Ocean Race Summit, Guterres: diventiamo tutti i campioni di cui l’oceano ha bisogno
Il premier di Capo Verde: l’oceano ora rappresenta il turismo, l'acqua desalinizzata e la blue economy
[24 Gennaio 2023]
Aprendo l’Ocean Race Summit il primo ministro di Capo Verde, Ulisses Correia e Silva, ha guardato il mare attraverso le enormi porte dell’Ocean Science Center Mindelo, una struttura all’avanguardia che ospita grandi attrezzature scientifiche marine come robot per immersioni profonde e laboratori e che si affaccia sul Porto di São Vicente, lo stesso dal quale molti capoverdiani sono partiti in cerca di una vita migliore. Il Primo Ministro ha fatto notare che «L’oceano descrive un sentimento di nostalgia e malinconia, ma oggi rappresenta il turismo, l’acqua desalinizzata, la blue economy, i cavi sottomarini in fibra ottica, l’energia pulita, le biotecnologie, l’acquacoltura, l’industria conserviera per l’esportazione, un centro di competenza ed eventi nautici come la Ocean Race. L’Ocean Science Center Mindelo è la manifestazione visibile della scommessa che Capo Verde sta facendo per rilanciare la blue economy dell’arcipelago».
La consigliera speciale dell’Onu per l’Africa, la capoverdiana Cristina Duarte, un’esponente storica del Partido Africano da Independência de Cabo Verde ora all’opposizione e che che è stata ministro delle finanze, della pianificazione e della pubblica amministrazione di Capo Verde dal 2006 al 2016, ha detto a UN News: «Potremmo essere più creature dell’oceano che della terra. Per Capo Verde, gli oceani sono una questione di sopravvivenza. Quindi, la loro conservazione deve essere fatta in un contesto di gestione di una risorsa naturale, perché dobbiamo prendere da essa ciò di cui Capo Verde ha bisogno per svilupparsi. Conservare l’oceano, ma non dimenticare che, per Capo Verde, è una risorsa economica».
La Ocean Race, salpata per la prima volta nel 1973, portando i velisti in giro per il mondo ogni 3 o 4 anni ma, come ha fatto notare l’attivista per la salute degli oceani Danni Washington, «Negli ultimi quattro decenni, i marinai hanno visto queste isole in lontananza o sono passati attraverso loro. A volte venivano addirittura soccorsi dai capoverdiani, ma la corsa non aveva mai fatto tappa nell’arcipelago. Venerdì sera, il Paese è diventato la prima nazione dell’Africa occidentale nella storia della competizione a ospitare uno scalo.
Rivolgendosi al Summit, il presidente della regata, Richard Brisius, ha assicurato al segretario generale dell’Onu António Guterres «L’impegno dei partecipanti per la causa degli oceani. Hai tutti noi di Ocean Race nel tuo equipaggio. Siamo gente dell’oceano; ci prendiamo cura dell’oceano e stiamo facendo del nostro meglio con passione».
Guterres ha iniziato il suo discorso ringraziando Correia e Silva per il suo impegno e per quello del suo Paese, «Sia con la conservazione e il miglioramento sostenibile degli oceani, sia con l’azione per il clima, con particolare enfasi sulla tua leadership nell’insieme dei piccoli Stati insulari, o per la tutela della biodiversità. Ci riuniamo oggi sulle rive del possente Oceano Atlantico per celebrare qualcosa di speciale: il coraggio ispiratore di donne e uomini che navigano in questa estenuante regata di sei mesi intorno al mondo. E a quanto pare, è stato particolarmente duro: il trasferimento da Alicante a Capo Verde. E’ anche stimolante sapere che ogni barca trasporta attrezzature speciali per raccogliere dati scientifici per contribuire a garantire un oceano sano per il futuro. Perché di fronte al cambiamento climatico e all’inquinamento da plastica, l’umanità deve vincere la sua gara: la corsa per proteggere il nostro oceano per il futuro».
