Cambiamento climatico, Trump ci ripensa? Sierra Club non ci crede: «Parlare è facile»
Ma il team di governo di Trump è grande per i petrolieri e terribile per l’ambiente
[23 Novembre 2016]
Evidentemente, dopo che il mondo si è mostrato compatto alla Cop22 Unfccc di Marrkech nel proseguire lungo il cammino tracciato dall’Accordo di Parigi sul clima, al presidente eletto Usa Donald Trump deve essere venuto qualche dubbio sulla sua promessa in campagna elettorale di “annullare” gli impegni presi da Barack Obama e di uscire dall’Accordo planetario. Infatti, durante un meeting con i giornalisti del New York Times a Manhattan, Trump, rispondendo a una domanda di Tom Friedman sull’accordo di Parigi, ha detto: «Lo sto guardando molto da vicino» ed ha aggiunto di avere la mente aperta sulla questione climatica.
In realtà non si tratta di niente di davvero nuovo, è più o meno la formula usata da Trump quando, fuori dai palchi dei comizi, si è trovato a confrontarsi con persone che non si bevevano le panzane eco-scettiche che ammannisce alla base repubblicana sul cambiamento climatici invitato dai cinesi per mettere in ginocchio le imprese statunitensi.
E’ comunque un passo avanti che Trump non abbia però annunciato ufficialmente la prossima uscita degli Usa dall’Accordo di Parigi, forse finalmente consapevole che questo significherebbe un isolamento economico e internazionale degli Usa e consegnare uno dei motori dell’innovazione tecnologica alla Cina e all’Europa.
Michael Brune, direttore esecutivo di Sierra club, la più grande associazione ambientalista Usa, non crede molto a un improvviso pentimento climatico e ambientalista di The Donald: «Parlare è facile, e nessuno dovrebbe credere che questo significa che Donald Trump agirà su questo, e Trump e che non farà nessun brutto scherzo sul clima, mentre contemporaneamente infarcisce il suo team di transizione e il suo gabinetto di negazionisti climatici e dei più sporchi hack che possa offrire l’’industria dei combustibili fossili. Dimostralo, Presidente eletto. Il mondo ti sta guardando».
In effetti il team che Trump sta mettendo insieme per il Dipartimento degli interni, che si occupa dell’ambiente statunitense, è eccezionale per le Big Oil e i King Coal e terribile per l’ambiente e la sua struttura portante gira intorno a un unico perno: il petrolio.
Come spiega Samantha Page su Think Progress, il 21 novembre Trump ha incontrato la governatrice repubblicana dell’Oklahoma Mary Fallin, una fan dei combustibili fossili e tra i più accreditati candidati a diventare segretario agli interni, ma soprattutto famosa per il suo invito a votare per l’industria petrolifera, accusata di aver provocato dei terremoti con il boom del fracking. Questa signora, che potrebbe gestire l’ambiente statunitense, ha firmato una legge che vieta alle amministrazioni locali di limitare la trivellazione di petrolio e gas.
Un’altra candidata a ricoprire quel delicatissimo incarico, la repubblicana del Wyoming Cynthia Lummis, anche lei ricevuta da Trump il 21 novembre, è una tra i politici Usa con il più asso indice punteggio, appena il 5% – per la sensibilità ambientale nella classifica stilata dalla League of Conservation Voters. La Lummis è una che vuole aprire tutte le terre pubbliche e i parchi Usa alle trivellazioni petrolifere, senza alcuna compensazione e nel 2014, ha votato per un disegno di legge che avrebbe consentito l’uso di veicoli, la costruzione di case e speculazioni edilizie all’interno di aree naturali protette e che avrebbe impedito agli enti pubblici di partecipare alla gestione dei National Wildlife Refuge.
