Biodiversità, hai detto biodiversità?

Perché è ancora politicamente accettabile essere scettici sulla crisi della biodiversità

[1 Giugno 2023]

Sono stati necessari diversi decenni per ottenere l’accettazione della realtà della crisi climatica e dei rischi associati. Ma per quanto riguarda la crisi della biodiversità? Secondo l’ecologo Philippe Grandcolas, coautore del libro “Tout comprendre (ou presque) sur la biodiversité” (CNRS Éditions, maggio 2023), c’è ancora un rifiuto di sensibilizzare, mentre ci avviciniamo alla crisi della sesta estinzione di massa.

 

 

E’ sempre spiacevole essere richiamati alle proprie responsabilità e porre fine a comportamenti scorretti… Questo è probabilmente il motivo per cui è stato così difficile ammettere la realtà della crisi climatica. Tanti anni di negazionismo del ruolo delle nostre emissioni di gas serra per arrivare ancora oggi a interminabili discussioni sui modi per praticare l’essenziale sobrietà! L’expertise scientifica collettiva di piattaforme internazionali come l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha svolto un ruolo importante in questa consapevolezza e accettazione: quando l’intera comunità scientifica è d’accordo sull’osservazione della crisi e delle sue cause grazie all’analisi di tutte le la ricerca pubblicata e validata dai colleghi, diventa difficile negare o fingere il contrario! Certo, una minoranza prova ancora a fare questo esercizio di negazionismo per testardaggine o per interesse immediato, ma in realtà negare il riscaldamento globale e le sue cause non è più politicamente corretto.

Per quanto riguarda la crisi della biodiversità, invece, ne siamo ancora lontani: perché è ancora politicamente accettabile essere scettici sulla biodiversità, negare la portata della crisi, le sue cause, le sue conseguenze, o l’impossibilità di supplire tecnologicamente, nonostante le approfondite analisi della piattaforma intergovernativa IPBES sulla biodiversità? Perché le analisi scientifiche sulla crisi della biodiversità sono spesso erroneamente percepite come ispirate da una bizzarra dottrina militante o politica?

Biodiversità, un concetto giovane in cerca di riconoscimento

Probabilmente perché il concetto di biodiversità non è compreso o accettato da tutti. Creato appena cinquant’anni fa, il suo scopo era quello di renderci consapevoli che le differenze tra individui, specie o ecosistemi sono spesso altrettanto importanti, se non di più, dei loro punti in comune. Se osserviamo un’ape su un fiore, possiamo vedere chiaramente due organismi molto diversi, risultato di un’evoluzione in interazione per 150 milioni di anni. Ciascuno di questi partner ha le sue particolarità, permettendo a uno di nutrirsi di nettare e polline e all’altro di riprodursi. Questo è ciò che conta oggi, in termini di funzionamento degli ecosistemi o di produzione alimentare umana! Tali esempi di funzioni o interazioni si contano a milioni negli ecosistemi e ci forniscono quotidianamente la miriade di servizi che ingenuamente diamo per scontati, per il nostro cibo, la nostra salute o la regolazione del clima. Insomma, un elogio della diversità… compresa la solitaria specie umana sul magnifico piedistallo sul quale  la collochiamo, mentre è parte integrante di tutti gli ecosistemi.

Ma il nostro apprezzamento della biodiversità è ancora troppo spesso culturalmente limitato. Associata alle foreste tropicali, alle barriere coralline e ad altri animali carismatici, la parola biodiversità non evoca nella nostra mente le specie che coltiviamo o alleviamo, né i patogeni che attaccano il nostro corpo. Un po’ come se, per esempio, i professionisti dell’agronomia o della medicina, “manipolassero” un particolare essere vivente a cui non si applicano le leggi dell’ecologia e dell’evoluzione! Inoltre, ignoriamo beatamente ciò che non percepiamo direttamente, che si tratti di vita microbica, evoluzione biologica che opera al ritmo lento delle generazioni o di interazioni fugaci ma essenziali tra organismi.

L’umano di fronte a una sesta crisi dell’estinzione

A questa incoerenza si aggiungono molteplici conflitti di interesse che le nostre società non hanno ancora imparato ad affrontare efficacemente nei loro processi informativi o decisionali. Quante opinioni perentorie o tentativi di influenzare vengono così ingannevolmente presentati come buon senso o necessità socio-economiche, causando terribili conseguenze per l’umanità?

Il potere delle nostre azioni e i loro effetti sull’ambiente sono diventati drammatici dall’epoca moderna. Orgogliosi dei nostri successi scientifici (e giustamente!), pensiamo di poter controllare le conseguenze di queste azioni attraverso una fuga in avanti industriale, con esternalità molto negative che non imputiamo mai al bilancio delle nostre azioni… E stiamo provocando la sesta crisi di estinzione, mille volte più veloce delle crisi precedenti. Ogni anno distruggiamo habitat per milioni di ettari (foreste, zone umide, mangrovie, ecc.), sfruttiamo eccessivamente, inquiniamo, sconvolgiamo il clima e trasportiamo specie esotiche, il tutto a un ritmo vertiginoso, come ha analizzato sinteticamente l’IPBES nel 2019.

I pericoli derivanti da questa crisi ci stanno colpendo duramente: malattie emergenti, indisponibilità di acqua, impollinazione insufficiente, suoli sterili, e non ci rendiamo nemmeno conto che il danno agli ecosistemi è una causa fondamentale!

Non conosciamo l’enorme potere della biodiversità, legato alle sue capacità biologiche di riproduzione, dispersione ed evoluzione. Queste capacità attualmente ci servono male quando si tratta di specie invasive o organismi vettori. Ma potremmo ancora usarli a nostro vantaggio con soluzioni basate sulla natura, al fine di porre rimedio efficacemente ai danni causati, proteggendo o ripristinando gli ecosistemi.

Di fronte all’emergenza, ora spetta a tutti, eletti, decisori, manager o cittadini, fare propria la conoscenza convalidata dalla comunità scientifica. Siamo tutti preoccupati ma le nostre azioni saranno efficaci solo se ne conosceremo – scientificamente – le cause!

di Philippe Grandcolas

Questo articolo è stato pubblicato il 30 maggio su CNRS Le Journal