Il cambiamento climatico ha già alterato la geografia del Caribe honduregno
Nel Paese più pericoloso del mondo per gli ambientalisti, i più a rischio sono i poveri
[15 Maggio 2017]
Thelma Mejía racconta su Inter Press Service (Ips) la storia di Balfate, un municipio con 14.000 abitanti della costa caraibica dell’Honduras dove vivono pescatori e piccoli contadini Honduras e dove gli effetti del cambiamento climatico si fanno sentire pesantemente sul territorio e sulle spiagge, mentre il mare si avvicina inesorabilmente alle case e l’ecosistema è sempre più degradato.
L’ambientalista Hugo Galeano, che lavora da oltre 30 anni nell’area del Caribe Honduregno, si ricorda quando è cominciato tutto: «C’era un cocal (piantagione di palme da cocco), dopo veniva la spiaggi, c’era una foresta con scimmie urlatrici – dice a Ips – Oggi il cocal non esiste più e le scimmie sono scappate. Dove ora c’è la spiaggia, 200 metri più all’interno, c’erano un frondoso cocal e un bel bosco. Oggi la geografia è un’altra, il mare ha inghiottito molta vegetazione ed è ogni volta più vicino alle case. Gli effetti del cambiamenti climatico sono palpabili.
Galeano, che in Honduras coordina il Programa de Pequeñas Donaciones (Ppd) dell’Onu, è uno dei massimi esperti di cambiamento climatico del Paese centroamericano, inoltre promuove, nelle zone con scarse risorse, progetti di mitigazione, riforestazione e di integrazione comunitaria con pratiche sostenibili.
Il municipio de Balfate, che si estende su 332 km2 nel dipartimento caribeño di Colón, comprende la fascia costiera dell’Honduras dove l’impatto del cambiamento climatico ha già alterato lo stile di vita dei suoi abitanti. Ma l’erosione costiera è particolarmente forte anche in comunità come Río Coco, Lucinda, Río Esteban e Santa Fe, dove, come raccontano gli abitanti all’Ips, .«Sta avanzando e esponendo le radici degli gli alberi, che non sopportano la forza dell’acqua, essendo sparite le barriere di protezioni naturali». Río Coco, un villaggio del municipio di Balfate, prima era a 350 metri dal mare, ora le case sono praticamente sulla spiaggia
Quest’’area centrale della costa caraibica dell’Honduras è strategica per i collegamenti via mare, anche se è raggiungibile dalla capitale solo Tegucigalpa con una strada sterrata di 300 km e in 8 ore di difficile viaggio. Un’area isolata e povera che ha attirato i cartelli della droga.
Julián Jiménez, un pescatore di Río Coco, che coordina un’associazione di enti che amministrano l’acqua lungo la costa di Balfate e del vicino municipio de Santa Fe, non ha dubbi: «Quello che viviamo è causato dal cambiamento climatico, dal riscaldamento globale e dallo scioglimento dei ghiacciai, poi il mare si altera , lo dicevamo alla comunità. Dopo un decennio ne hanno preso coscienza, però non troppo. Siamo tutti colpevoli, perché invece di proteggere distruggiamo. Garda, oggi abbiamo problemi di acqua e anche di pesca. Non ci sono più quasi pesci come il branzino ed è anche difficile trovare gamberi. E’ difficile che la gente lo capisca, però è tutto collegato. Questo è irreversibile», 4 dei 18 dipartimenti caraibici dell’Honduras hanno grossi problemi di erosione costiera. A Cortés, nell’estremo nord della costa atlantica dell’Honduras, le aree di Omoa, la Barra del Motagua e Cuyamelito, che formano il bacino del fiume Motagua, vicino alla frontiera col Guatemala, affronta problemi simili.
José Eduardo Peralta, del Proyecto Marino Costero del ministero dell’energia, risorse naturali, ambiente e miniere dell’Honduras, spiega a Ips che «Queste zone che formano il Golfo de Honduras sono anche quelle dove dove i pescatori riportano una sostanziale diminuzione delle catture. Qui il livello del mare è in aumento sia sulla spiaggia che in altre zone costiere e nelle terre produttive. Nel caso della pesca, ci sono problemi per la cattua r di aragoste e meduse, per quest’ultime con un anno e mezzo senza pescarne, si ha notizia solo di una cattura un mese fa nella zona della Mosquitia».
Secondo Peralta il governo dell’Honduras, ritenuto il più pericoloso del mondo per gli ambientalisti, ha assicurato che a Tegucigalpa sono preoccupati per questi effetti del cambiamento climatico che in pochi anni potrebbero raggiungere livelli drammatici: «Il mare sta salendo e si appropria di spazi terrestri , abbiamo anche una perdita di biodiversità associata al cambiamento della temperatura dell’acqua e all’acidificazione della stessa. Le correnti marine stanno cambiando rapidamente e la corrente non può cambiare dalla notte alla mattina. I cambiamenti devono essere tra le 24 e le 36 ore, però ora non è così. Questo si chiama cambiamento climatico».
L’Honduras ha 8,4 milioni di abitanti e, secondo l’Onu, il 66,5% delle famiglie vive in povertà. Il 9 di marzo, il ministro dell’ambiente dell’Honduras, José Antonio Galdames, ha presentato l’Agenda Climática, che istituisce il Plan Nacional de Adaptación al Cambio Climático del Paese e tra le misure da attuare ha evidenziato in un’intervista all’Ips un progetto di gestione integrata del bacino del fiume Motagua, che comprenderà riforestazione, gestione dei sistemi agroforestali e diversificazione dei mezzi di sussistenza a livello di sistemi produttivi. Ma l’Honduras dove gli assassinii dei difensori dell’ambiente sono “normali” e quasi sempre impuniti, è uno dei Paesi più vulnerabili del mondo ai cambiamenti climatici: è sulla rotta degli uragani e sta consentendo/favorendo la distruzione delle sue zone umide, la deforestazione e le piantagioni di palma africana incontrollate, tutte cose che hanno un impatto diretto sulla disponibilità di acqua.
Dopo il passaggio del devastante uragano Mitch, che nel 1998 causò più di 5.000 morti, 8.000 dispersi e perdite economiche incalcolabili, in Hondurasda 20 anni la vulnerabilità climatica è un pericolo incombente e l’impatto del cambiamento climatico si sente particolarmente nelle zone costiere del Caribe, che erano state le più colpite da Mitch.
Galeano sottolinea che «I dati ufficiali indicano che nelle zone umide ci sono approssimativamente due ettari di coltivazioni di palma africana per uno di mangrovie» e per questo chiede stare più attenti alle piantagioni di palme, «Il cui eccesso, presto o tardi, finirà per avere un impatto sugli ecosistemi coinvolti».