Tra gli altri candidati ci sono l’ex governatrice dell’Alaska, cacciatrice di orsi e negazionista climatica Sarah Palin, l’ex governatore dell’Arizona Jan Brewer , Harold Hamm, un miliardario Oklahoma; e Forrest Lucas, un executive petrolifero.
Secondo il Center for American Progress, «Circa il 30% della produzione annua di energia Usa proviene da terreni di proprietà pubblica» e che si tratta di «una delle fonti più importanti di emissioni di gas serra della nazione, pari a più di un quinto di tutte le emissioni di gas serra degli Usa». Il dipartimento degli interni sovrintende su tutto questo e comprende il Bureau of Indian Affairs, l’US Fish and Wildlife Service e anche l’US Geological Survey, l’agenzia responsabile per il monitoraggio dei terremoti legati al fracking.
Sotto Obama, il Dipartimento degli interni non ha concesso licenze petrolifere sulle terre pubbliche dell’Artico e ha vietato le trivellazioni nell’Atlantico, anche se non ha bloccato quelle nel Golfo del Messico. Ma Obama ha anche istituiti Parchi, Aree protette e Monumenti naturali nazionali su milioni di Km2 a terra e a mare e ha approvato ance nuvi regolamenti per il fracking e messo in crisi l’industria del carbone. La linea dell’attuale segretario agli interni Usa, Sally Jewell, è quella i dare priorità alla salvaguardia dell’ambiente e di riconoscere i benefici economici, oltre che ambientali, di mantenere territori incontaminati.
Il contrario di quello che sembra sarà l’approccio dell’Amministrazione Trump, a cominciare dal team d transizione guidato da Doug Domenech, ex capo del .
Domenech è un ex vice capo del personale del reparto e un ex segretario per le risorse naturali della Virginia d che di recente ha diretto il Fueling Freedom Project della Texas public policy foundation, il cui scopo è quello difendere la “moralità” dei combustibili fossili.
La Texas public policy foundation è finanziata sia dalla Family Foundation Koch che dalla Koch Industries, appartenenti ai famigerati fratelli Koch, noti foraggiatori di ecoscettici e politici repubblicani. Domenech ha detto che i piani di Trump di aprire le terre federali all’estrazione di carbone, petrolio e gas elimineranno la moratoria di fatto sul carbone e «rinvigoriranno le comunità in tutta la nazione».
Ma Domenech ha soprattutto minimizzato la gravità del cambiamento climatico, definendolo un punto di vista degli estremisti che vogliono lascare sotto terra i combustibili fossili. Che poi sembra la posizione “prudente” espressa da Trump, che è diventata “digeribile” solo perché ha rinunciato a uscire dall’Accordo di Parigi. Anche se una permanenza del gli Usa nell’Unfccc che si trasformasse in un sordo boicottaggio per il mondo e il clima potrebbero essere ancora peggiori.
Ma, come fa notare la Page,« Anche mettendo da parte i rischi presentati dai cambiamenti climatici, i rischi che abbiamo visto negli ultimi anni, tra cui maggiori inondazioni ,siccità e ondate di caldo, che richiedono tutte un reale pedaggio in vite umane, i combustibili fossili sarebbe ancora responsabile di una massiccia quantità di inquinamento, di morte e della distruzione dell’ambiente».
Se il nuovo segretario agli interni Usa fosse uno qualunque dei candidati sentiti da Trump, probabilmente metterebbe fine alla moratoria sulle nuove miniere di carbone, butterebbe nel cestino la review of the coal program e farebbe ripartire il piano quinquennale del Bureau of ocean energy management per includerci nuovamente le trivellazioni nell’Artico e l’Atlantico. Durante la campagna elettorale, Trump ha detto più volte che l’estrazione di combustibili fossili sulle terre pubbliche sarà una priorità della sua amministrazione.
Alla luce di tutto questo, le sibilline dichiarazioni rese da Trump al meeting del New York Times sembrano davvero poco più delle chiacchiere prive di sostanza denunciate da Sierra Club.