Living planet report, Wwf: «Catastrofico declino della fauna selvatica»
Dal 1970 le popolazioni di fauna selvatica sono calate in media di due terzi
[10 Settembre 2020]
Secondo il Living Planet Report 2020 del Wwf, «in meno di mezzo secolo, le popolazioni globali di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci hanno subito un calo medio di due terzi, in gran parte a causa della stessa distruzione ambientale – come la deforestazione, l’agricoltura non sostenibile e il commercio illegale di fauna selvatica – che contribuisce alle epidemie di virus come Covid-19». Per questo il Wwf chiede un’azione urgente per invertire questo trend entro il 2030 «ponendo fine alla distruzione degli habitat naturali e riformando il nostro sistema alimentare»
Il Living Planet Index (LPI), realizzato dalla Zoological Society of London (ZSL), dimostra che «i fattori ritenuti in grado di aumentare la vulnerabilità del pianeta alle pandemie, inclusi il cambiamento dell’uso del suolo e l’uso e il commercio di fauna selvatica, sono stati anche alcuni dei fattori trainanti dietro al calo medio del 68% delle popolazioni globali della specie di vertebrati, tra il 1970 e il 2016».
Presentando il rapporto, Marco Lambertini, direttore generale del Wwf International, ha detto che «il Living Planet Report 2020 sottolinea come la crescente distruzione della natura da parte dell’umanità stia avendo impatti catastrofici non solo sulle popolazioni di fauna selvatica, ma anche sulla salute umana e su tutti gli aspetti della nostra vita. Non possiamo ignorare le prove: questo grave calo delle popolazioni di specie selvatiche è un indicatore che la natura si sta sgretolando e che il nostro pianeta sta facendo lampeggiare segnali di allarme rossi di guasto dei sistemi. Dal pesce nei nostri oceani e nei nostri fiumi alle api che svolgono un ruolo cruciale nella nostra produzione agricola, il declino della fauna selvatica influisce direttamente sulla nutrizione, sulla sicurezza alimentare e sui mezzi di sussistenza di miliardi di persone. Nel mezzo di una pandemia globale, ora è più importante che mai intraprendere un’azione globale coordinata e senza precedenti per fermare e iniziare a invertire la perdita di biodiversità e delle popolazioni di fauna selvatica in tutto il mondo entro la fine del decennio, e proteggere la nostra salute futura e il nostro sostentamento. La nostra stessa sopravvivenza dipende sempre più da questo».
Attraverso l’LPI, che tiene traccia dei trend dell’abbondanza globale di fauna selvatica e contributial quale a hanno contribuito oltre 125 esperti di tutto il mondo, il Living Planet Report 2020 presenta una panoramica completa dello stato del nostro mondo naturale e dimostra che «La causa principale del drammatico declino delle popolazioni di specie sulla terra osservata nell’LPI è la perdita e il degrado dell’habitat, inclusa la deforestazione, causata dal modo in cui noi come umanità produciamo cibo».
Le specie a rischio di estinzione evidenziate nell’LPI comprendono il gorilla di pianura orientale, che nel Parco nazionale Kahuzi-Biega, nella Repubblica Democratica del Congo, ha visto la sua popolazione calare dell’87% tra il 1994 e il 2015, sot prattutto a causa del bracconaggio, il pappagallo grigio africano del sud-ovest del Ghana, la cui popolazione è diminuita fino al 99% tra il 1992 e il 2014 a causa delle minacce rappresentate dalla cattura per il commercio di uccelli selvatici e dalla perdita di habitat.
L’LPI, che ha monitorato quasi 21.000 popolazioni di oltre 4.000 specie di vertebrati tra il 1970 e il 2016, e ne è venuto fuori che «le popolazioni di fauna selvatica che si trovano negli habitat di acqua dolce hanno subito un calo dell’84%, il calo medio della popolazione più netto in qualsiasi bioma, equivalente al 4% per cento. cento all’anno dal 1970. Un esempio è la popolazione riproduttiva dello storione cinese nel fiume Yangtze in Cina, che è diminuita del 97% tra il 1982 e il 2015 a causa dello sbarramento del corso d’acqua».
Andrew Terry, direttore conservazione della ZSL, sottolinea che «il Living Planet Index è una delle misurazioni più complete della biodiversità globale. “Un calo medio del 68% negli ultimi 50 anni è catastrofico e una chiara prova del danno che l’attività umana sta arrecando al mondo naturale. Se non cambia nulla, le popolazioni continueranno senza dubbio a diminuire, portando la fauna selvatica all’estinzione e minacciando l’integrità degli ecosistemi da cui tutti dipendiamo. Ma sappiamo anche che agendo sulla attività di conservazione delle specie possiamo allontanarci da questo baratro. Servono impegno, investimenti e competenza per invertire queste tendenze».
