Consumptagenic: i cambiamenti climatici causati dal consumismo peggioreranno la situazione dei poveri e la violenza di genere
Necessarie visione collettiva, leadership coraggiosa, politica pubblica progressista e lotta politica
[25 Febbraio 2020]
Secondo lo studio “Climate change and the people’s health: the need to exit the consumptagenic system”, pubblicato su The Lancet da Sharon Friel, direttrice del Menzies Centre for Health Governance della School of Regulation and Global Governance dell’ANU College of Asia and the Pacific, «Gli incendi boschivi indotti dai cambiamenti climatici in Australia hanno provocato quasi 30 morti, decine di migliaia di sfollati dalle loro case, fino a 1,25 miliardi di animali morti e paesaggi incontaminati distrutti. A livello globale, ci sono eventi meteorologici estremi più frequenti e gravi. Mentre l’Australia bruciava, le peggiori piogge monsoniche degli ultimi decenni hanno causato frane e alluvioni in Indonesia, uccidendo almeno 70 persone. Nel 2019, tifoni e ondate di caldo hanno ucciso e lesionato migliaia di persone in Africa, Giappone, India, Cina, Europa e Usa». E tutti questi cambiamenti climatici disastrosi «hanno un impatto sproporzionato su poveri, anziani e persone con disabilità».
Per la Friel è necessario un migliore approccio a lungo termine per mitigare questo problema e chiede che l’Australia e il mondo abbandonino quello che chiama il sistema “consumptagenic”, cioè l’insieme di istituzioni, politiche, valori e comportamenti che guidano la produzione e il consumo eccessivi e che sono quindi i drivers dei cambiamenti climatici e delle disuguaglianze sanitarie. La scienziata australiana evidenzia che «Il mondo si è riscaldato a livelli pericolosi e la conseguente distruzione del sistema Terra è profonda. Nessuno sarà risparmiato dai cambiamenti climatici, ma non tutti li vivranno allo stesso modo. Le persone benestanti possono permettersi di vivere in edifici isolati con aria condizionata e purificatori dell’aria. I poveri, gli anziani o chi ha condizioni di difficoltà preesistenti sono i meno in grado di adattarsi alle condizioni mutevoli e vivono in abitazioni e ambienti che ne amplificano la effetti. Questo aumenterà gli oneri patologici esistenti e la mortalità prematura, che sono già distribuiti in modo diseguale. Gli attacchi di cuore, gli ictus e l’insufficienza respiratoria derivanti dall’esposizione al caldo estremo, agli incendi e al fumo qui in Australia, insieme alle conseguenze della salute mentale, probabilmente sopraffanno un sistema sanitario impreparato».
E se è a rischio la ricca e avanzata Australia, figuriamoci cosa può succedere nei Paesi poveri, dove il sistema sanitario pubblico è un miraggio.
La Friel è convinta che «E’ necessaria una politica che aiuti sia con l’adattamento ai cambiamenti climatici, sia a mitigare il peggioramento dei cambiamenti climatici. Sappiamo che gli investimenti a lungo termine sono fondamentali, ma quando le nazioni tentano di riprendersi da disastri come gli incendi boschivi australiani, di solito si concentrano sulla riparazione immediata, escludendo la prevenzione a lungo termine. Ora c’è l’opportunità di cambiare. Le cose possono cambiare, ma un tale cambiamento richiede una visione collettiva, una leadership coraggiosa, una politica pubblica progressista e una lotta politica».
La nuova ricerca conferma l’allarme lanciato il 29 gennaio dall’International Union for Conservation of Nature (Iucn) con lo studio “Gender-based violence and environment linkages – The violence of inequality”, secondo il quale «La distruzione della natura può portare a delle violenze sessiste, tra le quali aggressioni sessuali, violenza domestica e prostituzione forzata» e che «Una concorrenza accresciuta per delle risorse sempre più rare e degradate può esacerbare queste forme di violenza».
Presentando lo studio, la direttrice ad interim dell’Iucn, Grethel Aguilar, ha ricordato che «Il degrado dell’ambiente colpisce oggi le nostre vite in una maniera che diventa impossibile da ignorare, dal nostro cibo ai nostri posti di lavoro, passando per la nostra sicurezza. Questo studio ci mostra i danni che i danni che l’umanità infligge alla natura possono anche alimentare le violenze contro le donne in tutto il mondo, un legame finora ampiamente trascurato. Questo studio rafforza l’urgenza di mettere fine al degrado dell’ambiente parallelamente a un’azione mirante a mettere fine alle violenze sessiste sotto tutte le loro forme e dimostra che queste due questioni devono spesso essere affrontate in modo simultaneo»
Lo studio Iucn, che fa parte del progetto decennale “Advancing Gender in the Environment” (AGENT), finanziato dall’United States Agency for International Development (USAID), riunisce dati e casi di studio provenienti da oltre mille fonti e documenta i molteplici collegamenti diretti tra le pressioni ambientali e le violenze sessiste, constatando che «Le violenze sessiste sono utilizzate soprattutto come un modo sistematico per rafforzare i privilegi esistenti e gli squilibri di potere concernenti i ruoli e le risorse. Per esempio, I conflitti per l’accesso a delle risorse rare possono dar luogo a delle pratiche come quelle del “sesso contro del pesce”, nelle quali i pescatori rifiutano di vendere del pesce alle donne se quelle non accordano loro dei favori sessuali, una pratica che è stata osservata in alcune aree dell’Africa orientale e australe. Nella misura in cui delle risorse naturali già limitate diventano ancora più rare a causa del cambiamento climatico, le donne e le ragazze devono andare anche più lontano per cercare del cibo, dell’acqua e della legna da ardere, il che aumenta il riscio che subiscano delle violenze sessiste».
Lo studio fa anche una disamina dei legami tra le violenze sessiste e i delitti ambientali come il bracconaggio di specie selvatiche o l’estrazione illegale di risorse e constata che «Il traffico di esseri umani e il lavoro forzato vengono spesso utilizzati per permettere queste attività illegali, attraverso lo sfruttamento delle comunità locali».
I casi di studio citati nel rapporto evidenziano «casi di traffico sessuale intorno alle miniere illegali in alcuni Paesi dell’America Latina, gli abusi sessuali e il lavoro minorile nell’industria della pesca illegale nel sud-est asiatico e lo sfruttamento sessuale intorno alla deforestazione e al commercio del carbone di legna illegali in alcune parti dell’Africa».
Secondo l’Iucn, «Le violenze di genere sono anche utilizzate come un modo per esercitare un controllo sui difensori dell’ambiente e dei diritti umani. Mentre, globalmente, le violenze contro i militanti ambientalisti aumentano, le donne attiviste sembrano far fronte a dei livelli crescenti di violenze sessiste miranti a privarle del loro potere, a minare la loro credibilità e il loro status all’interno delle comunità e a scoraggiare le altre donne a seguire il loro esempio».
Jenny Springer, direttrice del Global programme on governance and rights dell’Iucn, conclude: «I delitti ambientali degradano gli ecosistemi e portano spesso a nuove forme di violenza sulle donne, le minoranze e le comunità marginalizzate. In particolare, numerose donne autoctone affrontano delle violenze di genere e altre forme di violenza quando le loro comunità agiscono per difendere i loro territori, le loro risorse e i loro diritti contro tali attività illegali».