Stop al consumo di suolo. Cia: «In 20 anni il cemento ha “scippato” il 16% delle campagne italiane»
Difendere il territorio è un dovere: per motivi ambientali, paesaggistici e soprattutto economici
[9 Marzo 2015]
Oggi a Firenze la Confederazione italiana agricoltori (Cia) ha organizzato il convegno “Suolo, paesaggio, cambiamenti climatici e agricoltura”, un nuovo appuntamento del ciclo “Il territorio come destino”, alla presenza dei ministri delle politiche agricole Maurizio Martina e dell’ambiente Gian Luca Galletti ed ha sottolineato che «Bisogna andare avanti sulla legge “salva suolo”, un passo necessario e urgente verso una vera politica di tutela e prevenzione». Il presidente nazionale della Cia, Dino Scanavino, ha sottolineato che «Continuare a perdere terreno agricolo vuol dire colpire l’economia del Paese aumentando l’import alimentare; mettere a rischio un patrimonio paesaggistico da 10 miliardi e lasciare il Paese in balia della minaccia del dissesto idrogeologico. Ora serve un deciso cambio di passo sul tema, con il protagonismo degli agricoltori».
Secondo gli agricoltori l’Italia è sempre più in debito di suolo: «Mentre la cementificazione avanza senza sosta, l’agricoltura continua a perdere terreno. In meno di vent’anni la superficie edificata ha “mangiato” oltre 2 milioni di ettari coltivati, cancellando il 16% delle campagne, e lo “scippo” procede tuttora a ritmi frenetici: più di 11 ettari l’ora, quasi 2.000 a settimana, circa 8.000 in un mese. Ma non mettere un freno al consumo di suolo e difenderlo dalle aggressioni indiscriminate significa continuare a sottovalutare quella che è una risorsa strategica del Paese. E non solo per fattori ambientali e paesaggistici, ma soprattutto per motivi economici e alimentari. L’estensione della superficie agricola è legata direttamente alla sicurezza alimentare. Ed è per questo il consumo di suolo coltivato rischia di riflettersi sulle cifre dell’approvvigionamento alimentare in Italia, dove a oggi si arriva a coprire il fabbisogno di cibo di tre cittadini su quattro. Dovendo ricorrere alle importazioni per coprire questo deficit produttivo. D’altra parte, però, gli italiani credono nell’agricoltura e l’88 per cento di loro si dichiara preoccupato per l’abbandono delle campagne e per la crisi del settore, che paga non solo gli effetti del maltempo e dell’embargo russo ma anche le scelte della politica, a partire dall’Imu».
Scanavino ha ricordato ai ministri Martina e Galletti, a Paolo De Castro, al presidente Gruppo S&D commissione Agricoltura Parlamento europeo; a Giovanni La Via, presidente commissione Ambiente Parlamento Ue; a Claudia Sorlini, Comitato scientifico Expo 2015; ad Enrico Rossi, presidente Regione Toscana; a Dario Nardella, sindaco di Firenze; a Giampiero Maracchi, presidente Accademia dei Georgofili che «Se da una parte cresce la domanda di cibo, dall’altra diminuiscono le terre coltivate. Una contraddizione che va fermata e affrontata. Altrimenti si rischia di aumentare la nostra dipendenza dall’estero nel capitolo agroalimentare, in un contesto globale in cui le stime di Fao e Ocse parlano per i prossimi anni di un rallentamento della crescita produttiva mondiale, a cui si affianca però la costante crescita demografica che ci porterà nel 2050 a superare la soglia dei 9 miliardi di abitanti nel Pianeta».
Secondo la Confederazione italiana agricoltori, «Perdere terreno agricolo vuol dire anche mettere a rischio un patrimonio paesaggistico che, tra turismo rurale e indotto legato all’enogastronomia tipica, “vale” più di 10 miliardi di euro l’anno. Proprio nelle pieghe del paesaggio agricolo infatti si “nascondono” quei 4.813 prodotti tradizionali italiani che rappresentano la storia e la spina dorsale dell’agroalimentare nazionale. Prodotti tipici, locali e biodiversi che da un lato rendono il “made in Italy” così ricercato sui mercati stranieri, ma anche così necessario per la ripresa dell’economia interna, e dall’altro però sono anche i più vulnerabili di fronte alla minaccia del consumo di suolo».
A questo va aggiunto un altro aspetto cruciale per il nostro Paese: «La mancata manutenzione del territorio, il degrado, l’incuria, la cementificazione selvaggia e abusiva, l’abbandono delle zone collinari e montane dove è venuto meno il fondamentale presidio dell’agricoltore, contribuiscono a quei fenomeni di dissesto idrogeologico del Paese che sono alla base di tragedie anche recenti. Tra frane, alluvioni, smottamenti e piene, l’Italia ha il triste primato in Europa per il maggior rischio idrogeologico, un “pericolo” che coinvolge quasi il 10% della superficie nazionale e riguarda ben 6.633 comuni, ovvero l’82% del totale. Quindi tutelare il suolo significa proteggere il Paese dalla minaccia del dissesto e in questo senso il ruolo degli agricoltori è fondamentale. I terreni coltivati, infatti, giocano un ruolo essenziale per stabilizzare e consolidare i versanti e per trattenere le sponde dei fiumi, grazie anche alla capacità di assorbimento e di riduzione dei tempi di corrivazione. Ogni forma di coltivazione obbliga a un corretto regime delle acque e questo comporta una sensibile diminuzione dell’esposizione dei versanti al rischio di smottamenti e dei fondovalle al pericolo di allagamenti».
Il convegno di Firenze ha affrontato anche il tema dell’impatto sui cambiamenti climatici: «Come ha confermato l’Ispra nel suo ultimo rapporto, la cementificazione galoppante ha comportato l’immissione in atmosfera di 21 milioni di tonnellate di Co2 solo tra il 2009 e il 2012, per un costo complessivo stimato intorno ai 130 milioni di euro. Ecco perché “ora c’è bisogno di un radicale cambio di passo sul tema -ha detto Scanavino-. Sono tanti i motivi per cui oggi servono nuove e adeguate politiche di prevenzione del territorio, a partire dalla legge “salva suolo”, un provvedimento urgente e necessario che però, tra proposte ferme in Parlamento, modifiche del testo e iter mai conclusi, non riesce ancora a vedere la luce. A misure del genere bisogna poi affiancare una puntuale azione di vigilanza e controllo delle situazioni a rischio, che deve coinvolgere necessariamente gli operatori agricoli».
Scanavino ha concluso: «Gli agricoltori devono esercitare un ruolo di primo piano nella difficile impresa di tutela del territorio. Gli strumenti esistono e si attuano tramite le convenzioni tra le amministrazioni locali e le imprese agricole, che in un’ottica di sussidiarietà possono esprimere multifunzionalità e pluriattività. Insomma, non c’è più tempo da perdere. Occorre porre immediato riparo e lavorare in tempi veloci per costruire un sistema ambientale realmente sostenibile, valorizzando il ruolo dell’agricoltura quale volano di riequilibrio territoriale, produttivo e sociale».