Proteste degli agricoltori, Angelo Gentili: «Il nemico non è il Green deal»

Legambiente Agricoltura: ambientalisti e contadini facciano fronte comune contro la crisi climatica

[6 Febbraio 2024]

Gli agricoltori d’Europa sono scesi in strada. Le loro proteste hanno fatto il giro del mondo. Un’ondata di dissenso legato a doppio filo a una congiuntura economica che sempre di più mette a dura prova la sopravvivenza di migliaia di aziende Agricole  . Un momento assai complesso per le istituzioni europee ,che si trovano a dover arginare un movimento dal basso che si sta allargando a macchia d’olio anche nel nostro paese  e che rischia di vanificare gli sforzi fatti sul fronte ambientale negli ultimi decenni, semplificando pericolosamente una crisi niente affatto legata a European Green Deal e Politica agricola comune (PAC).

Ne abbiamo parlato con Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente.

 

Le agricoltrici e gli agricoltori d’Europa puntano il dito contro le politiche ambientali dell’Unione europea come se da queste derivasse la crisi economica in cui sono piombati. Perché siamo arrivati a questo punto?

Per prima cosa, è necessario precisare che il contesto attuale vede una parte consistente delle aziende agricole, specie quelle di piccole dimensioni, che sono la maggior parte ,  soccombere al cospetto di una diminuzione drastica del proprio reddito e di una impennata ingestibile dei costi vivi. Questo non può e non deve essere considerato un elemento di secondo ordine nella discussione. Ad  una già drammatica situazione economica , si sono poi aggiunti, nell’ultimo periodo, gravi squilibri a carico di rese e produzioni. La guerra in Ucraina, la crisi economica, gli effetti della crisi climatica sono state variabili che hanno inciso in maniera significativa nella vita quotidiana degli operatori del mondo  agricolo. Basti pensare al fatto che, solo in Italia, nel 2023 sono stati quarantuno gli eventi meteorologici estremi. Un numero elevatissimo, che ha generato danni nel comparto primario  per oltre sei miliardi di euro. Alluvioni, grandinate, gelate e siccità sono ormai calamità tristemente quotidiane da cui è assai difficile difendersi e che stanno provocando un brusco calo delle produzioni agricole . Di fronte a questo scenario, i rappresentanti del primo anello della catena legata alla produzione di cibo ,appaiono come i soggetti più deboli e  meno remunerati a causa di una filiera distributiva che non tiene conto dei loro interessi e troppo spesso declinata esclusivamente alla speculazione. Un fronte, quello speculativo, sempre più pesante ed evidente . Le enormi differenze che esistono infatti, tra quanto vengono pagati i prodotti agricoli all’origine e il prezzo finale, dimostrano l’impotenza di chi produce i prodotti della terra rispetto alle assurde leggi del mercato. Caso eclatante è quello del basso prezzo del latte, del grano,  della filiera cerealicola e di numerosi prodotti, che mette in enorme difficoltà aziende di ogni dimensione. Tutto questo ha generato un sentimento di  disperazione dilagante  che, in maniera del tutto strumentale e in vista delle elezioni europee, è stata  magistralmente diretta all’indirizzo delle iniziative politiche declinate alla sostenibilità. Una strumentalizzazione squisitamente politica, che ha come unico obiettivo quello di screditare le necessarie e non rinunciabili azioni finalizzate a rendere l’agricoltura sempre più green. Il punto è semplice: strumentalizzare i disagi e la mancanza di sicurezza economica significa alimentare il pericoloso meccanismo di causa ed effetto di cui gli agricoltori dovrebbero essere ben consapevoli, dovendo quotidianamente fare i conti a cielo aperto con un clima impazzito.

In un clima così incandescente serve fare chiarezza: dove sono gli errori?

Innanzitutto chiariamo subito che il Green deal europeo non è il nemico. E’, al contrario, un programma ambientale creato allo scopo di agevolare i percorsi di decarbonizzazione dell’Europa entro il 2050. Certo, gli obiettivi sono sfidanti, ma la crisi climatica lo è altrettanto e alternative a una transizione veloce e ben fatta non esistono. Deve essere chiarI che proprio dal Green deal passa invece il  futuro del mondo agricolo e non la sua fine. Occorre infatti una drastica diminuzione degli input chimici idrici ed energetici provocati dal sistema agroalimentare ed ancor di più è necessario adottare un modello che riduca drasticamente l’impatto ambientale di agricoltura e zootecnia intensiva adottando nel settore  buone pratiche virtuose e sostenibili. Lo chiede il pianeta ,sconvolto dai cambiamenti climatici, lo chiedono i consumatori che pretendono  cibo più sano per le loro tavole.  Mettere in discussione le strategie europee come la From farm to fork e la Biodiversity 2030 significa stravolgerne completamente i presupposti. Il cambiamento di rotta in ambito agricolo in favore della sostenibilità non è una punizione ,né la chiara volontà di affossare un’economia. Ciò che chiede l’Europa è esattamente ciò di cui l’agricoltura ha bisogno per poter sopravvivere. Il 25% in più di superficie coltivata con metodo biologico, la riduzione del 50% dell’utilizzo degli antibiotici negli allevamenti, il raggiungimento del 10% in più di aree ad alta biodiversità, la riduzione del 50% dell’utilizzo di fitofarmaci sono traguardi minimi strategici, non procrastinabili e, di certo, non un ostacolo. Anche solo pensare di stare alla larga da misure ambientalmente sostenibili in agricoltura significherebbe sancire la fine di ogni qualsivoglia attività agricola nei prossimi decenni. La crisi climatica,infatti, sovvertendo ogni previsione, corre velocissima e nessun trattore per strada riuscirà a fermarla. Inoltre l’agricoltura  a  maggior impatto ,e’ anche quella che è meno competitiva sul mercato , mentre l’agroecologia rappresenta senza alcun dubbio il futuro anche da questo punto di vista

Come ne usciremo?

