Alle Hawai’i si pescano più tonni grazie alla grande Area marina protetta di Papahānaumokuākea

Dopo l’istituzione del Papahānaumokuākea Marine National Monument aumentate tutte le specie ittiche

[21 Ottobre 2022]

Secondo lo studio “Spillover benefits from the world’s largest fully protected MPA”, pubblicato su Science da  Sarah Medoff  e John Lynham dell’università delle Hawai’i – Mānoa e da Jennifer Raynor dell’università del Wisconsin – Madison, «Le no-fishing zones individuate con cura possono aiutare a ripristinare i tonni e altre grandi e iconiche specie di pesci».

All’ateneo hawaiano  ricordano che «E’ risaputo che le no-fishing zones possono avvantaggiare la vita marina sedentaria, come i coralli o l’aragosta. Tuttavia, fino ad ora, si presumeva che nessuna area marina protetta potesse essere sufficientemente grande da proteggere le specie che percorrono lunghe distanze, come i tonni. Questa ripresa è una buona notizia per l’ambiente e l’industria globale della pesca del tonno, che genera 40 miliardi di dollari di entrate ogni anno e sostiene milioni di posti di lavoro in tutto il mondo».

Lynham, che insegna economia al College of Social Sciences di Mānoa, sottolinea che « Dimostriamo per la prima volta che una zona vietata alla pesca può portare al recupero e alla diffusione di una specie migratoria come il tonno obeso» che nelle Hawai’i viene chiamato ʻAhi (Thunnus obesus) e benefici ancora maggiori ci sono stati anche per gli stock di tonno pinna gialla (Thunnus albacares).

Utilizzando i dati raccolti a bordo dei pescherecci da osservatori scientifici, lo studio finanziato dalla National Oceanic and Atmospheric Administration e dalla National Science Foundation ha rilevato che la più grande no-fishing zone del mondo, il Papahānaumokuākea Marine National Monument, «Ha fatto aumentare del 54% il tasso di cattura del tonno pinna gialla nelle acque vicine. I tassi di cattura del tonno obeso sono aumentati del 12%; i tassi di cattura per tutte le specie ittiche messe insieme sono aumentati dell’8%».

A parte il loro significato economico, il tonno pinna gialla e il tonno obeso hanno da sempre occupato un posto centrale nella cultura e nella dieta delle Hawaii. La Medoff, ricercatrice alla School of Ocean and Earth Science and Technology dell’UH Mānoa, sottolinea che «Essendo nata e cresciuta alle Hawaii, so quanto qui per la comunità sia importante l’ʻahi. Non è solo qualcosa da mangiare nei ristoranti di sushi alla moda, è il punto focale di riunioni di famiglia, matrimoni, compleanni, cerimonie di laurea e feste di Capodanno. E’ rassicurante sapere che il Monument sta proteggendo questa risorsa per i miei figli e per le generazioni future».

L’estensione di questa no-fishing zone – 1.510.000 km2 quasi 5 volte l’Italia – e l’apparente comportamento di “ritorno a casa” di alcune specie di tonno presenti nella regione oceanica, hanno probabilmente svolto un ruolo negli effetti positivi osservati.

La Raynor, del Department of forest and wildlife ecology dell’università del Wisconsin – Madison, spiega che «Negli ultimi 30 anni, abbiamo appreso che i tonni non si avventurano così lontano da casa come pensavamo una volta. Le isole Hawai’i sono una nursery per i piccoli dei tonni pinna gialla e abbiamo scoperto che molti di questi pesci rimangono nella regione».

Il Papahānaumokuākea Marine National Monument è stato creato nel 2006 e ampliato nel 2016 per proteggere le risorse biologiche e culturali, non specificamente per generare benefici per la pesca al tonno a locale. L’area è considerata sacra dai nativi hawaiani e il Monument è co-gestito dai nativi hawaiani, dallo stato delle Hawai’i e dal governo federale Usa. E Lynham  commenta: «E’ importante sottolineare che questa area protetta non è stata creata con l’intenzione di proteggere il tonno. Questo beneficio per i pesci è stato un felice incidente dell’intento iniziale, che era quello di proteggere la biodiversità e le aree culturalmente importanti».

Le aree marine protette sono viste come uno strumento vitale per salvaguardare gli oceanil’Unione europea punta a proteggere il 30% dei suoi mari e oceani (il 10% con no-fishing zones) entro il 2030 e altrettanto dovrebbe decidere la 15esima Conferenza delle parti della Convention on biological diversity (Cop15 CBD) che si terrò a Montreal a dicembre.

Kekuewa Kikiloi, dell’UH Mānoa Kamakakūokalani Center for Hawaiian Studies, che non è stato coinvolto nello studio, ha concluso: «Questa ricerca di Medoff et al. riafferma il valore delle aree marine protette su larga scala nel Pacifico. Le protezioni per Papahānaumokuākea per le quali si sono battuti i nativi hawaiani e da altri stakeholders e parti interessate servono a beneficio di tutti, compresi gli interessi della pesca».