La genetica rende più facile ed economico difendere le specie a rischio?
La presenza di animali rari e in via di estinzione si può desumere dalle differenze tra le specie comuni
[6 Giugno 2013]
Nello studio Intraspecific morphological and genetic variation of common species predicts ranges of threatened ones, pubblicato da Proceedings of the Royal Society B, un team di ricercatori statunitensi, equadoregni e britannici si occupa di come prevedere dove si trovano le specie minacciate di estinzione per poter prendere decisioni informate per la tutela della natura e spiega: «Tuttavia, dato che di solito sono rare, trovare le specie minacciate è spesso costoso e richiede molto tempo». Lo studio dimostra che «Nelle regioni in cui le specie comuni presentano un’elevata divergenza genetica e morfologica tra le popolazioni, possono essere utilizzate per prevedere il verificarsi di specie da salvaguardare».
Secondo i ricercatori le variazione intraspecifica delle specie comuni di uccelli, pipistrelli e rane che vivono in da Ecuador si sono rivelate un elemento di previsione significativamente migliore per la presenza di specie minacciate dell’insieme delle variabili ambientali o della presenza di anfibi ed uccelli. Lo studio sottolinea che «Il 93% delle specie minacciate analizzate avevano il loro areale adeguatamente rappresentato dalla distribuzione geografica della variabilità morfologica e genetica presente in 7 pecie comuni. Sia i numeri più elevati di specie minacciate che una maggiore variazione genetica e morfologica delle specie comuni si sono verificati lungo “elevation gradients”. I livelli più elevati di divergenza intraspecifica possono essere il risultato di una disturbo nella selezione e/o introgressione lungo i gradienti».
Secondo il team di ricerca: «La raccolta di dati sulla variazione genetica e morfologica delle specie comuni può essere uno strumento conveniente per la pianificazione della conservazione» e i futuri inventari biodiversità dovrebbero includere, dove possibile, il rilevamento dati genetici e morfologici delle specie comuni.
La ricerca potrebbe avere importanti ricadute scientifiche e pratiche. Ad esempio, nei progetti di “sviluppo”, per decidere se abbattere un’area di foresta pluviale gli scienziati sono spesso chiamati a quantificare quante e quali siano le specie che ci vivono, ma determinare il numero di specie rare e minacciate non è facile: se sono molto rare, gli individui di una singola specie sono molto difficili da trovare, se l’area oggetto dell’indagine è una ripida montagna l’accesso può essere molto difficile, se ci sono molte specie di identificare potrebbe essere necessario assumere un costoso “dream team” di biologi con specializzazioni nelle diverse aree della biodiversità. Il nuovo metodo proposto sembra più conveniente ed efficace perché permette di valutare rapidamente la biodiversità locale mettendo a fuoco un’area boschiva o collinare basandosi sulla diversità biologica intraspecifica delle specie più comuni.
Anche studi precedenti avevano trovato legami tra la diversità all’interno di una singola specie e il numero totale di specie in un territorio, ma non si erano concentrati sulla conservazione. «Il nuovo contributo del nostro lavoro è quello di dimostrare che la diversità genetica e fenotipica all’interno delle specie è un buon predittore delle specie che affrontare un alto rischio di estinzione perché hanno piccoli range o sperimentano una rapida perdita di habitat», spiega Trevor Fuller del Center for tropical research dell’Università della Caluifornia Los Angeles su Mongbay.
