Trump ha cercato di rottamare per 100 volte le tutele ambientali Usa

Una politica a favore delle lobby fossili e minerarie e arginata solo dalle denunce penali degli ambientalisti e dai tribunali

[29 Ottobre 2020]

Secondo Earthjustice, che in tre anni ha intentato più di 100 cause legali per difendere la tutela dell’ambiente e della salute dal tentativo di Donald Trump  – e della sua corte di ecoscettici e negazionisti climatici – di rottamare le leggi e le normative statunitensi che difendono ambiente e biodiversità, «La storia non raccontata dell’agenda dell’amministrazione Trump per smantellare le protezioni ambientali è che sta perdendo».

Se è vero che finora sono state emesse sentenze nel merito per 50 cause e che Earthjustice – insieme ad altre associazioni ambientaliste – ha vinto 41 b volte, cioè oltre l’80% delle sfide legali decise finora, e che una sentenza dopo l’altra, i tribunali federali hanno bloccato i tentativi dell’amministrazione Trump di rottamare la protezione ambientale, è anche vero che Trump è andato avanti caparbiamente cambiando, con testi scritti direttamente dalle lobby fossili, i provvedimenti bocciati per ripresentarli. E comunque alcuni durissimi colpi alle tutele ambientali è riuscito a infliggerli.

Come scrive Federica D’Auria su Il Bo Live dell’università di Padova, «Che la lotta ai cambiamenti climatici e la difesa dell’ambiente non fossero tra gli obiettivi dell’azione politica di Donald Trump è stato noto fin dall’inizio. L’attuale presidente degli Stati Uniti, infatti, ha sempre espresso molto chiaramente le sue idee su questo argomento, rifiutandosi persino di credere al riscaldamento globale».

E il New York Times ha pubblicato un’inchiesta basata sui dati e gli studi delle università di Harvard e Columbia, Federal Register, Environmental protection agency (Epa) e altre fonti  statuinitensi che confermano quanto dicono gli ambientalisti: i tentativi, riusciti o meno, di Trump di rottamare le normative ambientali sono stati un centinaio.

La D’Auria spiega che «Le politiche climatiche che dal 2016 ad oggi sono state smantellate o che si trovano attualmente in fase di revisione riguardano principalmente la regolamentazione della quantità di emissioni di anidride carbonica e sostanze chimiche tossiche, la tutela delle specie animali e vegetali a rischio e la pulizia dell’aria e dell’acqua. Trump ha indebolito soprattutto le normative che impongono limiti all’emissione di anidride carbonica e altre sostanze, rendendo spesso vani i passi avanti compiuti dall’amministrazione Obama. Ad esempio, pochi mesi fa, l’attuale presidente degli Stati Uniti ha alleggerito i regolamenti che avevano lo scopo di limitare la quantità di metano che fuoriesce dai pozzi petroliferi, ignorando deliberatamente tutti gli studi scientifici che sottolineano la pericolosità di questo gas per la salute degli esseri umani e il fatto che il nord America sia responsabile di ben un terzo della sua produzione mondiale».

Come hanno denunciato più volte Sierra Club, Nrdc, Greenpeace e Wwf Usa, la politica “ambientale” di Trump – a partire dall’uscita dall’Accordo di Parigi, obbediva a precise richieste della compagnie petrolifere e carbonifere, con lo scopo dichiarato di alleggerirle dagli obblighi ambientali approvati da Obama – ma anche da presidenti repubblicani – e rendere cosi le imprese fossili statunitensi più competitive rispetto a quelle del resto del mondo. Lo stesso vale anche per i regolamenti sulle emissioni di mercurio e altre sostanze tossiche delle vetuste centrali elettriche a petrolio e carbone.

Come martella ormai da anni Sierra Club, all’amministrazione Trump non sembra interessare la salute di aria, acqua e suolo e quindi delle comunità che vivono vicino agli impianti più inquinanti. «Una mossa – ricorda la D’Auria – che gli è costata una causa legale da parte dello stato della California riguarda l’annullamento di una norma approvata nel 2015 da Obama per regolamentare le attività di fracking sui territori pubblici o dei nativi americani. L’abrogazione di questa regola ha suscitato l’indignazione delle organizzazioni ambientaliste come Earthjustice, che ha accusato il presidente di non rispettare il National environmental policy act, la principale legge degli Stati Uniti a tutela dell’ambiente».

Il 27 ottobre alcune associazioni ambientaliste statunitensi hanno presentato denunce e ricorsi contro il Resource-management plan (RMP) legali  del governo federale che ha dato l’autorizzazione a espandere l’estrazione di combustibili fossili su di 1,7 milioni di acri nel Colorado sud-occidentale.

