Diminuisce la selvaggina e aumentano i prezzi e la Rdc è invasa da bande armate di bracconieri che sparano a tutto quel che si muove
Nemmeno la pandemia di Covid-19 ferma il bracconaggio dei selvaggina nella Repubblica democratica del Congo
Nonostante il rischio di malattie, mercati ancora pieni di carne di antilopi, scimmie e pangolini
[12 Novembre 2020]
Le Monde Afrique ha pubblicato l’inchiesta “La viande de singes, d’antilopes ou de pangolins s’arrache toujours en RDC, malgré les risques de maladie”, realizzata da Guillaume Jan che conferma quanto il giornale aveva già denunciato in Costa d’Avorio e per altri Paesi africani: anche nella tormentata Repubblica democratica del Congo (Rdc) la pandemia di Covid-19, una zoonosi dovuta al passaggio del virus da un animale all’uomo, non ha ridotto il bracconaggio della fauna selvatica e i mercati di selvaggine illegali sono attivi più che mai, tanto che la selbvaggina comincia davvero a scarseggiare, facendo aumentare i prezzi di una merce sempre più rara e ambita dalla classe media africana.
Secondo l’ultimo “Living Planet Report” che il Wwf ha pubblicato a settembre, in Africa negli ultimi 50 anni gli animali selvatici sono diminuiti del 65% e solo nel bacino del Congo ogni anno la carne di selvaggina ammonta a 5 – 10 milioni di tonnellate. Il bracconaggio non risparmia nulla, nemmeno grandi animali protetti come elefanti, rinoceronti e rari okapi ma anche molte specie di primati – la carne di scimmia è molto richiesta – sono in serio pericolo di estinzione a causa della caccia legale e illegale.
Jan fa notare che «Fino agli anni ’70, la bassa densità umana e la relativa inaccessibilità della foresta equatoriale fornivano una certa protezione alla fauna. Ma la pressione demografica è aumentata. In ottant’anni la popolazione congolese è decuplicata, passando da 10 milioni di abitanti nel 1940 a 100 milioni di oggi. Con più di 6 figli per donna, nei villaggi il tasso di fertilità rimane molto alto. Anche lo sviluppo di attività minerarie o di disboscamento ha contribuito ad aumentare la popolazione in regioni un tempo isolate, dove vengono tracciati nuovi sentieri e vengono ripuliti nuovi appezzamenti, accelerando la distruzione degli habitat naturali».
Uno sconvolgimento degli ecosistemi che, come ha confermato anche il recente rapporto IPBES, ha gravi impatti su tutti gli esseri viventi e la promiscuità senza precedenti tra uomini e animali che vivono nel fitto della foresta sta portando nuove malattie.
Inizialmente, il pangolino, una specie cacciata nelle foreste del bacino del Congo, era stato sospettato di essere questo “ospite intermedio”, una tesi ora rimessa in discussione: a ottobre il ha dichiarato in ottobre Etienne Decroly, un virologo del CNRS specializzato in virus emergenti, ha spiegato che «Il tasso di identità tra le sequenze SARS-CoV-2 e quelle del pangolino è solo del 90,3%, che è molto inferiore ai tassi solitamente osservati tra i ceppi che infettano l’uomo e quelli che infettano il ospite intermedio». Ma. Come hanno dimostrato Ebola e le altre pandemie di Coronavirus e zoonosi precedenti, il rischio di trasmissione di malattie dagli animali all’uomo – e viceversa – resta alto a causa della nuova promiscuità con specie con le quali prima entravamo raramente in contatto.
Secondo Le Monde è il caso anche dell’HIV, visto che il virus dell’AIDS sarebbe stato trasmesso attraverso il sangue dopo che un cacciatore è rimasto ferito mentre tagliava carne di scimmia infetta proprio nel bacino del Congo, o del virus Ebola, che viene trasmesso attraverso i fluidi corporei.
Ma Karen Saylors, un’antropologa statunitense che da diversi mesi studia nella Rdc la trasmissione delle malattie dalla selvaggina all’uomo, evidenzia che «Nonostante ciò, i congolesi dicono di non aver paura di ammalarsi consumando carne selvatica. La gente del posto non crede che gli animali selvatici possano trasmettere malattie, sebbene non ci siano controlli sanitari per questa carne. Arriva nelle città in modo informale e viene venduta direttamente senza essere esaminata da nessun veterinario».
Jan fracconta cosa succede al mercato del porto fluviale di Ndolo, nella capitale della Rdc Kinshasa, dove migliaia di persone si ammassano in vicoli fangosi per comprare la selvaggina che viene dall’interno del Paese: porcospini, cinghiali, bufali, piccole scimmie, tartarughe e anche giovani coccodrilli ancora vivi. E una delle venditrici conferma che «I nostri clienti non hanno remore a consumare questi animali. La loro polpa ha un sapore forte, quasi piccante. È molto proteico, ti rende forte».