Per la loro ricerca gli scienziati si sono concentrati sulla quantificazione delle variazioni genetiche, morfologiche e fenotipiche, molto facili da trovare nelle specie comuni. Manuel Peralvo, un geografo del Consorcio para el desarrollo sostenibile de la ecorregión Andina, spiega: «Abbiamo analizzato le Ande dell’Ecuador occidentale, che sono un hotspot globale di endemismi vegetali, con 6.300 specie, il 20% delle quali sono endemiche, e dispone di 650 specie di uccelli. La diversità di questa zona è dovuta al fatto che si tratta di una zona di transizione tra la foresta secca e la foresta pluviale. Tuttavia, la zona è a rischio anche a causa degli alti livelli di deforestazione per l’estrazione del legname e l’espansione dei pascoli per il bestiame. Il sito di studio è stato scelto per i suoi ripidi pendii e colline (“gradienti di elevazione”), aree che sono particolarmente degne di attenzione per la conservazione in quanto sostengono un numero elevato di specie specialiste e di nicchia minacciate. Le aree specifiche con gradienti elevazione hanno anche un po’delle ultime foreste rimaste nell’Ecuador occidentale che sono già state cancellate dalle pianure. Come risultato, sono soggetti a pressioni che accelerano la deforestazione in aree che forniscono rifugi chiave per un elevato numero di specie minacciate».
Per testare la loro teoria gli scienziati hanno scelto tre uccelli, tre pipistrelli, e una specie di rana (come specie più vicina a quelle minacciate di estinzione), che, oltre che abbondanti e facilmente campionabili, rappresentavano anche diverse nicchie ecologiche, luoghi, tipi di dieta, altitudini, e life histories. Il team hanno anche selezionato piante rappresentative delle comunità vegetali ad alto rischio di deforestazione.
«Abbiamo analizzato una serie diversificata di 29 specie minacciate che sono difficili da campionare tra cui mammiferi come giaguari e ocelot, uccelli tra i quali il picchio del Guayaquil, e piante. Abbiamo rilevato la genetica per 5 delle specie comuni ed i dati fenotipici (come la lunghezza dell’ala) per tutte e 7. Abbiamo scoperto che la diversità genetica e morfologica all’interno delle specie comuni è un indicatore migliore di specie minacciate rispetto al numero di specie in un sito, o delle variabili ambientali, quali precipitazioni, temperatura, o altitudine – evidenzia Fuller – I nostri risultati mostrano che la variazione genetica e morfologica esibita dalle specie comuni predice efficacemente il verificarsi di specie minacciate nell’Ecuador occidentale». Infatti i siti selezionati sulla base dei tratti genetici e morfologici contenevano 2,1 volte il numero di specie minacciate rispetto ai siti selezionati sulla base di variabili ambientali ed 1,7 volte in più di quelle nei siti basati sulla presenza di uccelli e anfibi occorrenze.
Thomas B. Smith, del Department of ecology and evolution della Stony Brook University di New Tork, sottolinea su Mongabay l’importanza di questi risultati: «Le indagini sulla biodiversità hanno l’obiettivo di inventariare tutte le specie in una regione, ma di solito non raccolgono dati genetici. La ricerche potrebbero essere più efficaci se venissero inseriti i dati genetici. Con l’avvento del sequenziamento di nuova generazione, il costo per sequenziare il genoma è in diminuzione anche più velocemente della legge di Moore, che prevede una diminuzione del 50% ogni due anni. Per esempio, il costo per sequenziare una megabase di Dna nel 2001 costava 10.000 dollari, ma solo 10 centesimi quest’anno! Questo lo rende pratico per comprendere i dati genetici nella pianificazione della conservazione nel mondo reale»
Gli autori dello studio concludono: «Tutto questo ha il potenziale per ridurre notevolmente i tempi ed i costi delle valutazioni della biodiversità, consentendo di effettuare un maggior numero di valutazioni di ogni anno. Tali progressi nella tecnica e nella metodologia non potevano venire in un momento migliore per la salvaguardia nelle foreste tropicali, dove è già andata persa un’enorme distesa di foresta. Proteggere la natura spesso si riduce ad un problema di costo e di utilità. Se questo strumento potrà essere implementato nella pianificazione della conservazione nel mondo reale dipenderà in gran parte dal costo economico: se la raccolta di campioni genetici di specie comuni e l’analisi dei dati genetici e morfologici è meno costoso dei sondaggi per individuare le specie minacciate, allora il nostro metodo avrà un’utilità pratica per le agenzie governative e per le Ong ambientaliste».