L’auspicio è che si riesca a  saldare un’alleanza strategica, quanto mai necessaria, tra le ragioni dell’ecologia e quelle del mondo agricolo, partendo dal presupposto che l’unico vero nemico è chi difende le fossili e rallenta la transizione ecologica, strumentalizzando le legittime e indiscutibili ragioni di chi opera nel settore. Ciò al netto del fatto che molto può e deve essere migliorato. Infatti, la grave situazione in cui versa il mondo agricolo è frutto di una serie di programmazioni nel corso degli anni in cui la PAC, ad esempio, ha elargito finanziamenti a pioggia, premiando soprattutto le aziende più grandi (l’80% delle risorse sono state destinate solo al 20% delle aziende) e mettendo da parte i piccoli agricoltori. Un aspetto, questo, da correggere, ponendo al centro le medie e piccole aziende, che rappresentano i protagonisti principali  di un cambio di passo  e le buone pratiche ecologiche virtuose che favoriscono una produzione più sostenibile. Servirà poi un supporto sempre più concreto alla transizione del settore, snellendo la burocrazia, garantendo assistenza tecnica e politiche a sostegno del reddito, non lasciando sole le aziende agricole di fronte alle speculazioni del mercato finanziario e dei grandi gruppi.

L’agricoltura è indiscutibilmente un elemento importante della transizione, essendo una delle principali cause della crisi climatica. Tornare a guardare al convenzionale rischia di mettere a repentaglio l’intero Pianeta?

Certamente. In questa riflessione, infatti, è fondamentale non distogliere lo sguardo dal fatto che quello agricolo è un settore allo stesso tempo vittima e carnefice della crisi climatica. Il dato che indica il settore zootecnico come responsabile di due terzi delle emissioni dell’intero comparto non è da sottovalutare., così come le conseguenze negative legate all’agricoltura intensiva rispetto alla salvaguardia della biodiversità, la desertificazione dei suoli ,la sostenibilità delle produzioni. L’unica risposta alla crisi climatica è l’agroecologia, non solo un modello che assicura una maggiore resilienza, ma anche uno strumento capace di salvaguardare ecosistemi, abbattere le emissioni, generare prodotti più salubri per i consumatori e garantire al tempo stesso, appunto, una maggiore competitività. Se abbinata al made in Italy, l’agroecologia, infatti, rappresenta una scommessa vincente anche sotto il profilo economico.

Le agricoltrici e gli agricoltori, però, da soli non possono farcela.

Sia ben chiaro: pensare di lasciare che del passaggio verso la sostenibilità se ne facciano principalmente carico gli operatori del settore è un errore. Questi ultimi ,devono essere invece sostenuti e premiati anche per il ruolo che svolgono nel realizzare la transizione ecologica del settore e  al tempo stesso i servizi ecosistemici. Certamente, non è congelando gli obiettivi delle strategie europee, non prevedendo diminuzioni dell’utilizzo dei pesticidi né la presenza di aree ad alta biodiversità come siepi e boschetti nei campi, che si daranno risposte concrete alle esigenze dell’agricoltura. Ciò contribuirà solo a una marcia indietro paradossale e assurda sul cammino verso una transizione che non può permettersi battute di arresto.

La soluzione è stringere una nuova alleanza con il settore agricolo?

Occorre innanzitutto senza alcun dubbio, dare risposte chiare e concrete rispetto al reddito del settore agricolo che è sempre più basso e spesso vicino  ai limiti della sopravvivenza , soprattutto per le piccole e medie aziende che versano in una situazione di gravissima difficoltà. Basti pensare che negli ultimi 100 anni abbiamo perso 10 milioni di ettari di terreno agricolo e ed in poco più di 10 anni l’italia ha perso 320000 aziende . Ma, ripeto, il vero nemico non è il Green Deal che deve vedere, invece, le agricoltrici e gli agricoltori come i soggetti strategici del cambiamento in chiave ambientale del settore, contribuendo concretamente e senza indugi a raggiungere gli obiettivi indicati dall’Europa. Obiettivi questi, già messi in atto da molti operatori come quelli del settore biologico (in crescita esponenziale), dalle piccole aziende agricole delle aree marginali collinari e montane, presidi territoriali e antidoto contro l’abbandono dei campi, da quelle che stanno investendo nel ricambio generazionale, nell’innovazione digitale e tecnologica, nella gestione corretta degli usi irrigui, nell’efficienza energetica, nelle energie rinnovabili, nella decarbonizzazione. Realizzare un modello di agricoltura in grado di rispondere alle esigenze di chiede cibo più sano e di filiera corta, capace di mettere in pratica la transizione ecologica e pensato per sostenere il reddito degli agricoltori, è l’unica via che possiamo seguire, creando appunto una alleanza strategica tra produttori e consumatori, basata proprio sulla sostenibilità ecologica: dall’incremento della fertilità dei suoli per contrastare la desertificazione, alla diminuzione degli input chimici, idrici ed energetici, dall’innalzamento dell’asticella della lotta integrata, alla drastica diminuzione di agricoltura e allevamento intensivi, a una sempre più intensa ricerca in innovazione, all’aumento dell’agricoltura biologica.