Secondo i difensori del clima, l’RMP è illegittimo perché è stato perché approvato durante il mandato illegale di William Perry Pendley che dirige il Bureau of Land Management (BLM). Melissa Hornbein, avvocato del personale della Western Environmental Law Center, spiega che ormai c’è un precedente legale: «L’autorità di Pendley come direttore del Bureau non è valida e, altrettanto, le decisioni di pianificazione approvate durante il suo mandato non sono valide. L’inosservanza della legge da parte dell’RMP è palese e la nostra nuova denuncia riflette semplicemente il fatto che i suoi fallimenti legali derivano dalla leadership illegale dell’ufficio di Pendley».

Infatti, la scorsa settimana, un’ordinanza del tribunale ha annullato tre piani di gestione delle risorse di Pendley nel Montana, in base a una sentenza di settembre secondo cui il mandato di 424 giorni di Pendley è illegale. Ordinanze e sentenze cambiano tutto anche per la causa legale presentata dagli ambientalisti ad agosto contro il piano delle risorse per l’Uncompahgre Field Office che autorizza più fracking e estrazione di carbone in una delle regioni del Paese in più rapido riscaldamento.

Taylor McKinnon, del Center for Biological Diversity, ha detto che «Questo è il primo passo per cancellare dalle nostre terre pubbliche la macchia dell’eredità corrotta e illegale di Pendley. Pendley ha costruito la sua carriera sull’industrializzazione e la distruzione delle terre pubbliche. Non avrebbe mai dovuto essere autorizzato a mettere piede nel Bureu».

Sotto l’amministrazione di Pendley – voluto fortemente da Trump – il Bureau of Land Management ha modificato i piani di gestione delle risorse per consentire per decenni l’espansione dei combustibili fossili e dell’inquinamento climatico sulle terre pubbliche in tutto il West Usa.  Secondo le associazioni ambientaliste, le decisioni illegali di Pendley comprendono almeno 16 piani di gestione delle risorse e altri progetti che aprono alle trivelle, all’estrazione di petrolio e gas e alla trasformazione in pascoli per il bestiame 30 milioni di acri di terreni pubblici in Arizona, California, Colorado, Montana, Wyoming, Texas, Oklahoma, Kansas, Idaho e Utah. I piani spaziano dall’espansione dell’estrazione del carbone nel Montana e dell’estrazione del rame a cielo aperto in Arizona, al fracking su oltre 1 milione di acri in California. Spesso con la netta contrarietà degli Stati interessati e dell’opinione pubblica.

Nella sua sentenza di settembre in cui si dichiarava che Pendley aveva prestato servizio illegalmente, il giudice distrettuale degli Stati Uniti Brian Morris ha stabilito che qualsiasi compito svolto da Pendley durante i suoi 424 giorni come direttore ad interim del Bureau «Non ha potere ed effetto e deve essere messo da parte come arbitrario e capriccioso».

Sembra una parabola dell’atteggiamento dell’amministrazione Trump: «Per 424 giorni, William Perry Pendley ha gestito illegalmente il Bureau of Land Management come uno sportello unico per soddisfare gli interessi delle compagnie petrolifere e del gas – denuncia Athan Manuel, direttore Sierra Club per la protezione delle terre pubbliche  – Le decisioni prese durante il suo mandato illegale hanno avuto effetti reali e devastanti sulle nostre comunità, sul nostro ambiente e sulla nostra fauna selvatica. Ci meritiamo un Bureau che protegga le nostre terre e le nostre acque pubbliche, non che promuova l’agenda degli sporchi combustibili fossili».

La rottamazione ambientale di Trump ha colpito duramente la tutela della biodiversità: ha à portato abrogato 11 leggi per la protezione delle specie animali, come il divieto di caccia agli animali predatori selvatici dell’Alaska, permettendo anche la caccia ai cuccioli di lupi e orsi nelle tane. E, per non intralciare l’espansione edilizia, Trump ha proposto di ridurre la protezione degli habitat di alcune specie a rischio.

L’ultimo caso lo segnala Sierra Club: il 28 ottobre l’US Forest Service ha pubblicato un avviso per un Final Record of Decision per l’eliminazione della Roadless Rule nella Tongass National Forest, una decisione che apre al disboscamento vaste aree di un’antica e insostituibile foresta pluviale temperata, mettendo a repentaglio la cultura e i mezzi di sussistenza delle comunità indigene, il ruolo della foresta nella lotta alla crisi climatica e specie di fauna selvatica già in pericolo di estinzione.

il direttore del Sierra Club Alaska Chapter Andrea Feniger, ha commentato:  «Preservare la Tongass è una questione di sopravvivenza. Una foresta sana e stabile è assolutamente essenziale per la sopravvivenza e i mezzi di sussistenza delle popolazioni indigene. E’ essenziale anche per mitigare la crisi climatica che ci minaccia tutti. Continueremo a combattere per la Tongass e per coloro che dipendono da lei. Ci opporremo ogni volta alla revoca delle restrizioni contro il disboscamento nelle aree della foresta prive di strade».

La D’Auria conclude: «Osservando questo scenario viene spontaneo chiedersi che cosa accadrebbe se Trump dovesse vincere le elezioni e ottenere altri quattro anni di tempo per continuare a inquinare il suo paese e tutto il resto del pianeta».