Il British Medical Journal all’Oms: dichiarare i cambiamenti climatici emergenza sanitaria mondiale
[3 Ottobre 2014]
Sta facendo scalpore un editoriale pubblicato dal prestigioso British Medical Journal con il titolo “WHO should now declare a public health emergency” che chiede all’Organizzazione mondiale della sanità di dichiarare il cambiamento climatico crisi sanitaria globale. Alcuni accusano il BMJ di allarmismo, disperazione e catastrofismo, ma il giornale sostanzia scientificamente la sua clamorosa proposta con un corposo dossier di 11 pagine che mette in guardia i medici sulle terribili conseguenze del riscaldamento globale.
Vi proponiamo integralmente l’editoriale di Fiona Godlee, direttrice del British Medical Journal
Quando il BMJ ha iniziato a pubblicare articoli sui cambiamenti climatici, alcuni lettori ci hanno detto di non capire perché lo facesse. “Che cosa ha a che fare con la medicina?” ci hanno chiesto. E il cambiamento climatico non è un mito, non avviene per variazioni climatiche naturali che non hanno niente a che fare con l’attività umana? Ci sono sfide sicuramente più immediate sulle quali il BMJ ed i suoi lettori dovrebbero concentrarsi.
Abbiamo ascoltato educatamente ma continuammo e ad essere convinti della minaccia per la salute e per la sopravvivenza dell’uomo. Con altri abbiamo istituito il Climate and Health Council. Abbiamo pubblicato editoriali e articoli, ospitato conferenze e seminari, lobbied funders, parlato con i policy makers e politici ed abbiamo lavorato con la BMA (British Medical Association, ndt) i royal colleges, ed i loro equivalenti negli altri Paesi, preoccupati sempre che questo non fosse sufficiente. La nostra speranza era quella di incoraggiare i medici e gli altri professionisti della salute ad assumere un ruolo guida nella lotta ai cambiamenti climatici.
Ora abbiamo fatto un ulteriore passo, con la pubblicazione di un articolo che non contiene nulla sulla medicina o l’assistenza sanitaria. “The science of anthropogenic climate change: what every doctor should know” è pura scienza climatica. Perché? Perché se noi medici dobbiamo diventare difensori efficaci contro i cambiamenti climatici, una migliore comprensione della scienza ci aiuterà.
Come molti lettori sanno, le notizie non sono buone. Con un alto grado di certezza l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha concluso nel suo quinto rapporto che il mondo sta diventando più caldo e che la colpa è principalmente dell’attività umana. Le temperature medie globali sono aumentate di circa 0,5° C negli ultimi 50 anni e di 0,8° C dall’epoca pre-industriale. Gli effetti di queste temperature più elevate sui sistemi climatici si fanno già sentire. L’IPCC riporta che è altamente probabile che il riscaldamento globale stia causando il cambiamento climatico, caratterizzato da più frequenti ed intensi estremi delle temperature, precipitazioni più pesanti ed altri eventi meteorologici estremi. Il livello del mare è aumento a causa della dilatazione termica degli oceani e dello scioglimento delle calotte polari e dei ghiacciai.
I titoli di testa non dovrebbero essere una sorpresa, ma il dettaglio può rivelarsi istruttivo. Mari più elevati significano picchi di marea più frequenti ed estremi, inondazioni costiere e la salinizzazione di forniture di acqua dolce vitali. L’aria più calda trasporta più umidità, portando a eventi pluviometrici estremi. Ma l’aria più calda riduce anche la quantità di umidità nel terreno, contribuendo all’erosione del suolo e ad inondazioni improvvise.
Per quanto riguarda la principale causa di fondo, l’IPCC è chiaro: è l’accumulo di anidride carbonica antropogenica nell’atmosfera. Sono colpevoli anche altri gas e aerosol, in particolare il metano e il protossido di azoto ed il particolato di black carbon. Ma l’anidride carbonica ha una vita lunga. Una volta rilasciata nell’atmosfera resta per secoli. La deforestazione peggiora tutto questo.
Il migliore e il peggiore dei casi
Cosa accadrà in futuro? L’IPCC ha modellato quattro scenari che variano con la portata e la natura delle emissioni future. Il caso migliore (il cosiddetto RCP – representative concentration pathway – 2.6) prevede un taglio radicale delle emissioni di gas serra, a partire da quasi immediatamente. Anche allora il global warming continuerebbe, portando a temperature medie di quasi 2° C in più rispetto ai livelli preindustriali. Il caso peggiore (RCP 8.5) è “business as usual”, con emissioni senza sosta, che porterebbero ad un ulteriore aumento entro il 2100 di 3,7° C al di sopra della media, all’inizio di questo secolo e oltre 4° C superiori ai livelli dei quella pre-industriale. Come spiegano gli autori delle nostre Analisi, le variazioni regionali indicano che in alcune parti dei continenti settentrionali le temperature potrebbero aumentare di oltre 10° C.
