A Roma sono 300mila le persone a rischio alluvioni ed esondazioni
D’Angelis: «Si tratta della più alta esposizione d’Europa». Nel mentre in Italia dall’inizio del 2019 si sono verificati 1.543 eventi atmosferici estremi, 20 anni fa erano stati solo 17
[3 Dicembre 2019]
Per l’ennesima volta Roma si è trovata impreparata alla bomba d’acqua che nella serata di ieri si è abbattuta sulla città, quando un paio d’ore d’intensa pioggia sono bastate per allagare letteralmente le strade della Capitale e impedire l’accesso a tre stazioni della metropolitana. Curiosamente nella stessa giornata è stato presentato il Piano per la difesa dal rischio idrogeologico e la tutela ambientale dell’area metropolitana di Roma e dello Stato del Vaticano (PS5): cosa accadrebbe nell’area metropolitana di Roma in caso di piena del fiume Tevere, dell’Aniene e degli altri affluenti? E cosa si sta facendo per evitare il disastro?
Per rispondere l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale ha illustrato il Piano, che ricomprende una superficie complessiva di 1724 Kmq – 1061 kmq di Roma Capitale e parte dei territori di altri 39 Comuni dell’hinterland – dove insistono fragilità mai strutturalmente affrontate, al punto che oggi il rischio alluvioni ed esondazioni riguarda un territorio urbano di 1.135 ettari dove vivono e lavorano circa 300 mila persone. «Si tratta della più alta esposizione d’Europa», precisa nel merito il segretario generale dell’Autorità, Erasmo D’Angelis.
Per affrontare ieri un primo, piccolo passo è arrivato grazie a un bando Invitalia per la manutenzione straordinaria del reticolo idrografico dell’area romana, per il quale il ministero dell’Ambiente ha stanziato 10 milioni di euro: «Si tratta di un primo passo – ha garantito D’Angelis – a cui si affiancano opere e interventi per il contrasto del rischio idrogeologico per un totale di oltre 800 milioni di euro».
La manutenzione però non può mai fermarsi. Anche perché i 10 milioni del bando partito oggi sono sì una buona notizia, ma fino a un certo punto perché, come ha sottolineato la dirigente dell’Autorità di distretto Letizia Oddi, «non c’è da essere contenti perché si tratta appunto di manutenzione ‘straordinaria’ dovuta al fatto che la manutenzione ordinaria non funziona».
Tra l’altro, come aggiunto dal segretario generale, garantire la sicurezza di Roma si fa lavorando anche a monte e cioè nei territori a nord della Capitale e sul controllo di un affluente del Tevere molto importante come il fiume Paglia. Per questo il nuovo PS5 disciplina e tutela gli aspetti idrogeologici ed ambientali dell’area vasta e del reticolo idrografico con l’obiettivo di salvaguardare il sistema delle acque superficiali e sotterranee, valorizzare i Corridoi fluviali (Tevere, Aniene) e 14 Corridoi ambientali del reticolo secondario, introducendo tra l’altro in quest’area il concetto di invarianza idraulica: ogni nuova trasformazione dello stato del suolo non deve costituire un aggravio di portata del reticolo idrografico.
I pericoli non sono da sottovalutare, come è emerso dalle simulazioni presentate da diversi esperti e docenti universitari riprendendo i dati delle piene registrate a Roma nel 1870 e nel 1937. I danni economici sarebbero ingenti, di gran lunga superiori a ciò che si dovrebbe spendere per realizzare le necessarie opere di prevenzione.
A maggior ragione in quanto in Italia, dopo le sempre più frequenti dichiarazioni di stato di calamità naturale, l’esperienza empirica mostra che si è «in grado di ristorare mediamente solo il 10% dei danni subiti per calamità naturali», come evidenziato da Massimo Gargano, direttore generale Anbi, che propone di «dar vita ad un tavolo permanente attorno ad un patto fra soggetti della cultura del fare nel campo della prevenzione idrogeologica per offrire, in sintonia con le istituzioni, soluzioni operative atte a superare le contraddizioni di un settore, dove tutto è a posto, ma nulla è in ordine. La sede potrebbe essere il dipartimento Casa Italia, istituito dal Governo».
Di certo c’è la necessità di fare presto, e non solo a Roma. Come osserva l’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, sulla scia dei cambiamenti climatici «in Italia (European severe weather database) dall’inizio del 2019 si sono verificati 1.543 eventi atmosferici estremi, circa cinque al giorno; 10 anni fa, nel 2009, erano stati 213; nel 1999, 20 anni fa, erano stati solo 17. In 10 anni le bombe d’acqua che fanno esondare i fiumi sono quasi triplicate: dalle 395 del 2008 alle 1.024 del 2018». Dati allarmanti che necessitano risposte pragmatiche.