Riceviamo e pubblichiamo
Una foglia di fico per le Olimpiadi invernali del 2026
«Le Olimpiadi potranno essere sostenibili ambientalmente unicamente se sostenibili sono e saranno le opere strutturali e infrastrutturali funzionali al loro svolgimento»
[1 Febbraio 2021]
La settimana scorsa, mercoledì 27 gennaio, si è svolto in remoto l’atteso incontro con le Associazioni di protezione ambientale richiesto dalla Fondazione Milano-Cortina 2026. Gli obiettivi della Fondazione sono stati illustrati dal presidente Giovanni Malagò, dall’amministratore delegato Vincenzo Novari e poi da Diana Bianchedi, Francesco Romussi e Gloria Zavatta. Andrea Monti, responsabile della comunicazione, ha coordinato i lavori. Per il fronte ambientalista hanno parlato il portavoce dell’Osservatorio sulle Olimpiadi, costituito nelle settimane scorse dalle più importanti associazioni ambientaliste, e altri quindici rappresentanti di singole associazioni.
L’incontro ha confermato le perplessità manifestate da varie parti sul ruolo della Fondazione e sul tipo di promozione che essa sta dando alle Olimpiadi invernali del 2026, le quali, hanno detto e ripetuto i presentatori, “hanno come uno dei pilastri fondamentali la sostenibilità ambientale”.
Già la breve introduzione di Malagò, nella sua duplice ed equivoca veste di presidente del Coni e della Fondazione e perciò di controllato e controllore, è stata significativa: “noi (la Fondazione) – ha detto in sostanza, quasi a scansare certe responsabilità – non godiamo di contributi pubblici, siamo solo il Comitato organizzatore dei giochi come vuole la legge olimpica, e perciò non ci occupiamo delle opere perché non sono di competenza nostra, ma dell’agenzia pubblica o di soggetti terzi”. L’agenzia pubblica è in realtà la società pubblica Infrastrutture Milano Cortina 2020-2026 S.p.a., peraltro non ancora costituita, mentre i soggetti terzi sono regioni, enti locali e privati.
“D’altra parte – ha aggiunto – l’80 o 90% delle opere è stato già realizzato”, facendo evidentemente riferimento agli impianti per i mondiali di sci che si svolgeranno a Cortina nella prossima settimana ben consapevole, come è ovvio, del forte impatto negativo che essi hanno sull’ambiente delle Dolomiti, ma tacendo sul fatto che questi impianti sono stati realizzati anche per i Giochi del 2026 e soprattutto sul fatto che molte altre opere, finanziate per le Olimpiadi perché a esse funzionali (così almeno si sostiene) e fortemente impattanti, sono ancora lontane dall’essere realizzate: si pensi agli interventi sulla rete stradale e su quella ferroviaria.
Malagò però avrebbe dovuto chiarire, ma non lo ha fatto e non lo hanno fatto neanche gli altri presentatori, che Infrastrutture S.p.a. – centrale di committenza e stazione appaltante che come tale si occuperà delle questioni più importanti e delicate (dalla predisposizione del piano degli interventi alla localizzazione e alle caratteristiche tecnico-funzionali delle opere, dal costo di ciascuna opera alla relativa copertura finanziaria, dai complessi rapporti con Anas a quelli con Rfi) – dovrà operare, come prescrive la legge olimpica (art. 3 della l. 31 del 2020), “in coerenza con il Comitato organizzatore”, cioè con la Fondazione, che ha pertanto un preciso dovere di dettare indicazioni alla S.p.a. e di controllarne l’applicazione.
È proprio questo il compito fondamentale della Fondazione e perciò appaiono assai gravi sia la posizione elusiva del presidente Malagò sia l’excusatio non petita del dirigente del Coni Francesco Romussi, il quale, anche lui, ha messo le mani in avanti affermando chela Fondazione non può intervenire sulle opere infrastrutturali perché alcune sono di iniziativa delle regioni o dei privati, già totalmente o parzialmente finanziate, altre rientrano nel miliardo previsto dal decreto del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti approvato nel novembre scorso: è il finanziamento che riguarda opere infrastrutturali in larga parte già programmate o richieste dagli enti locali che servono ad agevolare l’accessibilità e i collegamenti per le Olimpiadi.
Romussi ha poi aggiunto che tutt’al più la Fondazione potrà svolgere un’azione di orientamento, quasi una sorta di moral suasion, ma forse non ha considerato – e invece dovrebbe saperlo – che il principio “operare in coerenza” fissato dalla legge è cosa ben diversa dalla moral suasion ed è molto impegnativo.
Si è anche parlato di legacy (un altro di quegli anglicismi che servono a gettare fumo negli occhi), si è cioè parlato del messaggio da lasciare in eredità al territorio, non solo a quello toccato dai Giochi, ma a tutto il Paese.
Su tale argomento chi è intervenuto ha però mostrato sincero interesse e, aggiungerei, anche passione, come Gloria Zavatta (amministratrice unica di Amat, l’Agenzia mobilità ambiente territorio del Comune di Milano) che ha indicato due proposte interessanti per le quali ha chiesto suggerimenti alle Associazioni: far rivivere o smantellare alcuni impianti sportivi abbandonati; organizzare per i giovani un’iniziativa su sport e sostenibilità in occasione della riunione preparatoria della Cop26 sui cambiamenti climatici che si svolgerà a Milano dal 30 settembre al 2 ottobre, e che prevede anche un forum giovanile. L’argomento è importante ed è lodevole volersene occupare, ma forse la Fondazione non ha tenuto conto che l’art. 3-bis della legge olimpica attribuisce la competenza sull’eredità olimpica a un apposito organismo presso la Presidenza del Consiglio, istituito per ora solo sulla carta, denominato Forum per la sostenibilità dell’eredità olimpica e paralimpica. Come si potranno raccordare i due percorsi è questione tutta da verificare.
Occorre invece sottolineare con forza che la sostenibilità ambientale delle Olimpiadi non può consistere nelle piccole cose, pur se importanti, come, per fare due esempi tra quelli emersi dall’incontro, le locandine di buon comportamento affisse nei pubblici esercizi o “l’eliminazione della plastica” (che comunque sarà molto marginale rispetto all’enormità di materiali plastici necessari per lo svolgimento delle gare), ma soprattutto non può essere misurata solo con riferimento alle gare che si dovranno svolgere, come se non entrassero in relazione con il contesto degli interventi.
Le Olimpiadi potranno essere sostenibili ambientalmente, come del resto le vuole il Comitato olimpico internazionale, unicamente se sostenibili sono e saranno le opere strutturali e infrastrutturali funzionali al loro svolgimento: sia quelle che già sono state realizzate sia quelle che verranno realizzate (anche se non saranno concluse alla data delle Olimpiadi).
Forse è stata proprio la consapevolezza della difficoltà di garantire tale aspetto che ha portato alcuni paesi a ritirare la propria candidatura per i Giochi invernali del 2026.
In conclusione, dall’incontro è apparso molto chiaro che la Fondazione è stata istituita soprattutto per nascondere le tante opere funzionali alle Olimpiadi che già sono insostenibili o che si riveleranno come tali da qui al 2026: insostenibili per l’ambiente, in particolare quello montano; insostenibili anche per le finanze pubbliche, come si sta scoprendo sempre di più.
Dunque, una foglia di fico.
di Carlo Alberto Graziani