Scrivendo la scorsa settimana nel Lancet , Andy Haines de i sui colleghi hanno sottolineato che tale enorme innalzamento della temperatura, e la conseguente grave instabilità del clima, ci porterebbe a quella che viene chiamato la soglia dell’“afterlife”, dove l’impatto sull’umanità “è così grande da essere una discontinuità nel progresso a lungo termine dell’umanità”. In altre parole, gli effetti sarebbero catastrofici.
La diagnosi
Se il cambiamento climatico è il sintomo di un pianeta in pericolo, quale è la malattia? Parlando il mese scorso a Ginevra, Christiana Figueres, segretaria esecutiva dell’United Nations Framework Convention on Climate Change, è stata intransigente. La malattia è “la nostra sfrenata dipendenza dai combustibili fossili”, che non mostra alcun segno di cedimento. Nonostante la retorica dei maggiori inquinatori del mondo al meeting sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite della scorsa settimana a New York, i livelli di emissioni di anidride carbonica stanno accelerando. Il nostro articolo Analisi spiega che la quantità di carbonio che possiamo ancora permetterci di emettere se vogliamo rimanere al di sotto di 2° C di riscaldamento rispetto ai livelli pre-industriali (il nostro “carbon budget”) saranno superate nei prossimi 25-30 anni.
Le richieste delle organizzazioni di disinvestire da combustibili fossili e reinvestire nelle energie rinnovabili stanno guadagnando slancio. Il presidente della Banca Mondiale, Jim Yong Kim, anche lui un medico, ha spinto questa idea nel mainstream suggerendo in un discorso al World Economic Forum che le emissioni di carbonio potrebbero essere affrontati attraverso la dismissione e la tassazione. Gruppi come Global Climate ed Health Alliance hanno velocemente accolto a richieste. L’arcivescovo Desmond Tutu ha definito il disinvestimento un imperativo morale. La BMA ha accettato di disinvestire in occasione del suo meeting annuale a giugno ed anche le principali università e gli enti di finanziamento hanno firmato, la famiglia Rockefeller e il World Council of Churches sono tra i più recenti.
Figueres stava parlando alla prima conferenza dell’OMS sulla salute e il clima, nella quale i ministri della sanità si sono uniti ai delegati di organizzazioni intergovernative e non governative in uno straordinario show di consenso. Tutti d’accordo con la valutazione della direttrice generale dell’OMS Margaret Chan che il cambiamento climatico è la più grande minaccia per la salute pubblica e la questione determinante del XXI secolo. La conferenza ha dato un chiaro avvertimento: senza un’adeguata mitigazione e l’adattamento, il cambiamento climatico pone rischi inaccettabili per la salute pubblica in tutto il mondo.
Benefici per la salute dall’azione sul cambiamento climatico
In questa battaglia impari con il big business e l’inerzia politica abbiamo una carta importante da giocare: la consapevolezza che gran parte di ciò che dobbiamo fare per affrontare il cambiamento climatico porterà notevoli benefici per la salute. Bruciare combustibili fossili provoca circa sette milioni di morti premature dovute all’inquinamento dell’aria indoor e outdoor. Lo smog a Pechino e in altre grandi città è un allarme per l’opinione pubblica e una sveglia per i nostri politici in un modo che la minaccia più invisibile delle emissioni di anidride carbonica non è riuscita a fare. L’assistenza sanitaria è di per sé un grande emettitore di gas serra e ha la responsabilità di mantenere l’ordine in casa propria, per evitare il paradosso di fare del male mentre si cerca di fare del bene. E’ nelle nostre mani anche un sostanziale dividendo della salute sostanziale derivante da più attivi e sostenibili stili di vita low carbon: tassi più bassi di obesità, malattie cardiache, diabete e cancro.
L’Organizzazione mondiale della sanità ha dimostrato una leadership importante sul cambiamento climatico, ma si è fermato prima di dichiarare un’emergenza globale per la salute pubblica. Questo può essere comprensibile con Ebola che infuria. Ma è quello che l’Oms dovrebbe fare subito. Le morti per l’infezione di Ebola, per quanto siano tragiche e spaventose, diventeranno insignificanti rispetto al caos possiamo aspettarci per i nostri figli e nipoti se il mondo non fa nulla per controllare le emissioni di carbonio. E l’azione è necessaria ora.