Guterres ha ricordato che «L’oceano sostiene l’aria che respiriamo, il cibo che consumiamo, le culture e le identità che ci definiscono, i posti di lavoro e la prosperità che ci sostengono, la regolazione del tempo e del clima e miliardi di animali, piante e microrganismi che abitano l’oceano. L’oceano è vita. L’oceano è mezzi di sussistenza. E l’oceano è nei guai. L’umanità ha condotto una guerra insensata e controproducente contro la natura. E l’oceano è in prima linea nella battaglia. Il che significa che anche i piccoli Stati insulari in via di sviluppo come Capo Verde sono in prima linea».
Il Capo dell’Onu ha fatto un quadro dell’attuale situazione delle risorse oceaniche e costiere: «Circa il 35% degli stock ittici globali nel mondo è sovrasfruttato. Il riscaldamento globale sta spingendo le temperature degli oceani verszo nuovi livelli, alimentando tempeste più frequenti e intense, innalzamento del livello del mare e salinizzazione delle terre costiere e delle falde acquifere. Gli habitat corallini un tempo ricchi vengono sbiancati fino all’oblio. Le foreste di mangrovie vengono distrutte, portandosi con loro le specie che ospitano. E nel frattempo, sostanze chimiche tossiche e milioni di tonnellate di rifiuti di plastica si stanno riversando negli ecosistemi costieri, uccidendo o ferendo pesci, tartarughe marine, uccelli marini e mammiferi marini, facendosi strada nella catena alimentare e alla fine venendo consumati da noi. Entro il 2050 in mare potrebbe esserci più plastica che pesci».
Ma Guterres non rinuncia all’ottimismo della ragione: «La buona notizia è che l’anno scorso il mondo ha compiuto alcuni passi importanti per correggere la nostra rotta. Questo include lo storico accordo di Nairobi per negoziare un trattato vincolante a livello globale per controllare l’inquinamento da plastica. Include l’accordo dell’Organizzazione mondiale del commercio per porre fine ai dannosi sussidi alla pesca che così spesso si traducono in pesca illegale. All’UN Ocean Conference di Lisbona, i Paesi hanno assunto centinaia di nuovi impegni volontari e promesse per proteggere l’oceano: una tendenza positiva che speriamo continui alla conferenza di quest’anno a Panama. All’ UN Biodiversity Conference a Montreal, i Paesi hanno concordato un obiettivo per proteggere il 30% degli ecosistemi terrestri, acquatici, costieri e marini entro il 2030. Alcuni hanno definito il 2022 il “super anno” dell’oceano. Ma la gara è tutt’altro che finita. Dobbiamo rendere il 2023 un anno di “super azione”, in modo da poter porre fine all’emergenza oceanica una volta per tutte.
A partire dall’attuazione efficace dei numerosi strumenti legali e politici relativi all’oceano, come l’ United Nations Convention on the Law of the Sea, che ha compiuto 40 anni lo scorso anno e il cui ultimo summit mondiale, purtroppo, non è riuscito a raggiungere un accordo».
Per Guterres il mondo ha bisogno di un’azione urgente su quattro punti fondamentali: «Primo: porre fine all’emergenza oceanica richiede industrie marittime sostenibili. Questo significa pratiche di pesca intelligenti e sostenibili, compresa l’acquacoltura, per garantire una forte industria ittica nel futuro. Significa gestire e regolare con attenzione lo sviluppo e l’estrazione delle risorse, con la precauzione, la protezione e la conservazione al centro di tutte le attività. Significa la riduzione e la prevenzione dell’inquinamento marino da fonti terrestri e marine. E significa che partner pubblici e privati investono congiuntamente nel ripristino e nella conservazione degli ecosistemi costieri, come le mangrovie, le zone umide e le barriere coralline. A questo proposito, i paesi possono emulare Capo Verde, le cui ambizioni di conservazione e protezione marina sono saldamente radicate nella strategia nazionale di sviluppo sostenibile, “Ambition 2030″». Per fo
Il secondo per porre fine all’emergenza oceanica è «Fornire un sostegno massiccio ai Paesi in via di sviluppo che vivono per primi i peggiori impatti del degrado del nostro clima e degli oceani. I Paesi in via di sviluppo, e in particolare i SIDS, sono vittime di un sistema finanziario globale moralmente in bancarotta, progettato dai Paesi ricchi a beneficio dei Paesi ricchi. Il pregiudizio è dentro il sistema. Nega sistematicamente ai Paesi in via di sviluppo – in particolare ai Paesi a reddito medio vulnerabili e ai piccoli Stati insulari in via di sviluppo come Capo Verde i livelli di finanziamento agevolato e riduzione del debito che sarebbero necessari. E continuerò a sollecitare i leader e le istituzioni finanziarie internazionali a unire le forze e sviluppare modi creativi per garantire che i Paesi in via di sviluppo possano accedere alla riduzione del debito e ai finanziamenti agevolati quando ne hanno più bisogno. E questo deve includere la riallocazione degli Special Drawing Rights inutilizzati in base alle esigenze dei Paesi in via di sviluppo. Continuerò a premere per un pacchetto di stimolo sugli SDG per aiutare i governi del Sud del mondo a investire nei sistemi che supportano lo sviluppo e la resilienza. E starò sempre al fianco dei Paesi in via di sviluppo mentre proteggono e ripristinano i loro ecosistemi dopo decenni e secoli di degrado e perdita».
