Un nuovo studio italiano messo in luce dal Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise

I cani vaganti sono un grave pericolo per fauna selvatica e biodiversità

Negli ultimi vent’anni documentati 589 casi di aggressione e la diffusione del “paesaggio della paura”

[18 Gennaio 2024]

Un team di ricercatori italiani ha pubblicato sulla rivista scientifica Biodiversity and conservation lo studio Citizen science and diet analysis shed light on dog-wildlife interactions in Italy, che documenta i numerosi pericoli costituiti dai cani vaganti e mal gestiti alla fauna selvatica.

Se la compagnia dei cani può infatti avere un impatto estremamente positivo sulle vite degli umani, in ecologia i problemi si moltiplicano: «Predazione, competizione, trasmissione di patogeni, disturbo ed ibridazione con i lupi, sono solo alcuni dei fattori di rischio per la conservazione di molte specie di animali selvatici», come evidenziano dal Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise commentando lo studio.

Si tratta di rischi molto concreti ma assai poco percepiti, dato che la metà della popolazione nazionale non ritiene i cani liberi come fonte potenziale di problemi. Il nuovo studio italiano documenta il contrario.

Come sintetizzano dal Parco, nel periodo che va dal 2002 al 2022, sono state registrate dai cittadini e le cittadine che hanno partecipato al sondaggio 589 aggressioni di cani ai danni di 95 specie selvatiche diverse, in 162 differenti località di tutta Italia.

Il 95.75% delle aggressioni è terminata con la morte dell’animale aggredito; 450 attacchi sono stati causati da cani vaganti e 133 da cani padronali non tenuti al guinzaglio o non confinati in giardini, più 6 casi di aggressione da cani tenuti al guinzaglio.

Le specie uccise sono le più disparate: il capriolo in primis, seguito dal riccio, dalla nutria, dalla lepre e dal merlo. Molti dei vertebrati attaccati non apparteneva a specie a rischio di estinzione ma non mancano casi di specie “prossime alla minaccia” e “vulnerabili” o anche a “rischio di estinzione”. Infine nel campione sono incluse anche 8 specie endemiche italiane, di cui 3 ad alto rischio di estinzione, tra le quali figura anche l’orso bruno marsicano con un solo caso registrato (l’orsa Morena).

Anche dall’analisi dei 148 campioni fecali di cane, raccolti in aree rurali del Centro Italia, è emerso come siano i mammiferi ad essere l’alimento base della dieta di questi animali domestici. All’interno dei campioni sono state identificate 30 diverse specie animali, con componenti importanti della dieta rappresentati dal cinghiale, pecora domestica, lepre, capriolo e pernice grigia.

A questi comportamenti si associa la diffusione del cosiddetto “paesaggio della paura”. Ovvero gli animali selvatici, una volta disturbati/spaventati dai cani vaganti (abbandonati o meno), per paura di esserlo ancora, cambiano “casa” per nutrirsi, riposarsi ed accoppiarsi, abbandonando i territori più idonei alle loro attività quotidiane, esponendosi ad altri rischi.

«In conclusione, riteniamo importante sottolineare come, pur non trattandosi di uno studio sistematico e data quindi l’esiguità dei dati raccolti in relazione al numero stimato di cani presenti in Italia (circa 8 mln), i risultati ottenuti sono solamente una sottostima della reale entità del fenomeno. Questo non fa che confermare – concludono dal Parco – l’estrema importanza del rispetto delle regole attinenti alla gestione dei cani all’interno delle aree protette, in particolar modo quelle relative al contrasto al randagismo canino, la cui competenza è a carico alle amministrazioni comunali e delle Asl, ma anche l’accettazione da parte dei visitatori del Parco, accompagnati dai loro amici a quattro zampe, a rispettare fermamente i regolamenti vigenti, andando con il cane solo lungo i sentieri autorizzati e portandolo sempre con il guinzaglio».