E più la selvaggina diventa scarsa più il suo prezzo aumenta e diventa allettante per i bracconieri professionisti che sterminano specie anche protette senza rispettare né le leggi né i periodi di riproduzione degli animali.
Un traffico che è sempre più globale e il Wwf stima che ogni anno le foreste congolesi venngano derubate di 3 milioni di tonnellate di selvaggina, mentre il resto viene consumato da che vive nelle aree foreste e nelle città vicine. Alain Huart esperto di sviluppo rurale in RDC e coordinatore del programme agriculture forêt per il Wwf Rdc, conferma che «La caccia e il commercio di carne costituiscono le principali minacce per l’85% dei primati e degli ungulati. La priorità per proteggere la fauna è, se non limitare il consumo di proteine animali, almeno sostituire il consumo di animali selvatici con l’allevamento e l’itticoltura. Non solo questa opzione fornisce l’accesso alle proteine senza danneggiare la fauna selvatica, ma gli escrementi degli animali allevati arricchiscono il suolo e quindi migliorano le rese delle colture agricole senza dover eseguire nuovi incendi».
Il presidente della Rdc Félix Tshisekedi, al potere dal gennaio 2019, dice di voler sviluppare l’agricoltura e l’allevamento, per raggiungere l’autosufficienza alimentare e quest’estate ha annunciato un ambizioso “plan stratégique de la pêche et de l’élevage” per il periodo 2020-2022. Un piano che non piace molto a Bodrick Boalé, uno studente di scienze ambientali, che partecipa al Projet agricole rural de conservation du complexe de la Salonga – realizzato dall’ONG italiana ISCO con il Wwf Gemanie e Rdc, Oxfam e Unione europea – : «Non abbiamo necessariamente bisogno di progetti su larga scala. Incoraggiamo invece il piccolo allevamento di bestiame nelle fattorie familiari. Richiedono pochi investimenti e sono accessibili a tutti, comprese le donne. Se queste iniziative fossero abbastanza numerose, potrebbero soddisfare la domanda di carne nelle città, consentendo allo stesso tempo lo sviluppo economico e sociale del mondo rurale».
Il Parc National de la Salonga, nel cuore del bacino centrale del fiume Congo, è la più grande area protetta a foresta umida del continente africano. Ha una superficie quasi pari a quella del Veneto e della Lombardia messe assieme ed è un hot spot mondiale della biodiversità e, inoltre, svolge un ruolo fondamentale di regolazione climatica e di assorbimento dell’anidride carbonica. L’ISCO sottolinea che «Questo patrimonio è minacciato dalla pressione esercitata dalla presenza umana sia all’interno sia nelle aree limitrofe al Parco, in particolare dal bracconaggio, incendi, distruzione della foresta per la realizzazione di coltivazioni e per lo sfruttamento del legname».
ISCO è una società cooperativa senza scopo di lucro di Mestre, nata nel 1986 e che lavora nella Rdc dal 2000, dove realizza attività di sviluppo comunitario nelle aree rurali, con una particolare attenzione per la strutturazione delle comunità rurali, per accrescere le capacità delle organizzazioni degli agricoltori e degli abitanti delle aree rurali a gestirsi istituzionalmente e tecnicamente. ISCO ha per questo favorito la nascita di un movimento associativo costituito da circa 5.000 organizzazioni di base nella ex Provincia del Bandundu e da 1.000 organizzazioni di produttori nella ex Provincia dell’Equatore. L’ONG italiana promuove anche le principali colture agricole e il sostegno alla filiera commerciale e il ripristino di strade e piste, la costruzione e riabilitazione di ponti, la costruzione di scuole, depositi e acquedotti per l’acqua potabile, All’Isco dicono che in generale le loro attività «Mirano a rendere il più possibile autonome le comunità rurali e favorire ed incoraggiare le iniziative di sviluppo comunitario. Queste attività, i cui risultati mirano ad incidere positivamente sul benessere delle popolazioni beneficiarie, sono realizzate con l’appoggio di partner istituzionali, sia nazionali che internazionali».
In attesa che nella Rdc, cambino abitudini alimentari e si sviluppi una nuova economia – cosa difficile se non finiranno guerre e guerriglie per le risorse e se le multinazionali continueranno a corrompere e a tenere a libro paga chi governa e chi ha le armi – la Rdc è invasa da bande di bracconieri (che spesso sono anche miliziani di un qualche esercito di tagliagole) che kin battute di caccia che durano giorni sparano a tutto ciò che si muove per poi andare a vendere la carne nelle città congolesi e oltre confine.