Africa in movimento: lo sviluppo delle aree rurali può cambiare il futuro della migrazione
Pubblicato il primo atlante dell'emigrazione rurale nell’Africa sub-sahariana
[2 Novembre 2017]
E’ stato pubblicato oggi il primo atlante “Rural Africa in motion – Dynamics and drivers of migration South of the Sahara” di Fao e Centre de Coopération Internationale en Recherche Agronomique pour le Développement (Cirad) che ha ricevuto il sostegno tecnico del Centre for the study of governance innovation (GovInn) sudafricano, che intende approfondire la comprensione dell’emigrazione rurale dell’Africa sub sahariana de che inoltre sottolinea «il ruolo importante che le aree rurali continueranno a svolgere nel determinare i flussi migratori nei decenni a venire».
I 20 autori dell’atlante, che rappresentano diversi istituti di ricerca, think tank e organizzazioni internazionali africane e non, esplorano attraverso una serie di mappe e studi approfonditi la complessità delle cause interconnesse che spingono le persone in Africa a lasciare le loro case, fanno luce sulle dinamiche e le prospettive della migrazione regionale e promuovono la comprensione della migrazione rurale.
Un atlante che dovrebbero legge molti di coloro che in Italia e in Europa pensano che gli africani emigrino per un qualche “sfizio”. Questi semplificatori da bar che infestano i vertici dei Partiti politici italiani ed europei farebbero bene anche ad ascoltare il direttore generale aggiunto della Fao, Kostas Stamoulis, del dipartimento sviluppo economico, che spiega che in Africa «La crescita della popolazione si traduce in una massiccia espansione della forza lavoro. Circa 380 milioni di persone in età lavorativa entreranno per la prima volta nel mercato del lavoro entro il 2030. Di questi, circa 220 milioni si stima si troveranno nelle zone rurali. La sfida è generare abbastanza occupazione per assorbire questa forza lavoro in piena espansione. È per questo che l’agricoltura e lo sviluppo rurale devono essere parte integrante di qualsiasi risposta ai movimenti migratori di grandi dimensioni, L’atlante arriva al momento opportuno poiché la necessità di nuovi strumenti analitici per migliorare la nostra comprensione dei flussi migratori dell’Africa sta diventando sempre più pressante. Di fronte al cambiamento climatico e a una crescita della popolazione senza precedenti, l’atlante non solo fornisce una stimolante panoramica della migrazione rurale, ma può anche contribuire a creare azioni più coordinate e coerenti per affrontare l’emigrazione»,
Il direttore generale per la ricerca e la strategia del Cirad, Jean-Luc Khalfaoui,aggiunge: «Questo atlante è un contributo innovativo che sosterrà il dibattito politico non solo tra i governi e la comunità internazionale, ma anche tra e con gli stakeholder locali».
Intanto l’Atlante fa giustizia di alcune convinzioni sbagliate, rivelando 8° meglio confermando) che «La grande maggioranza degli africani (il 75%) migrano all’interno dell’Africa, mentre la stragrande maggioranza dei nord africani (circa il 90%) emigrano verso l’Europa. Quindi, l’Africa sub-Sahariana “è in movimento”, ma principalmente all’interno del continente. L’Africa occidentale e orientale sono le regioni più dinamiche con rispettivamente circa 5,7 milioni e 3,6 milioni di migranti intra-regionali nel 2015».
I dati a disposizione suggeriscono inoltre che «Nella maggior parte dei paesi dell’Africa sub-sahariana la migrazione interna è il modello dominante. Ad esempio, la metà dei migranti del Kenya e del Senegal si spostano all’interno delle frontiere nazionali, e in Nigeria e in Uganda, la migrazione nel paese è pari all’80%. Questo avvalora le stime globali che indicano che il numero di persone che si spostano all’interno dei loro Paesi è 6 volte superiore al numero di emigranti».
