Avvisate l’Onu: cambiamento climatico e crescita della popolazione sono legati
[19 Settembre 2014]
Il 22 e 23 settembre la sede di New York dell’Onu ospiterà due diverse conferenze su due questioni di importanza cruciale per il futuro dell’umanità: la “Special Session of the General Assembly on the follow-up to the Programme of Action of the International Conference on Population and Development beyond 2014” e il più pubblicizzato ed atteso UN Climate Summit. I due meeting si svolgeranno ad un solo un giorno di distanza, ma è probabile che queste due questioni planetarie e gli esperti che ne discutono non si “incrocino” e Robert Engelman e Samuel Codjoe scrivono su Grist che «Sarà un’occasione mancata, perché la ricerca scientifica afferma sempre che le due questioni sono legate in molti modi».
Il summit speciale del 22 settembre è stato convocato perché nella sua risoluzione 65/234 sul follow-up della Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo dopo il 2014, l’Assemblea Generale dell’Onu ha deciso di convocare una sessione speciale «Al fine di valutare lo stato di attuazione del programma d’azione della Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo e per rinnovare il sostegno politico per le azioni necessarie al pieno raggiungimento dei suoi scopi ed obiettivi» e segna il ventesimo anniversario della Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo tenutasi al Cairo nel 1994. Come sanno bene i lettori di greenreport.it, Il summit sul clima del giorno successivo è stata convocato dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon per un brainstorming di alto livello di leader politici e del business per affrontare i problemi del cambiamento climatico.
Engelman, ex presidente del Worldwatch Institute ed attualmente direttore del suo Family Planning and Environmental Sustainability Assessment, e Codjoe, direttore del Regional Institute for Population Studies dell’università del Ghana, dicono che questi due meeting così ravvicinati rappresenterebbero invece per decision-makers globali un’occasione imperdibile perché «Le azioni per promuovere il benessere delle donne possono produrre benefici e si rafforzano a vicenda in entrambe le aree. La popolazione, la vita e lo status delle donne e il cambiamento climatico vengono raramente collegate alle Nazioni-Unite o in qualsiasi altro colloquio intergovernativo su queste materie. Intuitivamente, è facile capire che la crescita della popolazione mondiale da un miliardo di persone all’inizio della rivoluzione industriale ai 7,3 miliardi di oggi, ha qualcosa a che fare con l’accumulo di anidride carbonica e altri gas serra nell’atmosfera. Ma la maggior parte dei cambiamenti climatici il mondo sta vivendo deriva da decenni di sviluppo carbon-intense da parte dei paesi più ricchi del mondo. Le popolazioni di questi Paesi stanno crescendo molto più lentamente (e in alcuni casi per niente), rispetto a quelle dei Paesi più poveri a basse emissioni di gas serra».
Detto questo, la domanda che si fanno e ci fanno Engelman e Codjoe è: «Quindi, cosa ha a che fare oggi la popolazione con il cambiamento climatico?» E’ a questo che stanno cominciando a rispondere diversi ricercatori con studi che dimostrano un collegamento sempre più evidente tra clima e popolazione che è complesso e con molte più sfumature rispetto al dibattito convenzionale “ricchi contro poveri”. Un collegamento sul quale varrebbe la pena lavorare per capirne di più.
