Incubo Artico. Seattle non vuole nel suo porto le piattaforme della Shell
Cittadini, sindaco e autorità portuale vogliono rinviare l’arrivo della flotta petrolifera
[15 Maggio 2015]
Il direttore esecutivo di Sierra Club scrive sul suo blog: «Ho avuto un terribile incubo: «Il presidente Mitt Romney ha approvato i piani di trivellazione della Shell Oil per il mare di Chukchi al largo delle coste dell’Alaska. Lo ha fatto, anche se il suo Ministero degli Interni ha calcolato che le probabilità di una grande fuoriuscita di petrolio sono del 75%. Lo ha fatto, anche se non esistono metodi comprovati per rispondere ad una tale fuoriuscita. Lo ha fatto, anche se le culture indigene dell’Alaska si sono concentrate per migliaia di anni sulla raccolta tradizionale delle risorse marine. Lo ha fatto, anche se è noto a tutti che le riserve estraibili di petrolio e di gas dell’Artico devono restare non sfruttate se il mondo vuole evitare gli effetti peggiori delle perturbazioni climatiche. Lo ha fatto, anche se una tale fuoriuscita inciderebbe sui pesci, uccelli di tutto il mondo e sui mammiferi marini come gli orsi polari, i trichechi, le foche e balene della Groenlandia e i beluga. Lo ha fatto a dispetto dell’abissale track record della Shell nella regione artica, che potrebbe ispirare il prossimo sequel di “Scemo e più scemo».
Ma quando si è svegliato Brune si è ricordato che Romney era il candidato repubblicano che aveva perso le elezioni e per un momento ha creduto che fosse tuto un brutto sogno, poi ha scoperto che a fare davvero tutto questo era stato il candidato per il quale aveva fatto campagna elettorale per evitare che vincesse la lobby dei combustibili fossili: il presidente democratico Barack Obama.
E’ un incubo che stanno vivendo anche gli elettori democratici e gli ambientalisti di Seattle, la capitale dello Stato di Washington, uno dei più progressisti degli Usa, che alla notizia del via libera di Obama alle trivellazioni nell’Artico hanno subito dato vita a manifestazioni per impedire che le piattaforme petrolifere della Shall utilizzino come base proprio il porto di Seattle. La mobilitazione è stata così forte che l’autorità portuale di Seattle ha chiesto di rinviare l’arrivo delle piattaforme di trivellazione della Royal Dutch Shell.
Un voto che non rescinde però il contratto di affitto di un’area di 50 acri al Terminal 5 della Foss stipulato all’inizio dell’anno tra Shell e Port of Seattle, ma che dice che l’operazione «Dovrebbe essere rinviata» in attesa di ulteriori sviluppi legali. L’autorità portuale ha comunque detto che chiederà a Foss Maritime di non ospitare per il momento le attrezzature della Shell, ma è difficile che la Foss – dopo il via libera del governo – rinunci ad un contratto da 13,17 milioni di dollari.
Secondo il Seattle Times, la Shell utilizzerebbe, dalla fine dell’estate e per tutto l’inverno, il porto di Seattle come base per le sue piattaforme e navi di perforazione nell’Artico: due impianti di perforazione, rimorchiatori, rompighiaccio e navi anti-inquinamento. Dopo l’annuncio della firma del contratto, alcuni gruppi ambientalisti hanno intentato cause presso la corte dello Stato di Washington accusando Shell e Foss di voler utilizzare un terminal in maniera non conforme, visto che il Terminal 5 della Foss è destinato ai container e non a diventare base invernale della flotta petrolifera artica della Shell.
Il voto per ritardare l’arrivo della Shell a Seattle è arrivato il giorno dopo che l’amministrazione Obama aveva approvato anche se in maniera condizionale, la trivellazione di 6 pozzi esplorativi circa 70 miglia a nord-ovest di Wainwright, in Alaska. A protestare sono anche gli abitanti di Wainwright, in maggioranza indigeni Inupiat, che dicono che uno sversamento di petrolio distruggerebbe la loro cultura basata sulla caccia dei cetacei. Il sindaco di Wainwright, John Hopsontold, ha ricordato che «L’Artico non è solo un posto per gli orsi polari, è anche una casa, la mia casa».
Il voto del Port of Seattle arriva dopo che i cittadini ed i politici dello Stato di Washington, compreso il sindaco di Seattle Ed Murray, si sono opposti con manifestazioni e petizioni all’arrivo delle piattaforme Shell. Murray ha detto: «Abbiamo bisogno che il nostro porto, le nostre imprese, la nuova economia, si concentrino su cose come l’energia pulita del futuro e non sulla vecchia economia che sta scomparendo, come il petrolio».
Ma Shell e Foss Maritime non mollano e dicono che il voto dell’autorità portuale non ha nessun valore. Con una discreta arroganza il portavoce della Shell, Curtis Smith, ha detto al New York Times che gli chiedeva cosa ne pensasse su quanto stava succedendo a Seattle: «Se decidiamo di cambiare i nostri piani vi faremo una telefonata. Ma per ora il piano è quello di spostare gli impianti di perforazione e di iniziare a caricarle nei prossimi giorni».
Brune, risvegliatosi dal suo incubo, è però convinto che «La resistenza di Seattle deve essere solo l’inizio, perché non possiamo permettere che questo accada. Se Shell finisce per trivellare nell’Artico, gran parte della responsabilità ricadrà sul presidente Obama e sulla sua amministrazione. Ma se noi non gridiamo ai quattro venti (o dai nostri kayak) che si tratta di un terribile errore, se non facciamo un caso del fatto che i combustibili fossili possono e devono rimanere sotto terra sia domani che oggi, allora qualche colpa ricadrà anche su di noi. Però non sono troppo preoccupato per questo. Potete scommetterci che Sierra Club non rinuncerà a questa lotta, né lo faranno i milioni di altre persone che vogliono i nostri leader mettano insieme la retorica con la realtà. Quando i nostri leader ci deludono, abbiamo due scelte: lamentarsi o scatenare l’inferno. Quale faremo? E’ nostro dovere fare entrambe le cose».