Paura degli esseri umani: quando il (grosso) gatto non c’è i topi ballano

Anche l'ecoturismo può far fuggire i predatori e far aumentare i roditori?

[18 Luglio 2019]

Lo studio “Fear of humans as apex predators has landscape‐scale impacts from mountain lions to mice”, pubblicato su Ecology Letters da Justin Suraci  e Christopher Wilmers dell’università della California – Santa Cruz, e da Michael Clinchy e Liana Zanette del Department of biology della Western University, sembra la conferma del proverbio “quando il gatto non c’è i topi ballano”, con una complicazione in più che non piacerà molto agli ambientalisti: c’entra anche l’ecoturismo.

Infatti, dal nuovo studio emerge che quando i puma e i carnivori di medie dimensioni “sentono” la presenza di esseri umani il loro numero cala e le loro abitudini cambiano, il che libera il territorio ai roditori che diventano più numerosi e meno schivi.

Secondo i ricercatori statunitensi e canadesi, «Gli esseri umani sono i principali predatori di molte specie selvatiche e la nostra sola presenza può creare un “paesaggio di paura”». E la paura degli uomini impedisce gli spostamenti e l’attività di puma, linci, puzzole e opossum, il che avvantaggia i piccoli mammiferi. Mentre i loro predatori rispondono nascondendosi o fuggendo alla loro paura per gli umani, roditori come i topi cervo (Peromyscus maniculatus) o i ratti del legno (Neotoma) percepiscono meno rischi e si spingono a cercare il cibo più lontano e più intensamente.

Suraci, del Center for integrated spatial research, Environmental studies department, dell’UC Santa Cruz, spiega che «Gli esseri umani sono abbastanza spaventosi per i puma e per i piccoli predatori che, quando pensano che siamo nei paraggi, reprimono il loro comportamento e cambiato il modo in cui utilizzavano i loro habitat. La parte più sorprendente è stata vedere come quei cambiamenti avvantaggiano i roditori».

Si tratta di risultati preoccupanti e significativi (e che ridicolizzano anche le italiche campagne contro il “pericolo grandi predatori”)  perché gli esseri umani stanno invadendo anche le ultime terre selvagge rimaste nel  mondo e gli ecologi vogliono comprendere a quali effetti hanno gli esseri umani e lo sviluppo sulla fauna selvatica.

Wilmers, e direttore del Santa Cruz Puma Project e che insegna all’Environmental studies department, dell’UC Santa Cruz, sottolinea: «Abbiamo passato 10 anni a imparare come la paura degli esseri umani guida la fisiologia, il comportamento e l’ecologia dei puma. Questo è il primo esperimento su vasta scala di cui sono a conoscenza che documenta come la paura si estende  attraverso la rete alimentare, dai predatori all’apice fino alle prede più piccole».

Lo studio rivela che la semplice presenza di esseri umani – quindi anche degli ecoturisti – può avere effetti piuttosto profondi, anche senza infrastrutture come case e strade o attività come la caccia.

Wilmers, che studia le interazioni uomo-natura in California, Africa e in altre parti del mondo, aggiunge: «Con la crescita e lo sviluppo della popolazione umana, c’è spesso la duplice necessità di preservare la fauna selvatica e dare alle persone l’accesso a spazi aperti. Questa ricerca inizia a capire come possiamo realisticamente fare entrambe le cose: dobbiamo capire come gli animali reagiscono alla nostra presenza per prendere decisioni e politiche che proteggano il loro benessere».

Suraci e Wilmers hanno progettato un esperimento che utilizza registrazioni di voci umane per valutare gli effetti della paura degli umani a livello territoriale. Hanno posizionato 25 altoparlanti in una griglia realizzata su un’area di un Km2, gli altoparlanti trasmettevano voci umane e registrazioni dei richiami dele raganelle come controllo. I due siti di ricerca erano distanti tra loro sulle montagne di Santa Cruz, in due aree chiuse pubblico. I ricercatori hanno così scoperto che i puma reagiscono alle voci umane riducendo significativamente la loro attività, mantenendosi a distanza e rallentando i loro movimenti. Suraci evidenzia che «Quando abbiamo trasmesso le registrazioni delle rane erano attivi, si spostavano attraverso il territorio. Ma quando hanno sentito le voci umane, hanno fatto di tutto per evitare la griglia».

Anche i predatori di taglia media hanno cambiato il loro comportamento in modo significativo: le linci sono diventate molto più notturne; le moffette hanno ridotto del 40% la loro attività e gli opossum hanno ridotto la loro attività di foraggiamento di ben il 66%. Suraci spiega ancora: «Le linci hanno praticamente rinunciato all’attività diurna, spostandosi quasi interamente verso la notte, quando presumibilmente si sentono più al sicuro. Questi predatori non stanno necessariamente lasciando l’area, sono solo meno attivi, presumibilmente perché si nascondono di più. Ma con il passare del tempo, se la loro assunzione di cibo diminuisse, questi cambiamenti comportamentali potrebbero avere conseguenze disastrose per i puma e gli altri predatori. Al contrario, i topi di cervo hanno aumentato il loro raggio di azione del 45% e l’intensità del foraggiamento da parte dei topi e dei ratti del legno è aumentata del 17%. «Apparentemente, stavano rispondendo alla ridotta attività di tutti gli altri. Si sentono più coraggiosi, quindi si muovono di più e trovano più cibo, non sono troppo ostili alle persone, quindi approfittano dell’opportunità – dice Suraci – Per la fauna selvatica, la paura equivale alla percezione del rischio di predazione. Gli esseri umani sono incredibilmente letali. “Siamo grandi predatori, e quindi una fonte di paura, per molte di queste specie. La novità di questo studio è che possiamo vedere come appare questa paura nell’ambiente su una scala relativamente ampia».

Infatti, a differenza degli studi che valutano gli impatti delle attività umane e della successiva frammentazione degli habitat, questa ricerca si è concentrata sugli impatti degli stessi esseri umani e Suraci fa notare che «Solo la paura degli umani può influenzare il modo in cui la fauna selvatica utilizza il territorio e il modo in cui le specie interagiscono tra loro. Abbiamo scoperto che la semplice presenza percepita di esseri umani innesca un’interruzione delle interazioni naturali predatore-preda e i roditori ne traggono davvero beneficio».

I ricercatori sostengono che «Se simili effetti human shield per piccoli mammiferi sono comuni dove l’attività umana è alta, questo potrebbe portare a una maggiore abbondanza di piccoli mammiferi nelle aree selvagge frequentate dalle persone, una conseguenza potenzialmente indesiderabile dell’ecoturismo».

Il team di ricercatori statunitensi e canadesi punta ora a studiare gli impatti relativi, o i “costi/benefici”, che hanno alcune specie nel vivere vicino agli esseri umani e Suraci conclude: «I carnivori più piccoli non vogliono interagire con gli umani, ma ciò può essere compensato dai benefici di nutrirsi con la spazzatura e di essere potenzialmente protetti dai puma. Per capirlo, stiamo lavorando ad alcuni studi a lungo termine».