivare colture di fichi d’India in aree abbandonate che sono marginali e potrebbero non essere adatte ad altre colture, espandendo così l’area utilizzata per la produzione di bioenergia».
E, come sanno bene molti agricoltori dell’area mediterranea, il fico d’India può essere utilizzato anche per il consumo umano e l’alimentazione del bestiame. Grazie al suo basso fabbisogno idrico rispetto alle colture più tradizionali, è infatti già utilizzato in molte aree semiaride del mondo come cibo e foraggio. Grazie al loro alto contenuto di zucchero, i frutti possono essere utilizzati per farne marmellate e gelatine e i cladodi (o pale) si consumano sia freschi che come verdura in scatola, dato che sono composti per il 90% da acqua sono anche ottimi per l’alimentazione del bestiame.
Cushman. Sottolinea che «Questo è il vantaggio di un raccolto perenne: si raccolgono la frutta e i cladodi per il cibo, quindi hai questa grande quantità di biomassa sul terreno che sta sequestrando il carbonio e può essere utilizzata per la produzione di biocarburanti.
Inoltre il team di Cushman spera di utilizzare i geni del fico d’India per migliorare l’efficienza idrica per altri tipi di coltivazioni. Uno dei modi in cui il fico d’India trattiene l’acqua è chiudendo i suoi pori durante il caldo del giorno per prevenire l’evaporazione e aprendoli di notte per respirare e Cushman vuole prendere i geni che gli consentono di farlo e aggiungerli al bagaglio genetico di altre piante per aumentare la loro tolleranza alla siccità.
Un’altra autrice dello studio, Carol Bishop dell’università del Nevada, e i suoi studenti della Moapa Valley High School, continuano coltivare e raccogliere le oltre 250 piante di fico d’India piantate nel laboratorio sul campo di Logandale. Inoltre, durante lo studio, gli studenti hanno acquisito una preziosa esperienza contribuendo a diffondere la consapevolezza sul progetto, sui suoi obiettivi e sui potenziali benefici e utilizzi della pianta. Hanno prodotto video, documenti, opuscoli e ricette e tenuto lezioni, anche di raccolta e cucina dei frutti e delle pale dei fichi d’India.
Nel 2019, Cushman ha avviato un nuovo progetto di ricerca sul fico d’India alla National Arid Land Plant Genetic Resources Unit del Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti di Parlier, in California. Oltre a continuare a misurare quanto produrrà il raccolto di cactus, il team di Cushman, in collaborazione con Claire Heinitz, curatrice dell’unità, sta esaminando quali accessioni, o campioni unici di tessuti vegetali o semi con tratti genetici diversi, forniscono la massima produzione, per ottimizzare le condizioni di crescita del raccolto.
Uno degli altri obiettivi del progetto è quello di saperne di più sulla malattia che arresta la crescita dei cactusu Opuntia, che fa crescere frutti più piccoli. Per questo il team sta prelevando campioni dalle piante infette per esaminare il DNA e l’RNA per scoprire cosa causa la malattia e come viene trasferita ad altri cactus sul campo. »La speranza – dicono i ricercatori – è quella di utilizzare le informazioni per creare uno strumento diagnostico e un trattamento per rilevare e prevenire la diffusione della malattia e per salvare le parti utilizzabili delle piante malate».
Inoltre, il team dell’università del Nevada sta studiando diversi bio-pesticidi che possono essere utilizzati sulle piante senza danneggiare gli esseri umani o le api che impollinano i fichi d’india.