Entro il 2030, l’aumento dello stress termico potrebbe portare a una perdita di produttività pari a 80 milioni di posti di lavoro
Rapporto Ilo: «Comporterà perdite economiche globali di 2,4 trilioni di dollari»
[5 Luglio 2019]
Secondo il rapporto “Working on a warmer planet: The effect of heat stress on productivity and decent work” pubblicato recentemente dall’International Labour Organization (Ilo), «Entro il 2030, l’aumento dello stress termico causato dal riscaldamento globale porterà a perdite di produttività in tutto il mondo, equivalenti a 80 milioni di posti di lavoro del lavoro a tempo pieno».
Le proiezioni Ilo, che si basano su un aumento della temperatura mondiale di “solo” 1,5° C entro la fine di questo secolo – lo scenario più p ottimistico dell’Accordo di Parigi e quello consigliato dall’Ipcc per evitare cambiamenti climatici globali catastrofici – indicano che «Nel 2030 il 2,2% delle ore lavorative andrà perso in tutto il mondo a causa del aumento della temperatura, una percentuale equivalente a 80 milioni di posti di lavoro a tempo pieno. Ciò comporterà perdite economiche globali di 2,4 trilioni di dollari».
E il rapporto avverte che si tratta di una previsione prudente, evidenziando allo stesso tempo che i due settori lavorativi più colpiti dallo stress termico saranno l’agricoltura e l’edilizia, per i quali consiglia che i lavoratori operino in luoghi ombreggiati.
Il nuovo rapporto Ilo si basa su dati climatici, fisiologici e occupazionali e fornisce stime, sia attuali che previsioni, delle perdite di produttività a livello nazionale, regionale e globale. All’Ilo spiegano che «Lo stress termico è correlato all’aumento di cado che può essere sostenuto dal corpo umano senza subire un degrado fisiologico. In generale, si verifica a temperature superiori ai 35° C, in condizioni di elevata umidità. L’eccesso di caldo sul posto di lavoro rappresenta un rischio per la salute sul lavoro, limitando le funzioni e le capacità fisiche dei lavoratori e la loro capacità di lavorare e, di conseguenza, una minore produttività. In casi estremi può causare un colpo di sole, che potrebbe essere fatale».
Comunque, il settore più colpito in tutto il mondo sarà l’agricoltura che occupa 940 milioni di lavoratori in tutto il mondo. Il rapporto evidenzia che entro il 2030 il 60% delle ore di lavoro perse in tutto il mondo a causa dello stress termico corrisponderà a quel settore. Anche il settore delle costruzioni subirà gravi conseguenze e si prevede che per nel medesimo anno il 19% delle perdite globali di ore di lavoro a causa dello stress termico si verificherà in quel settore. Altri settori particolarmente a rischio sono quelli dei beni e servizi ambientali, la raccolta dei rifiuti, le emergenze, i lavori di riparazione, i trasporti, il turismo e lo sport, nonché alcune forme di lavoro industriale.
L’organizzazione del lavoro dell’Onu prevede che «Gli effetti si verificheranno in modo non uniforme in tutto il mondo. Si stima che le regioni in cui andranno perse la maggior parte delle ore di lavoro saranno l’Asia meridionale e l’Africa occidentale, dove si prevede una perdita di circa il 5% dell’orario di lavoro nel 2030, cioè, rispettivamente, circa 43 milioni e 9 milioni di posti di lavoro». E l’Ilo fa notare che Gli abitanti delle regioni più povere saranno quelli che subiranno le maggiori perdite economiche. Si prevede che i Paesi a reddito medio-basso o a basso reddito siano quelli maggiormente colpiti, soprattutto perché hanno meno risorse per adattarsi efficacemente all’aumento del caldo. Di conseguenza, le perdite economiche causate dallo stress termico amplieranno l’attuale disparità economica, in particolare la percentuale di lavoratori poveri, l’occupazione in nero e vulnerabile, l’agricoltura di sussistenza e la mancanza di protezione sociale».
Anche per questo, le sfide poste dai cambiamenti climatici sono una questione importante nella ILO’s new Centenary Declaration for the Future of Work e il rapporto sottolinea «L’ampia portata delle conseguenze di queste sfide in relazione Agenda 2030 dell’Onu», in particolare per quanto riguarda «gli effetti dello stress termico a livello economico, sociale e sanitario che potrebbero ostacolare la lotta alla povertà e la promozione dello sviluppo umano e, di conseguenza, la realizzazione della maggior parte degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. (Sdg) delle Nazioni Unite».”
La Saget, direttore dell’unità del dipartimento di ricerca dell’Ilo e una delle principali autrici del rapporto, ha detto che «L’incidenza dello stress termico sulla produttività del lavoro è una seria conseguenza del cambiamento climatico, che causa anche altri effetti negativi, come cambiamenti nei regimi delle piogge, innalzamento del livello del mare e perdita di biodiversità. E si prevede un aumento della disparità tra Paesi a basso reddito e Paesi a reddito più elevato e un peggioramento delle condizioni di lavoro delle persone più vulnerabili e spostamenti forzati. della popolazione. Per adattarsi a questa nuova realtà sono urgentemente necessarie misure appropriate da parte di governi, datori di lavoro e lavoratori, incentrate sulla protezione dei più vulnerabili. Lo stress da caldo interesserà milioni di donne, che costituiscono la maggioranza dei lavoratori nell’agricoltura di sussistenza, e di uomini, che sono la maggioranza dei lavoratori nel settore delle costruzioni. Lo stress termico può anche causare un aumento della migrazione, a causa del maggior numero di lavoratori che andranno via dalle zone rurali in cerca di un futuro migliore».
Il rapporto chiede di «Raddoppiare gli sforzi per approvare, finanziare e attuare politiche a livello nazionale per mitigare i rischi di stress da caldo e proteggere i lavoratori. La promozione di infrastrutture adeguate e lo sviluppo di sistemi di allarme rapido per far fronte ai fenomeni termici, nonché il miglioramento dell’applicazione delle norme internazionali del lavoro, in particolare nel campo della sicurezza e della salute nel lavoro, al fine di promuovere la formulazione di politiche che permettano di far fronte ai pericoli causati dal cado».
L’’International Labour Organization conclude: «I datori di lavoro e i lavoratori possono svolgere un ruolo essenziale nella valutazione dei rischi e nell’adozione di misure appropriate sul luogo di lavoro, in modo che i lavoratori possano continuare a svolgere il proprio lavoro facilmente in situazioni di temperature elevate. I datori di lavoro dovrebbero fornire acqua potabile e offrire programmi di formazione sul riconoscimento e la gestione dello stress termico. Il dialogo sociale può essere uno strumento primario per raggiungere un consenso in merito ai metodi di lavoro più appropriati in ambienti interni o esterni, l’adeguamento dei programmi di lavoro, l’uso di abbigliamento e attrezzature, l’uso di nuove tecnologie, la creazione di luoghi situati in zone ombreggiate e la realizzazione di pause sul lavoro».