Più di un quarto dei vertebrati terrestri muoiono a causa degli esseri umani
E sono solo cause dirette, senza tender conto di urbanizzazione e cambiamenti dell'utilizzo del suolo
[1 Marzo 2019]
«Gli esseri umani hanno un “effetto sproporzionato” sulle altre specie di vertebrati che condividono con noi la superficie della Terra, causando oltre il 25% delle morti tra una serie di specie in tutto il mondo». A dirlo è lo studio “Cause‐specific mortality of the world’s terrestrial vertebrates”, pubblicato recentemente su Global Ecology and Biogeography da Jacob Hill e Jerrold Belant del College of Environmental Science and Forestry (Esf) della State University di New York e da Travis L. DeVault del Dipartimeto dell’agricoltura Usa, che ha analizzato la morte di 42.755 animali che sono stati segnalati in 1.114 studi pubblicati. Hanno scoperto che «Il 28% delle morti degli animali sono state causate direttamente dall’uomo». Lo studio comprendeva mammiferi, uccelli, rettili e anfibi morti tra il 1970 e il 2018 in Nord e Sud America, Europa, Asia, Africa e Oceania, tutti raccolti o etichettati all’interno di progetti di ricerca.
Belant sottolinea: «Sappiamo tutti che gli esseri umani possono avere un effetto sostanziale sulla fauna selvatica, il fatto che siamo solo una tra le oltre 35.000 specie di vertebrati terrestri in tutto il mondo, ma siamo responsabili di oltre un quarto delle loro morti fornisce una prospettiva su quanto sia grande il nostro effetto. E queste sono solo cause dirette: quando si considera anche la crescita urbana e altri cambiamenti nell’utilizzo del suolo che riducono l’habitat, diventa chiaro che gli esseri umani hanno un effetto sproporzionato su altri vertebrati terrestri».
Gli autori dello studio hanno analizzato le cause delle morti di 120.657 singoli animali di 305 specie di vertebrati, per circa 42.000 la causa della morte era già nota. Complessivamente, il 28% dei decessi è stato causato direttamente dall’uomo; l’altro 72% è morto per cause naturali. La predazione (55%) e la cattura/caccia legale (17%) erano le principali fonti di mortalità.
Dato che le cause naturali rappresentano il 72% dei decessi, si potrebbe essere tentati di pensare che gli impatti umani siano relativamente minori. I predatori non umani causano più della metà dei decessi analizzati; un numero di animali tre volte superiore muore tra artigli, zanne e spire, invece che per i nostri proiettili e trappole. Ma Hill avverte che ci sono importanti differenze tra la mortalità naturale e quella causata dall’uomo. In una situazione di equilibrio ecologico, le dinamiche predatore-preda sono così calibrate che, in assenza di fattori esterni, i predatori non causano l’estinzione delle prede. Ma quando si aggiungono le pressioni umane, questo può far scomparire intere popolazioni animali, «In particolare quando la mortalità antropogenica è così alta come abbiamo scoperto», dice Hill, che fa notare che «L’impatto degli esseri umani non era uguale per tutte le diverse specie. Gli animali più grandi hanno più probabilità di essere uccisi dagli esseri umani rispetto alle specie più piccole: gli animali adulti hanno più probabilità dei giovani di essere uccisi dagli esseri umani».
Inoltre, quando un animale muore per cause naturali, le sostanze nutritive e l’energia contenute nel suo corpo contribuiscono a sostenere una ricca rete di relazioni reciproche; quando le persone uccidono gli animali, i loro corpi entrano in una rete molto più semplice.
Il team di Hill ammette che nelle loro stime restano delle incertezze: negli studi che loro stime: negli studi che avevano esaminato mammiferi, uccelli e animali carismatici erano sovra-rappresentati e la maggior parte delle ricerche provenivano dal Nord America. Ma i modelli di base sembrano essere ampiamente applicabili, «La nostra classificazione – scrivono i ricercatori – non esprime appieno l’entità della mortalità antropogenica ed è probabile che sottostimi il grado in cui le attività umane determinano la morte della fauna selvatica».
I tre scienziati statunitensi sono concordi sul fatto che «Gli esseri umani danno un importante contributo alla dei vertebrati terrestri, con un potenziale impatto sui processi evolutivi e sul funzionamento degli ecosistemi» e ricordano che «il 75% della superficie terrestre della Terra è influenzata dall’attività umana e che estese estinzioni di specie animali sono un tratto distintivo dell’era chiamata Antropocene».
Belant conclude; «E’ un campanello d’allarme. Pensate ai tassi di deforestazione e allo sbiancamento delle barriere coralline provocato dall’aumento delle temperature del mare. Questa è un’altra prova da aggiungere alla lista, un altro esempio dell’effetto che stiamo avendo sul pianeta».