Mai visto prima: le invasioni biologiche viste dai pescatori del Mediterraneo (VIDEO)

Trasformazioni epocali nei nostri mari causano severi impatti ecologici e socio-economici

[23 Maggio 2019]

Lo studio “Climate change, biological invasions, and the shifting distribution of Mediterranean fishes: A large‐scale survey based on local ecological knowledge”, pubblicato su Global Change Biology da un folto gruppo di ricercatori italiani e di altri 8 Paesi del Mediterraneo, giudato da Ernesto azzurro dell’Ispra, raccoglie le testimonianze di oltre 500 pescatori che raccontano come il nostro mare stia cambiando rapidamente sotto la spinta del riscaldamento globale e delle specie invasive. Lo studio è stato portato a termine nell’ambito del progetto europeo MPA-Adapt (programma Interreg MED finanziato dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale), con il coinvolgimento iniziale di importanti istituzioni che operano in Mediterraneo, come la Ciesm- Mediterranean Science Commission e la Fao.

L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), sottolinea che «Cambiamenti climatici e attività antropiche stanno, infatti, provocando una vera e propria redistribuzione delle specie viventi in tutto il pianeta: una riorganizzazione su grande scala che può essere considerata per gran parte irreversibile. Alcuni effetti sono già ben osservabili negli ambienti costieri del Mediterraneo, incluse le Aree Marine Protette che dovranno gestire questa nuova problematica ambientale al fine di conservare gli ecosistemi naturali ed i servizi da essi offerti».

Un fenomeno esteso in enormi spazi naturali che possono essere molto difficili da monitorare con i metodi tradizionali e con le risorse disponibili, ma la condivisione delle conoscenze di pescatori di diversi Paesi ha permesso ai ricercatori di ricostruire i recenti cambiamenti di distribuzione di 75 specie ittiche del Mediterraneo. All’Ispra spiegano che «E’ questo il caso di alcune specie native – ad esempio il pesce serra Pomatomus saltatrix, il barracuda Sphyraena viridensis e il pesce pappagallo mediterraneo Sparisoma cretense – che si sono espanse verso nord approfittando di condizioni climatiche più favorevoli. Ci sono poi specie tropicali, come i pesci coniglio Siganus luridus e S. rivulatus, il pesce palla maculato Lagocephalus sceleratus ed il pesce scorpione Pterois miles, che hanno attraversato il canale di Suez causando severi impatti ecologici e socio-economici.  Osservare la presenza di queste specie, documentarne i cambiamenti nella distribuzione ed abbondanza equivale oggi a testimoniare trasformazioni epocali nei nostri mari».

Un obiettivo è stato raggiunto grazie alla collaborazione 22 gruppi di ricerca mediterranei, coordinati da Ispra, che hanno raccolto in modo standardizzato le osservazioni di singoli pescatori locali intervistati in Albania, Montenegro, Tunisia, Grecia, Cipro, Libano, Slovenia, Turchia ed Italia. Un bagaglio di conoscenze che è stato trasformato in dati e raccolto in un unico dataset che mette insieme più di 15 mila anni di esperienze in mare.

Joaquim Garrabou, coordinatore del programma Interreg MED e del’ Instituto de Ciencias del Mar de Barcelona del CSIC , sottolinea; «Anche se non sono stati intervistati i pescatori nella penisola iberica, molte delle osservazioni sono comuni a quanto osservato sulla costa spagnola. Così, anche nelle acque fredde del Golfo di León si osservano cambiamenti nella distribuzione delle aree fredde, come nell’Egeo o nell’Adriatico. Il cambiamento climatico e l’attività umana sono due delle cause della ridistribuzione delle specie viventi in tutto il pianeta. Gli effetti dei modelli di distribuzione sono visibili in tutta la costa mediterranea, comprese le aree marine protette, dove è necessario adottare misure contro questo problema per preservare gli ecosistemi».

All’Ispra concludono: «L’ approccio utilizzato valorizza quindi le osservazioni e le conoscenze di esperti che tutti i giorni vivono a stretto contatto con la natura ed interagiscono con i suoi abitanti. Un sapere riconosciuto solo di recente dal mondo scientifico ed indicato in gergo con il termine Local Ecological Knowledge (Conoscenza Ecologica Locale) o LEK.  L’indagine dimostra per la prima volta come la LEK possa essere un valido strumento di monitoraggio su grande scala geografica. Allo stesso tempo questo studio può esser considerato come un prezioso esempio di cooperazione internazionale in un periodo estremamente critico per la storia del Mediterraneo. Una formidabile partnership tra comunità locali e ricerca scientifica che  offre oggi nuove possibilità per comprendere e gestire le problematiche ambientali del terzo millennio».

 

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  • Tutorial LEK 1