Caccia e Covid: le Regioni non possono disporre misure meno rigorose di quelle dello Stato
Bocciata la Legge della Valle d’Aosta. Enpa, Lav, Legambiente, Lipu e Wwf: giudizio estendibile anche alle altre Regioni che hanno preso provvedimenti simili
[18 Gennaio 2021]
Con l’Ordinanza n. 4 del 14 gennaio 2021, la Corte Costituzionale «Sospende l’efficacia della legge della Regione Valle d’Aosta 9 dicembre 2020, n. 11 (Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nelle attività sociali ed economiche della Regione autonoma Valle d’Aosta in relazione allo stato d’emergenza), impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri».
Con quella legge, la Regione autonoma Valle d’Aosta ha, tra l’altro, individuato attività sociali ed economiche, tra le quali la caccia, il cui svolgimento è consentito, nel rispetto dei protocolli di sicurezza, anche in deroga a quanto contrariamente stabilito dalla normativa statale, recante misure di contrasto alla pandemia da Covid-19. La Corte Costituzionale evidenzia che in tal modo la legge regionale impugnata, si è sovrapposta alla normativa statale, in un ambito di competenza esclusiva dello Stato, portando al «concreto e attuale rischio che il contagio possa accelerare di intensità, per il fatto di consentire misure che possono caratterizzarsi per minor rigore; il che prescinde dal contenuto delle ordinanze in concreto adottate».
In un comunicato congiunto, Enpa, Lav, Legambiente, Lipu e Wwf Italia evidenziano che «Sebbene si tratti di una ordinanza cautelare questa pronuncia certifica e riconosce una diffusa tendenza delle regioni che, dalla Valle D’Aosta alla Puglia e alla Calabria, dall’Abruzzo alla Toscana, dalla Campania alla Lombardia, dal Molise all’Umbria e alla Sardegna fino al Veneto continuano ad emanare leggi o provvedimenti amministrativi che si pongono in pieno contrasto con i DPCM vigenti e oltre a violare il principio costituzionale di uguaglianza, mettono concretamente a rischio la salute dei cittadini. Il filo conduttore di queste operazioni è la materia venatoria il cui svolgimento è stato addirittura ritenuto uno ‘stato di necessità’ dimenticando che si tratta di una mera attività ludica svolta da privati cittadini che nulla ha a che fare con il controllo faunistico e con le azioni pubbliche necessarie a tutelale delle colture agricole».
Per esempio, qualche giorno fa la Lega abolizione della caccia (LAC) se la prendeva con «Le “marchette” di fine anno in favore della piccola lobby dei cacciatori liguri. Il presidente della Regione Liguria Toti ha firmato l’ordinanza n. 86 del 23/12/2020 con la quale ammette lo spostamento dei cacciatori liguri in eventuale zona arancione, in tutti i comuni degli Ambiti Territoriali di Caccia (in genere grandi come mezza provincia) a cui sono iscritti, sino al 15 gennaio 2021, in palese violazione dell’ultimo DPCM del 3 dicembre scorso in materia di misure per fronteggiare l’epidemia da Covid-19». Surreali le motivazioni a sostegno del provvedimento (che include anche l’allenamento dei cani da caccia) , come: “la tutela della sicurezza e della incolumità delle persone” (sic !), l’asserita “attività di pubblico servizio” prestata da chi si diverte dei boschi e campagne con un fucile in spalla, per arrivare alla “limitazione dei sinistri stradali”. In pratica sparare ai tordi da un appostamento, o ricercare una beccaccia nel bosco per abbatterla, viene equiparato all’essere un pompiere o un medico condotto».
La Lac evidenziava che «Nel silenzio assordante dei Prefetti , lo sfregio alle disposizioni statali e l’illegale disparità di trattamento con i “normali” cittadini, che -specialmente nei giorni interessati dal “Decreto-Legge Natale” 172/2020- non possono spostarsi per motivi meramente ricreativi da un comune all’altro, visto che per le fucilate agli animali selvatici le disposizioni nazionali non hanno previsto alcuna deroga».
Enpa, Lav, Legambiente, Lipu e Wwf ricordano che «hanno già da tempo denunciato al Governo e alle stesse regioni, questa pericolosa deriva che sacrifica, in maniera ingiustificabile, la tutela della salute sull’altare degli interessi elettoralistici producendo diseguaglianze e disparità di trattamento tra i cittadini e continueranno a denunciare, tanto in sede istituzionale, quanto in sede giudiziaria, ogni futuro simile tentativo».