Basato sullo studio “Bending the curve of terrestrial biodiversity needs an integrated strategy” pubblicato oggi su Nature dal Wwf e da più di altre 40 organizzazioni ambientaliste, questo modello chiarisce che stabilizzare e invertire la perdita della natura causata dalla distruzione degli habitat naturali da parte degli esseri umani «sarà possibile solo se saranno adottati sforzi di conservazione più audaci e ambiziosi e verranno apportati cambiamenti trasformativi al modo in cui produciamo e consumiamo il cibo». Bisogna rendere la produzione e il commercio alimentare più efficienti ed ecologicamente sostenibili, ridurre gli sprechi e favorire diete più sane e rispettose dell’ambiente.
Lo studio dimostra che l’attuazione di queste misure, insieme e non isolatamente, consentirà al mondo di alleviare più rapidamente le pressioni sugli habitat della fauna selvatica, invertendo così le tendenze alla perdita di biodiversità e habitat decenni prima rispetto alle strategie che consentono la perdita di habitat per poi cercare di rimediare in seguito. la modellizzazione indica anche che «se il mondo continua con il “business as usual”, i tassi di perdita di biodiversità visti dal 1970 continueranno nei prossimi anni».
Il principale autore dello studio, David Leclère dell’International institute for applied systems analysis, fa notare che «nella migliore delle ipotesi, queste perdite impiegherebbero decenni per invertirsi, e sono probabili ulteriori perdite irreversibili di biodiversità, mettendo a rischio la miriade di servizi ecosistemici da cui le persone dipendono».
Infatti, fortunatamente non ci sono solo statistiche allarmanti, «ci sono anche – dicono al Wwf – esempi di alcuni casi che dimostrano il potenziale di ciò che possiamo ottenere con un’azione immediata, collettiva e decisa. E’ il caso delle popolazioni di alcune specie come la tartaruga caretta nel Simangaliso Wetland Park, Sud Africa, lo squalo pinna nera del reef (Carcharhinus melanopterus) nell’Ashmore Reef in Australia occidentale o il castoro europeo (Castor fiber) in Polonia, o di quelle di tigri e panda, aumentate nel loro numero globale (a parte alcune popolazioni locali a forte rischio) insieme al risultato di protezione marina globale , salita al 6% inclusa la creazione dell’Area Marina Protetta del Mare di Ross in Antartide. Bisogna concentrarci su iniziative come queste e affiancare una politica globale e un’azione del mondo imprenditoriale per proteggere e ripristinare la natura».
La presidente del Wwf Italia, Donatella Bianchi, aggiunge: «La natura è alla base della nostra salute, del nostro benessere e dei nostri mezzi di sussistenza, eppure la stiamo distruggendo molto più velocemente di quanto sia in grado di ricostituirsi. Nel mezzo di una pandemia che colpisce tutto il pianeta è più che mai importante intraprendere in tempi brevissimi un’azione globale coordinata per arrestare e invertire entro la fine del decennio la perdita di biodiversità in tutto il mondo, proteggendo in questo modo la nostra salute. Il Living Planet Report raccoglie l’ennesimo SOS lanciato dalla Natura che, questa volta, i leader mondiali che si riuniranno (virtualmente) tra pochi giorni per la 75esima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, non possono ignorare».
Infatti, l’Assemblea generale dell’Onu dovrà riesaminare i progressi compiuti sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile, l’accordo di Parigi e la Convention on Biological Diversity (CBD) e riunirà leader mondiali, imprese e la società civile per sviluppare il quadro d’azione post-2020 per la biodiversità globale e sarà quindi un momento fondamentale per gettare le basi per quel un New Deal tra natura e persone che il Wwf ritiene urgentemente necessario.
Lambertini conclude: «Il modello Bending the Curve fornisce una prova preziosa per poter sperare nel ripristino della natura capace di fornire alle generazioni attuali e future ciò di cui hanno bisogno: secondo questo modello i leader mondiali devono – oltre agli sforzi di conservazione – creare un sistema alimentare più sostenibile e eliminare la deforestazione, una delle principali cause del declino della popolazione della fauna selvatica, dalle catene di approvvigionamento. Con i leader che tra pochi giorni si riuniranno virtualmente per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, questa ricerca può aiutarci a garantire un New Deal per la natura e le persone che sarà la chiave per la sopravvivenza a lungo termine delle popolazioni di fauna selvatica, piante e insetti e dell’insieme della natura, inclusa l’umanità. Un New Deal non è mai stato così necessario».