Corte dei conti europea: l’Ue difende poco i suoi mari. Manca una rete di Aree marine protette efficace, ben gestita e ben connessa

Così le Amp esistenti hanno fornito una limitata protezione della biodiversità marina, mentre continua la pesca eccessiva, specialmente nel Mediterraneo

[26 Novembre 2020]

Secondo la relazione speciale “Ambiente marino: la protezione esercitata dall’Ue è estesa ma non va in profondità”, pubblicata oggi dalla Corte dei conti europea, «L’azione dell’Ue non ha condotto al recupero di ecosistemi e habitat marini significativi. Il quadro normativo Ue per la protezione dell’ambiente marino non va abbastanza in profondità da riuscire a riportare i mari ad un buono stato ecologico ed i fondi dell’Ue raramente sostengono la conservazione di specie e habitat marini».

L’audit ha preso in esame il periodo dal 2008, anno di adozione della direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino, al marzo 2020, e ha riguardato sostanzialmente il golfo di Biscaglia e la costa iberica, la Macaronesia e il Mediterraneo occidentale. Gli auditor della Corte hanno visitato gli Stati membri nei quali parte della fascia litoranea si affaccia su queste zone marine: Italia, Spagna, Francia e Portogallo.

Il 2020 è stato un anno cruciale per l’Ue in termini di conseguimento degli obiettivi per l’ambiente marino e nel 2021 si terrà una riunione della Conferenza delle Parti della Convention on biological diversity. La relazione di audit della Corte contribuirà certamente al dibattito sulle future opzioni, ma dimostra fin d’ora che la tutela dei mari europei e<è frammentaria e spesso trascurata e che occorre recuperare un grosso ritardo per raggiungere il target del 30% di mare europeo protetto (con il 10% totalmente protetto) previsto dalla nuova strategia per la Biodiversità approvata dall’Unione europea.

La Corte ha rilevato che attualmente  «Le aree protette marine (AMP) rappresentano la misura più emblematica di conservazione dell’ambiente marino. Ai sensi della direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino, gli Stati membri sono tenuti a creare reti coerenti di dette aree; l’Ue aveva poi l’obiettivo di proteggere il 10 % dei propri mari entro il 2020. La valutazione del ruolo delle aree marine protette operata dalla Corte è in linea con quanto riscontrato dall’European environment agency: quest’ultima ha rilevato l’assenza di una rete di AMP efficace, ben gestita e ben connessa.  Di conseguenza, dette aree hanno fornito una limitata protezione della biodiversità marina, mentre continua ad esservi praticata una pesca eccessiva, specialmente nel Mediterraneo».

Che è il contrario delle accuse e lamentele per i troppi vincoli che sono il cavallo di battaglia di chi si oppone all’istituzione delle Aree marine protette.

La relazione ricorda che «L’Ue è impegnata a proteggere l’ambiente marino tramite le proprie politiche in materia di ambiente e pesca. Le principali politiche in materia di ambiente marino sono definite nella direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino e nelle direttive Uccelli e Habitat; esse prevedono, tra l’altro, l’istituzione di una rete di aree marine protette. La politica comune della pesca dell’Ue mira a garantire, mettendo a disposizione fondi, attività di pesca sostenibili dal punto di vista ambientale e con un impatto negativo minimo sugli ecosistemi marini. L’Ue non è però riuscita ad arrestare la perdita di biodiversità marina nei mari d’Europa».

João Figueiredo, responsabile della relazione per la Corte dei conti europea, sottolinea che «Data la loro importanza economica, sociale e ambientale, i mari costituiscono un vero tesoro. Tuttavia, l’azione dell’Ue non è finora riuscita né a far tornare i mari europei ad un buono stato ecologico, né la pesca a livelli sostenibili. L’audit della Corte segnala chiaramente una situazione allarmante riguardo alla protezione dei mari dell’Ue».

Il giudizio della corte evidenzia una scarsa incisività nell’attuare le misure di salvaguardia degli ambienti marini: «Nella pratica, il quadro normativo dell’Ue fornisce una protezione soltanto limitata della biodiversità marina. Le più di 3.000 aree marine protette rappresentano probabilmente la misura più emblematica di conservazione dell’ambiente marino. Tuttavia, sebbene tali aree costituiscano una ampia rete di protezione, la Corte rileva che tale rete non va in profondità».

Una constatazione che è in linea con un recente rapporto dell’European environment agency, dalla quale emerge che  meno dell’1 % delle aree marine protette europee potevano essere considerate riserve marine soggette a una protezione totale.  La Corte dei conti europea concorda ed evidenzia che «Per essere efficaci, le aree marine protette dovrebbero coprire in modo sufficiente le specie marine maggiormente minacciate ed i relativi habitat, comprendere restrizioni alla pesca, ove necessario, ed essere ben gestite. Ciò è lungi dall’essere il caso oggi». Quindi, le Aree marine protette esistenti non tutelano troppo, tutelano troppo poco, e la Corte invoca vincoli maggiori e fatti rispettare meglio.