Il gterzo punto per porre fine all’emergenza oceanica è la corsa contro un clima che cambia: «E questa è un’altra gara che l’umanità sta attualmente perdendo – ha ricordato Guterres – In un momento in cui dobbiamo ridurre le emissioni di gas serra per garantire il nostro futuro su questo pianeta, siamo sul punto di superare il limite di 1,5 gradi richiesto per un futuro vivibile. Ora è il momento di agire concretamente sul clima. Arrivare all’istituzione del fondo per perdite e danni a cui il mondo si è impegnato a Sharm El-Sheikh.Mantenete l’impegno di 100 miliardi di dollari dei Paesi sviluppati per sostenere gli Stati in via di sviluppo. Mantenere la promessa di raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento. Ottenere la riduzione del gap delle emissioni, l’eliminazione graduale del carbone e l’accelerazione della rivoluzione delle energie rinnovabili. E realizzare un patto di solidarietà climatica in cui tutti i Paesi, e in particolare i maggiori emettitori, lavorino per mantenere vivo l’obiettivo di 1,5 gradi. Insieme alle istituzioni finanziarie internazionali e al settore privato, i paesi sviluppati devono fornire assistenza finanziaria e tecnica per aiutare le principali economie emergenti a passare alle energie rinnovabili».
Il segretario generale dell’Onu ha chiesto alle industrie oceaniche di seguire l’esempio della Ocean Race e di limitare le loro impronte di carbonio: «Ad esempio, il settore marittimo deve impegnarsi per le emissioni net zero entro il 2050 e presentare piani credibili per attuare tale impegno. E sono stato molto felice di apprendere che esiste un solido programma a Capo Verde in relazione alla riduzione delle emissioni nelle attività portuali, il che è anche estremamente rilevante».
Il quarto punto per porre fine all’emergenza oceanica è l’impiego di scienza, tecnologia e innovazione su una scala senza precedenti: «Siamo entrati nel terzo anno dell’ UN Decade of Ocean Science. Entro il 2030, dovremo ver raggiunto il nostro obiettivo di mappare l’80% del fondale marino. Dobbiamo vedere nuove partnership tra ricercatori, governi e settore privato per sostenere la ricerca oceanica e la pianificazione e gestione sostenibile degli oceani. Dobbiamo prevedere investimenti in infrastrutture costiere all’avanguardia e resilienti ai cambiamenti climatici, dalle città e dai villaggi alle installazioni portuali. E per proteggere le comunità costiere e i lavoratori in mare dai disastri naturali, dobbiamo investire massicciamente in tecnologie e capacità per raggiungere il nostro obiettivo di garantire una copertura globale universale del sistema di allerta precoce nei prossimi 5 anni».
Guterres ha concluso: Porre fine all’emergenza oceanica è una gara che dobbiamo vincere. E lavorando insieme, è una gara che possiamo vincere. Salviamo gli obiettivi di sviluppo sostenibile, incluso l’SDG 14. Diventiamo tutti i campioni di cui l’oceano ha bisogno. Mettiamo fine all’emergenza oceanica e conserviamo e valorizziamo questo prezioso dono blu per i nostri figli e nipoti».