Oxfam: la fame nel mondo e l’inadeguato sostegno ai piccoli agricoltori, soprattutto donne
Una contadina della Tanzania al G7: «Investite su di noi per sconfiggere la fame»
[13 Ottobre 2017]
Secondo il rapporto Finanziare le donne in campo, diffuso da Oxfam alla vigilia del G7 agricoltura, «Un numero ancora troppo grande di piccoli agricoltori nei Paesi in via di sviluppo non riceve oggi gli aiuti necessari per sfamare le proprie famiglie e i mezzi necessari per adattarsi all’impatto dei cambiamenti climatici.
Il rapporto denuncia che «resta ancora molto da fare per sostenere la capacità di produzione e di adattamento ai cambiamenti climatici dei piccoli agricoltori, soprattutto donne, che ad oggi rappresentano il 60% delle persone che soffrono la fame nel mondo. Nonostante gli impegni assunti in passato, risultano ancora insufficienti gli stanziamenti da parte dei paesi donatori: certamente lo sono quelli previsti dall’Accordo sui cambiamenti climatici di Parigi, che dovrebbero raggiungere i 100 miliardi l’anno di finanziamento per azioni di mitigazione e adattamento nei paesi in via di sviluppo fino al 2020».
Elisa Bacciotti, direttrice delle campagne di Oxfam Italia, ha sottolineato: «Al G7 agricoltura non possiamo dimenticarci della sopravvivenza di decine di milioni di persone vittime della fame in molti paesi del mondo. Si tratta di uomini, donne e bambini che non hanno mezzi per resistere a siccità o eventi metereologici estremi, sempre più frequenti. I grandi donatori internazionali, a partire dai 7 Grandi, non possono più rinviare scelte dai cui dipende il presente e il futuro di gran parte del mondo più povero, in cui il settore agricolo è una fonte di sostentamento vitale per centinaia di migliaia di famiglie. L’Italia può giocare un ruolo chiave, a partire dall’aumento dei finanziamenti per lo sviluppo del settore agricolo di piccola scala dei paesi in via di sviluppo».
Il rapporto di Oxfam analizza «il livello di finanziamento pubblico stanziato da alcuni Paesi in via di sviluppo, soprattutto in Africa – in cui molti sistemi economici dipendono in buona parte dalla produzione agricola – e dai Paesi donatori allo sviluppo del settore agricolo e rurale.» ed evidenza che sia i governi nazionale che i Paesi donatori non si stanno impegnando a fondo, Il rapporto fa alcuni esempi: «Solo l’Etiopia ha raggiunto l’obiettivo fissato nella dichiarazione di Maputo del 2013 sui diritti delle donne in Africa, di destinare il 10% del bilancio dello Stato per il finanziamento delle attività delle donne impegnate in agricoltura, Nel 2014, il Ghana ha investito quasi la metà dei finanziamenti internazionali per l’adattamento ai cambiamenti climatici – sostenendo il settore agricolo – ma di questi finanziamenti, il ministero delle pari opportunità ha ricevuto, in media, dal 2010 al 2015, solo lo 0.1%, La Nigeria ha ricevuto una minima parte degli aiuti internazionali destinati al settore agricolo e allo sviluppo rurale (il 4.9%) nel periodo 2007-2015, L’Unione Europea, degli oltre 7.500 progetti di sviluppo agricolo finanziati tra il 2007 e il 2015, ha destinato solo lo 0.6% dell’aiuto all’obiettivo principale di eliminare la disuguaglianza di genere nel settore agricolo».
Il dossier di Oxfam analizza le politiche e gli investimenti pubblici nel settore agricolo con un focus su Paesi in via di sviluppo come Etiopia, Ghana, Nigeria e Tanzania, rappresentativi del contesto attuale, perché altamente minacciati dagli effetti del cambiamento climatico e dice che «In questi Paesi i finanziamenti e gli aiuti sono ancora insufficienti per consentire ai piccoli agricoltori di adattarsi e resistere al clima che cambia. Vale a dire a siccità, alluvioni, eventi meteorologici estremi che hanno una conseguenza diretta sull’aumento della fame nel mondo. Un dato non si può ignorare a questo proposito: nel 2016 la fame ha colpito 38 milioni di persone in più, per la prima volta dopo 10 anni. Secondo le attuali stime infatti, per realizzare l’obiettivo di eliminare la fame entro il 2030, i paesi in via di sviluppo e i Paesi donatori avranno bisogno di aggiungere alla loro spesa pubblica, 11 miliardi di dollari in più all’anno. Mentre per l’adattamento ai cambiamenti climatici, i Paesi a basso reddito potrebbero dover affrontare, entro il 2030, costi che oscillano tra i 140 e i 300 miliardi di dollari all’anno. A oggi, tristemente, i finanziamenti multilaterali stanziati negli ultimi anni ammontano a soli 345 milioni di dollari».
La Bacciotti ricorda che «Il cambiamento climatico è qui e ora e a farne le spese sono le contadine dei Paesi più poveri, costrette a fare i conti con la mancanza di acqua per irrigare i campi, le difficoltà di accesso al mercato, alla formazione, al credito. Il divario con gli uomini le porta a produrre il 20-30% in meno e con salari più bassi,seppur in media rappresentino il 43% della forza lavoro in agricoltura nei paesi in via di sviluppo. Sappiamo che se questo divario venisse riequilibrato, si potrebbe ridurre la fame del 17%, garantendo così un adeguato accesso al cibo a 150 milioni di persone in più».
Al G7 di Bergamo parteciperà Elinuru Palangyo, piccola produttrice agricola della Tanzania, che è tra i relatori di Obiettivo Fame Zero, un evento organizzato il 14 ottobre dal ministero delle politiche agricole all’Università degli studi di Bergamo, Elinuru sarà la voce di milioni di donne contadine, costrette ogni giorno ad affrontare difficoltà enormi per la mancanza di accesso al mercato, alla terra, al credito e alla formazione. E’ lei a raccontare a Oxfam: «Sono sempre riuscita a produrre cibo sufficiente per sfamare la mia famiglia, ma con la siccità e l’imprevedibilità delle stagioni degli ultimi anni non ce l’ho più fatta, Poi nel 2014 ho deciso di andare in TV e partecipare all’Oxfam Female Food Heros, un reality molto seguito nel mio Paese, che da anni offre la possibilità a contadine come me di mettersi in gioco. Incredibilmente, grazie al sostegno di tantissime persone, ho vinto e oggi vendo i miei prodotti al mercato locale, Faccio appello ai leader del G7 – conclude Elinuru – affinché siano date opportunità reali a milioni di donne che come me lottano ogni giorno per trovare una soluzione alla scarsità di cibo. Ci servono investimenti per migliorare le nostre competenze e adeguarci a una situazione che a volte stentiamo a capire».