Il Family Planning and Environmental Sustainability Assessment diretto da Engelman e da Yeneneh Girma Terefe, anche lui del Worldwatch Institute, sta mettendo insieme un team internazionale di ricercatori per valutare le recenti evidenze scientifiche su come la pianificazione familiare potrebbe contribuire alla sostenibilità ambientale ed al benessere umano a lungo termine. «Il nostro obiettivo – dice Engelman – è quello di ampliare e diversificare la discussione scientifica, contribuendo a chiarire i legami popolazione-ambiente per una migliore comprensione da parte dell’opinione pubblica e dei policy maker». Un lavoro iniziato da poco ma che potrebbe già dare alcune indicazioni importanti ai due meeting dell’Onu. La prima è che la mole della ricerca internazionale su clima e popolazione è già abbastanza ampia e sta crescendo, con ricerche, pubblicate non solo negli Usa e nell’Ue, ma anche nei Paesi in via di sviluppo, che esplorano accuratamente il legame tra clima e crescita della popolazione nei suoi molteplici aspetti. I risultati vanno ben al di là di come la crescita della popolazione potrebbe influenzare le emissioni di gas serra. Alcuni studi analizzano come la densità della popolazione e la distribuzione ed il numero degli esseri umani influenzino l’adattamento ai cambiamenti climatici e contribuiscano alle interazioni tra clima e problemi colossali, come la sicurezza alimentare e la disponibilità di acqua dolce nel futuro.
Solo negli ultimi 5 anni ricerche come “Global demographic trends and future carbon emissions”, pubblicata nel 2010 su Pnas, o rapporti come “World Population Prospects and Unmet Need for Family Planning” pubblicato lo stesso anno dal think-tank statunitense Futures Group, hanno dimostrato che possibili scarti in più o in meno nella crescita della popolazione potrebbero fare significative differenze nei futuri livelli di emissioni.
Engelman e Codjoe ricordano che «Si prevede che lo sviluppo economico aumenterà le emissioni pro-capite anche nei paesi attualmente a basse emissioni, come dimostra l’esperienza di India e Cina. Questo rende i livelli di crescita della popolazione a breve termine significativi per le tendenze delle emissioni a lungo termine».
Anche il recente studio “What Drives Deforestation and What Stops It? A Meta-Analysis of Spatially Explicit Econometric Studies” presentato dal Center for Global Development ad aprile ipotizza che le recenti riduzioni della fertilità in Brasile, Cina e in altri Paesi aiutano a spiegare il perché del rallentamento della deforestazione globale e che questo contribuisce a far calare le emissioni globali di gas serra.
Non è un caso che molti governi dei Paesi meno sviluppati dicono che le dimensioni e la densità della loro popolazione sono ostacoli all’attuazione di politiche di adattamento al cambiamento climatico, come d’altronde dicevano già due studi: “Climate change and family planning: least-developed countries define the agenda”, edito dall’Organizzazione mondiale della sanità nel, e “Strengthening the Link Between Climate Change Adaptation and National Development Plans: Lessons from the Case of Population in National Adaptation Programmes of Action (NAPAs)” pubblicato su Mitigation and Adaptation Strategies for Global Change nel 2010. Climate change and family planning: least-developed countries define the agenda
Codjoe ha invece pubblicato nel 2012 su Climate Change lo studio “Gender and occupational perspectives on adaptation to climate extremes in the Afram Plains of Ghana” che ha concluso che nell’adattamento al cambiamento climatico conta anche il sesso e spiega che «Quando le donne acquistano potere nelle loro società, ad esempio attraverso l’istruzione e la capacità di decidere autonomamente se e quando avere figli, possono essere in grado di migliorare la resilienza di queste società di fronte ad un clima che cambia rapidamente».
Anche se il Family Planning and Environmental Sustainability Assessment deve ancora lavorare molto per valutare le evidenze scientifiche del legame popolazione-clima, Engelman e Codjoe evidenziano che «Quello che abbiamo visto finora, suggerisce che le Nazioni Unite e altri organismi mondiali farebbero bene almeno ad aprire le menti e le conferenze alla questione di come la popolazione e il clima potrebbero influenzarsi a vicenda. Sia la crescita della popolazione che il global warming probabilmente continueranno per molti decenni. Eppure entrambe le tendenze possono essere rallentate attraverso programmi che migliorino la salute riproduttiva e sessuale, mentre aiutano le donne fare le loro scelte sulla fertilità. Ha senso per vedere come le tendenze si relazionano e in che misura il miglioramento della salute riproduttiva e l’accesso alla pianificazione familiare potrebbero portare benefici reciproci e sinergici in entrambe le arene della popolazione e del clima».