«Analogamente – fa notare la Corte – gli strumenti di regolamentazione che collegano la politica dell’Ue sulla biodiversità marina alla politica in materia di pesca non funzionano, di fatto, correttamente».  Nelle zone marine esaminate dagli auditor della Corte, «Tali strumenti non sono ancora stati usati con successo».

La Corte aggiunge che «La rete Natura 2000 istituita dalle direttive Uccelli e Habitat è la pietra angolare degli sforzi profusi dall’Ue per proteggere la biodiversità. Altri strumenti normativi dell’Ue prevedono disposizioni di protezione che si riferiscono a specie e habitat elencati in queste due direttive. La Corte ha osservato che gli elenchi delle specie e degli habitat minacciati stilati oltre 25 anni fa non tengono conto di recenti conoscenze scientifiche. Pertanto, detta normativa non protegge alcune specie minacciate». Inoltre, «Gli Stati membri non possono imporre restrizioni alle attività di pesca oltre le rispettive acque territoriali senza intraprendere discussioni multilaterali. Ciò complica la protezione dell’ambiente marino».

Critiche che sono analoghe a quelle fatte da molte associazioni ambientaliste per quanto riguarda la gestione spesso solo sulla carta delle ZpS e Zsc/Sic a mare – per non parlare del Santuario internazionale del mammiferi marini Pelagos – e alla carenza di una sorveglianza efficace e continua nelle Area marine protette.

La pesca ha un impatto considerevole sull’ambiente marino e la Corte evidenzia che «Nell’Atlantico, dove la gestione della pesca è legata per lo più ai limiti imposti alle catture ammissibili, c’è stato un miglioramento misurabile. La maggioranza degli stock ittici era oggetto di una pesca sostenibile. Tuttavia, molti stock erano ancora oggetto di pesca eccessiva», mentre nel Mediterraneo non c’è stato alcun segno concreto di progressi: «Nel Mediterraneo, dove la gestione della pesca prevede per lo più limitazioni dello sforzo di pesca (e non delle catture), i tassi di pesca avevano raggiunto livelli due volte superiori a quelli sostenibili». L’Eea recentemente ha segnalato che solo il 6% degli stock esaminati nel Mediterraneo rispetta i criteri del “rendimento massimo sostenibile”. La stessa Eea chiede di istituire nuove Aree marine protette e di ampliare quelle esistenti e di rafforzarne efficacemente la governance. Proprio per tutelare le risorse ittiche e consentirne un utilizzo sostenibile e duraturo.

La Corte raccomanda che, «Dato il degrado degli ecosistemi marini registrato da lungo tempo nel Mediterraneo, la Commissione, insieme agli Stati membri interessati, dovrebbe: o valutare l’opportunità di istituire ulteriori zone di pesca protette Ue nel Mar Mediterraneo a livello di bacino marittimo; o riferire periodicamente sui progressi compiuti e sulla necessità di azioni correttive, nel quadro del piano pluriennale per il Mediterraneo occidentale, affinché possano essere individuate e adottate azioni correttive».

La Corte dice anche che «Per rafforzare i collegamenti tra la politica dell’ambiente e quella della pesca, la Commissione, insieme agli Stati membri, dovrebbe individuare le modifiche amministrative e normative necessarie a proteggere le specie e gli habitat vulnerabili; tali modifiche dovrebbero: o facilitare una più celere applicazione delle misure di conservazione previste dal regolamento PCP e dalla direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino ed o estendere la protezione a più specie (in particolare quelle ritenute gravemente minacciate) e a più habitat, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche».

Secondo le politiche dell’Ue, i finanziamenti europei dovrebbero essere utilizzati per sostenere la protezione dell’ambiente marino, ma la Corte denuncia che «Solo una piccola quota di essi è usata per tale finalità». Per il periodo 2014‑2020, al Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) sono stati assegnati 6 miliardi di euro, ma la Corte stima che i quattro Stati membri che ha visitato – Spagna, Francia, Italia e Portogallo –  «Ne avevano utilizzato solo il 6% circa per interventi direttamente collegati alle misure di conservazione e un ulteriore 8% per misure aventi un impatto meno diretto sulla conservazione. Di questo ammontare, meno di 2 milioni di euro (0,2 %) erano stati utilizzati per limitare l’impatto della pesca sull’ambiente marino».

Detto questo, la Corte dei conti europea conclude che «I fondi Ue possono fare la differenza, come osservato in buoni esempi di progetti finanziati tramite il programma LIFE e l’iniziativa Interreg dell’Ue».