68 Paesi firmano il trattato sulla protezione dell’alto mare. L’Italia non c’è, l’Ue sì

Wwf e Greenpeace: un grosso passo aventi, ma serve far presto ed essere coerenti

[22 Settembre 2023]

Sei mesi dopo aver trovato un accordo sul testo del Trattato sulla protezione dell’alto mare e dopo che il trattato è stato formalmente adottato il 19 luglio, il 20 settembre è stato formalmente aperto alla firma da parte dei governi e per entrare in vigore, sono necessarie 60 ratifiche che sono state raggiunte durante, con  68 Paesi firmatari, compresa l’Unione Europea, ma per ora non l’Italia che pure per il Trattato aveva spinto molto con i precedenti governi. Il Wwf ha commentato: «Auspichiamo che l’Italia, sebbene non sia uno step necessario affinché il trattato entri in vigore nel nostro Paese, segua l’esempio di altri Paesi dell’Unione europea e dia un segnale forte firmando il Trattato».

Secondo Jessica Battle, senior global ocean governance and policy expert del Wwf International, «Con la firma del Trattato, i governi dimostrano il proprio impegno a ripristinare e conservare la salute degli oceani. E’ un segnale forte: i Paesi sono pronti a lavorare congiuntamente e a passare rapidamente dalle parole ai fatti per perseguire un futuro nature-positive. Il Wwf chiede ai governi di continuare a sostenere questo processo fino alla ratifica: c’è ancora molto da fare prima che il vero lavoro sull’implementazione possa iniziare».

Mads Christensen, direttore esecutivo di Greenpeace International, sottolinea: «Accogliamo con favore così tanti governi che firmano il Trattato delle Nazioni Unite sull’oceano. Ciò invia un segnale forte al mondo che i governi manterranno lo slancio verso la protezione del 30% degli oceani entro il 2030, dopo lo storico accordo del Trattato di marzo. Ma questa firma è un momento puramente simbolico, ora i politici devono portare a casa il Trattato e garantirne la ratifica in tempi record.  Abbiamo meno di sette anni per proteggere il 30% degli oceani, non c’è tempo da perdere. La corsa alla ratifica è iniziata ed esortiamo i Paesi ad essere ambiziosi, ratificare il Trattato e assicurarsi che entri in vigore nel 2025».

Dopo più di 20 anni di discussioni e rinvii, il Trattato sull’Alto Mare stabilisce meccanismi per conservare e utilizzare in modo sostenibile la biodiversità marina nei due terzi dell’oceano che si trovano al di fuori della giurisdizione nazionale. Secondo il Wwf, «Questo accordo è necessario per implementare il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (GBF), che impegna i Paesi a proteggere almeno il 30% degli oceani entro il 2030. Permetterà la designazione di reti rappresentative di aree marine protette in alto mare e di solide valutazioni dell’impatto ambientale, e aiuterà a colmare le lacune nell’attuale mosaico di organi di gestione, con il risultato di una migliore cooperazione e di un minore impatto cumulativo delle attività in settori al di fuori della giurisdizione nazionale, quali la navigazione marittima, la pesca industriale e lo sfruttamento di altre risorse».

Per Greenpeace International, «I santuari oceanici, liberi da ogni attività distruttiva, sono una soluzione essenziale alla crisi oceanica. Meno dell’1% dell’alto mare è adeguatamente protetto, quindi i governi devono agire rapidamente per utilizzare il trattato per iniziare a fornire protezione in mare». Ma l’organizzazione ambientalista fa l’esempio della Norvegia che ha firmato il Global Ocean Treaty. «Ma allo stesso tempo, il governo norvegese ha proposto di aprire una vasta area nell’Artico sensibile all’estrazione mineraria in alto mare» e un corteo di ciclisti ha seguito il percorso del primo ministro norvegese attraverso New York City fino all’Assemblea Generale dell’Onu, esponendo cartelli on la scritta “Norway Stop Deep Sea Mining”.

Christensen conclude: «Se governi come la Norvegia prendono sul serio la protezione degli oceani, devono dimenticare l’estrazione mineraria in alto mare, che rischia di distruggere gli ecosistemi vulnerabili nell’Artico e la reputazione della Norvegia a livello internazionale. Gli oceani sono già sottoposti a un’immensa pressione e hanno bisogno di più protezione, non di più sfruttamento».