Ma l’Europa e il mondo devono e dovranno fare sempre xdi più i conti con il contesto e le caratteristiche demografiche unici dell’Africa sub-sahariana: «La popolazione dell’Africa subsahariana tra il 1975 e il 2015 è cresciuta di 645 milioni di persone e dovrebbe aumentare di 1,4 miliardi nei prossimi quarant’anni (entro il 2055), un elemento demografico unico nella storia del mondo – evidenzia il rapporto – Entro la metà di questo secolo, la popolazione rurale dell’Africa sub-sahariana si prevede aumenterà del 63%. L’Africa sub-sahariana è l’unica regione al mondo dove la popolazione rurale continuerà a crescere dopo il 2050. Per un’Africa prevalentemente rurale, questa crescita della popolazione significa una massiccia espansione della forza lavoro (circa 220 milioni di giovani rurali entreranno nell’età lavorativa nei prossimi 15 anni), aree rurali più fitte e una grande pressione sul settore agricolo, rendendo la necessità di diversificazione economica e la creazione di posti di lavoro più critici».
Ma chi è che sta migrando? I rapporto dice che «I migranti rurali sono per lo più giovani e la maggioranza viene da famiglie agricole. Circa il 60% dei migranti rurali sono in età compresa tra i 15 ei 34 anni. La maggior parte dei migranti sono uomini; tuttavia in alcuni paesi come il Mozambico, la Repubblica Democratica del Congo e il Burkina, le donne costituiscono la maggioranza di coloro che migrano. Le popolazioni rurali hanno in genere risultati scolastici inferiori rispetto alle loro controparti urbane, e i migranti rurali non costituiscono un’eccezione. I migranti, tuttavia, tendono a trascorrere altri anni a scuola rispetto chi resta».
La Fao fa notare un’altra “anomalia” dell’Africa sub-sahariana: a differenza di altre parti del mondo, «è diventata più urbana ma senza diventare più industrializzata. Le città sono caratterizzate da un settore urbano precario, dalla povertà spesso persistente e da opportunità di lavoro formali limitate. Più che altrove, gli africani si muovono non solo verso le città, ma anche fuori da esse e tra le aree rurali».
Come se non bastasse, climatico a causa della sua dipendenza dalla produzione alimentata dalla pioggia, che rappresenta il 96% del terreno agricolo, insieme a una capacità economica e istituzionale limitata di adattarsi agli impatti climatici, l’Africa subsahariana è particolarmente vulnerabile al cambiamento.
Gli studi indicano che «Le regioni tropicali sperimenteranno la perdita di grano e di mais come conseguenza perfino di piccoli cambiamenti di temperatura. Le perdite produttive per i cereali principali si stimano intorno al 20% entro il 2050 se non verranno prese misure per attenuare l’effetto del cambiamento climatico». L’atlante riflette sul complesso legame tra cambiamento climatico e migrazioni rurali, ma evidenzia che «Anche se le sfide ambientali possono influenzare la migrazione, la decisione di migrare è determinata anche da fattori sociali, economici e politici».
Per Fao e Cirad, «Mentre la complessità dei fattori interconnessi che conducono alla migrazione rende impossibile prevedere esattamente la dinamica migratoria del futuro», per individuare possibili scenari futuri di migrazione, l’atlante richiama l’attenzione su variabili cruciali, come la dimensione della popolazione rurale; la localizzazione e la presenza di eventi meteorologici estremi; i livelli di povertà e di fame; le opportunità di lavoro; la qualità della gestione governativa. Secondo l’Atlante «La gestione del futuro della migrazione dovrebbe coinvolgere: canali migratori sicuri, ordinati e regolari; lo sviluppo di grandi città sostenibili; maggiori investimenti nelle città intermedie; e lo sviluppo di piccoli habitat rurali con la fornitura di servizi di qualità».
La conclusione è che «La decisione di una persona rurale di migrare non dovrebbe essere dettata dalla sopravvivenza o dalla ricerca di una vita dignitosa ma ispirata da un’aspirazione per nuove esperienze. Affinché ciò accada, è necessario investire nell’agricoltura e nello sviluppo rurale e adottare una prospettiva territoriale, promuovendo i collegamenti rurali-urbani che contribuiranno a trasformare le aree rurali dell’Africa in “paradisi sicuri” offrendo una vita migliore».
Chi dice di volerli “aiutare a casa loro” ha ora anche a disposizione un prezioso atlante, ma dubitiamo che lo leggerà.