I grandi animali aiutano a combattere la crisi climatica. Conferme da due studi in Africa e Asia

Senza elefanti, le foreste potrebbero perdere fino a 3 miliardi di tonnellate di carbonio

[7 Agosto 2019]

Gli scienziati stanno comprendendo sempre di più l’importanza degli animali nello stoccaggio del carbonio in natura e sul fatto che le estinzioni e le eradicazioni di intere popolazioni animali sono problematiche che riguardano anche il clima. Due recenti studi aggiungono nuovi dettagli a queste intuizioni.

Il primo studio, “Carbon stocks in central African forests enhanced by elephant disturbance” pubblicato su Nature Geoscience  da un team internazionale di ricercatori guidato dall’ecologo Fabio Berzaghi del Dipartimento per la Innovazione nei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali dell’università della Tuscia e del Laboratoire des Sciences du Climat et de l’Environnement francese, ha attinto a 17 anni di dati sulla struttura della vegetazione e sulla competizione delle specie nel nord del Congo, dove gli elefanti, calpestando la vegetazione e abbattendo alberi, creano radure e quel che ne risulta sono alberi più massicci e a crescita lenta.

Lo studio del team di Berzaghi ha provato che il declino degli elefanti africani delle foreste (Loxodonta cyclotis) di foresta «ha un rapporto diretto con la riduzione degli stock di carbonio nella biomassa».

Prima molto diffusi in Africa, gli elefanti delle foreste hanno modellato il loro habitat calpestando piccoli alberi con un basso potenziale di assorbimento del carbonio, con il declino di questi pachidermi la “gestione” di questi alberi non viene più fatta e quindi, spiegano gli scienziati «prendono il posto di quelli con una maggiore capacità di assorbimento».

Lo studio ha verificato un’ipotesi: «Il continuo declino degli elefanti nelle foreste dell’Africa centrale porterà a foreste con alberi più piccoli e a basso contenuto di carbonio, chiamati “legno tenero”. Quindi causeranno una significativa perdita di stoccaggio del carbonio nella biomassa. Senza elefanti, le foreste centrafricane potrebbero perdere fino a 3 miliardi di tonnellate di carbonio». Per farlo,  gli scienziati hanno raccolto dati e misurato alberi nel bacino del Congo e quindi hanno confrontato il numero e la dimensione degli alberi in foreste diverse: alcune abitate dai pachidermi e altre no. «Tuttavia – fanno notare i ricercatori –  gli elefanti della foresta influenzano dei processi forestali che finora erano difficili da osservare solo con esperimenti sul campo, poiché durano quasi cento anni». Gli scienziati hanno quindi utilizzato un modello di simulazione al computer che ha permesso loro di visualizzare in anteprima l’effetto a lungo termine degli elefanti sulle foreste, riuscendo a capire come le stanno strutturando insieme alla biomassa e quale potenziale di stoccaggio del carbonio ci sia oggi nelle foreste Dal computer model è emerso che la diversità di abbondanza degli elefanti ha un impatto sul modo in cui diversi tipi di alberi competono per la luce e l’acqua.

I modelli computazionali sviluppati per empirizzare queste dinamiche suggeriscono che la densità standard della popolazione di elefanti – circa uno per Km2 – si traducono in circa 45 tonnellate in più di biomassa fuori terra per ogni ettaro di foresta, con tutto il carbonio stoccato che questo comporta. Al contrario, se gli elefanti delle foreste si estinguessero, lasciando gli alberi a crescita lenta a lottare contro una moltitudine di specie a crescita rapida, la biomassa in superficie diminuirà del 7%. Il che rappresenta circa 3 miliardi di tonnellate di carbonio, equivalenti a circa 14 anni di emissioni di carbonio del Regno Unito. E anche questa è solo una piccola parte di quello di cui sarebbero stati capaci questi elefanti: all’inizio del XIX secolo nelle foreste dell’Africa centrale vivevano circa un milione di elefanti, oggi sono solo 100.000 e stanno diminuendo rapidamente.

Berzaghi spiega: «Gli elefanti delle foreste sono gestori naturali che assottigliano le foreste, “potando” o rimuovendo piccoli alberi, aumentando la crescita di grandi alberi e la produzione di legname. Il nostro studio mostra che anche con un’alta densità di popolazione, gli elefanti della foresta continuano a migliorare il potenziale di stoccaggio del carbonio delle foreste centrafricane: non c’è alcuna controindicazione ecologica al loro ritorno».

Il team di ricercatori conclude: «Questa specie promuove anche la germinazione di oltre 100 specie di alberi disperdendo i loro semi, che a loro volta forniscono cibo e habitat a primati, uccelli e insetti. Opzione “win-win”, la protezione e l’espansione delle restanti popolazioni di elefanti delle foreste agirà per la fauna selvatica, la biodiversità e la lotta contro il cambiamento climatico».

In un altro studio, “Defaunation of large-bodied frugivores reduces carbon storage in a tropical forest of Southeast Asia”, pubblicato su Nature Scientific Reports, un team di ricercatori thailandesi e tedeschi guidati da Wirong Chanthorn  del Department of environmental technology and management, dell’università Kasetsart, ha modellato gli effetti dell’eradicazione degli animali nelle foreste tropicali nel sud-est asiatico. Infatti, mentre altre ricerche hanno descritto in che modo gli animali influenzano lo stoccaggio del carbonio nelle foreste sudamericane, rimangono dubbi sul fatto che nelle foreste del sud-est asiatico le cose funzionino allo stesso modo perché alcuni scienziati affermano che sono formate da più alberi che crescono da semi dispersi dal vento, riducendo l’importanza degli animali per il loro sviluppo.

Ma Chanthorn e il suo team si sono accorti che molte foreste dell’Asia meridionale non contengono così tanti di quegli alberi e che quindi la defaunazione può essere particolarmente problematica. Per questo hanno contato ogni albero in un appezzamento di foresta di 30 ettari nel Khao Yai National Park  in  Thailandia, dove da anni non si abbattono alberi e non si caccia e che presenta ancora una comunità animale intatta, scoprendo così che un terzo del carbonio della foresta “fuori terra” – circa 4.600 tonnellate complessive – è stoccato in alberi che crescono da semi dispersi da primati come gibboni e macachi e da grandi mangiatori di frutta, tra i quali buceri, cervi sambar, orsi, ed elefanti asiatici.

Secondo lo studio, «Se i primati svaniscono, lo stoccaggio di carbonio fuori terra diminuirà del 2,4%. La perdita dei grossi mangiatori di frutta produce un declino simile». E si tratta di cifre che potrebbero essere ottimiste: i ricercatori hanno avvertito che i loro modelli presumono che altri alberi avrebbero riempito le nicchie lasciate dalle specie che dipendono dai semi dispersi dagli animali, cosa che non necessariamente avviene.

Il team di Chanthorn avverte: «Dato che le eradicazioni  regionali di primati sono una possibilità realistica nel prossimo futuro, e che i grandi mammiferi sono i principali obiettivi dei bracconieri nella regione, c’è motivo di preoccuparsi per il fatto che il potenziale di stoccaggio del carbonio delle foreste dell’Asia meridionale, già compromesso da una massiccia defaunazione, potrebbe ridursi ulteriormente».

Nonostante questo, i programmi per la gestione climatica delle foreste trascurano per lo più l’importanza degli animali e i ricercatori concludono: «Le foreste non possono raggiungere il loro massimo potenziale di stoccaggio del carbonio senza le specie selvatiche che formano le loro reti di dispersione dei semi».

Una regola che non si applica solo all’Asia, ma alle foreste di tutto il mondo.