Green economy, quale svolta per i parchi italiani?
[2 Novembre 2015]
Tra le novità ambientali sicuramente quella più evidente è l’intreccio tra la crisi dell’ambiente e quella economico-sociale. È quanto emerge dall’Enciclica di Bergoglio come dall’Expo appena conclusa, e di questo si discuterà anche a Parigi. Che si tratti del riscaldamento globale o di un’agricoltura in grado di assicurare cibo sano per tutti, della pesca o del dissesto idrogeologico e il consumo del suolo, l’ambiente deve fare i conti con l’economia e l’economia con l’ambiente. Tra i non moltissimi segnali positivi anche da noi come in Europa – vedi rapporto Unioncamere-Symbola – vi sono i dati riguardano la green economy specie nel settore delle energie rinnovabili. Non si registrano invece almeno finora significativi mutamenti nelle politiche di tutela, anche nei casi in cui da anni operano leggi importanti e innovative come quella sui bacini idrografici o i parchi e le altre aree protette.
Si è detto che finalmente il parlamento stia approvando una legge in cui per la prima volta si fa riferimento alla ‘green economy’. Ricordo bene le discussioni di anni fa sui piani dei parchi che in base alla legge 394 di piani ne avrebbero dovuti farne due, uno ambientale e uno socio-economico. Il secondo non l’ha fatto quasi nessuno (i maggiori parchi nazionali non hanno fatto neppure il primo) perché l’errore fu prevederlo come separato dall’ambiente ma il senso era indiscutibilmente chiaro; il parco deve occuparsi del suo territorio sotto tutti i profili. E la Carta della Natura (mai completata) a cosa doveva servire se non a capire a quale impatto avrebbe potuto reggere il nostro territorio per non essere disastrato da politiche in cui l’interesse economico-finanziario prevalesse su quello ambientale? E i piani di bacino e dei fiumi non avrebbero dovuto muoversi in questa logica di economie sostenibili, contrariamente a quanto è avvenuto con le tante alluvioni e disastri? Dire che finalmente la green economy ha anche in Italia un suo riconoscimento suona un po’ singolare, anzi strano. Anche perché -tanto per fare un esempio di cui si è tornati anche recentemente a parlare – tra le modifiche in discussione al senato alla legge 394 vi è proprio quella di consentire in aree protette interventi che con la green economy hanno ben poco anzi nulla a che vedere. E non credo sia un caso che il presidente Toti in Liguria tra i suoi primi interventi abbia previsto la riduzione dei territori in cui operano le aree protette. Saranno contenti quelli che pensano che i parchi siano cresciuti troppo e che un eventuale cura dimagrante non possa che fargli bene. Ma che questo segni l’avvio di una svolta è poco credibile visto che l’Italia non ha ancora una legge che pure era stata prevista sul consumo del territorio. Né va tanto meglio sul piano europeo. Ma il fatto senza ombra di dubbio più grave è che in questo contesto il ministero dell’Ambiente sia del tutto latitante a partire dai parchi, e dal paesaggio che ai parchi è stato tolto senza che nessuno se lo ricordi.
Va bene quindi il documento dell’Unioncamere-Symbola ma mancano ancora troppe cose che dipendono dal governo, il Parlamento e le regioni, che non hanno scuse per far finta di niente.
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