Fao, coi cambiamenti climatici siccità sempre più diffusa in Medio Oriente e Nord Africa
«Dobbiamo passare dalla risposta alle emergenze a una politica più proattiva e a una pianificazione a lungo termine per ridurre i rischi e creare maggiore capacità di recupero»
[18 Giugno 2018]
Mentre il ministero dell’Ambiente informa che oggi «siamo in piena emergenza» desertificazione, con un quinto dell’Italia a rischio, potrebbe essere utile dare un’occhiata a cosa sta già accadendo a poche centinaia di miglia dalle nostre coste, al di là del Mediterraneo, dove la siccità è già una costante compagnia. A offrire una nuova prospettiva è la Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), che insieme al Water for food daugherty global institute dell’Università del Nebraska ha appena pubblicato un rapporto su come la siccità venga percepita e gestita nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa.
La regione non è solo particolarmente soggetta alla siccità, ma è anche una delle zone più povere d’acqua al mondo, con il deserto che costituisce tre quarti del suo territorio; e anche se la siccità è un fenomeno familiare nella regione, negli ultimi quattro decenni, è diventata più diffusa, prolungata e frequente, con tutta probabilità a causa dei cambiamenti climatici.
Tuttavia, ancora oggi si pone troppa attenzione a riprendersi dalla siccità piuttosto che ad esservi meno esposti, con finanziamenti insufficienti, poca preparazione e scarso coordinamento, che rimangono limiti enormi da superare: le inadeguate capacità tecniche, amministrative e finanziarie del Vicino Oriente e del Nord Africa per affrontare la siccità rendono gli agricoltori e i pastori – i primi e maggiormente colpiti dalla siccità – ancora più vulnerabili.
«Dobbiamo percepire e gestire la siccità in modo diverso e passare dalla risposta alle emergenze a una politica più proattiva e a una pianificazione a lungo termine per ridurre i rischi e creare maggiore capacità di recupero – spiega Rene Castro, assistente direttore generale della Fao, del dipartimento Clima, biodiversità, terra e acqua – Il rapporto valuta le lacune nella gestione attuale della siccità e fornisce una solida base per aiutare i governi a ripensare le politiche e riformulare i piani di preparazione e di risposta offrendo soluzioni che tengano conto del contesto specifico di ciascun paese».
Sono 20 gli Stati osservati per la redazione del rapporto, compresi alcuni molto vicini alle nostre coste e/o di grande rilevanza nei flussi migratori in corso verso l’Europa: si va dalla Libia alla Siria, dall’Algeria all’Egitto, dal Marocco al Sudan, dalla Tunisia allo Yemen.
In questi paesi la siccità è particolarmente costosa anche dal punto di vista economico, e può compromettere gravemente il settore agricolo. Nel Marocco del 1994, ad esempio, la siccità ha portato alla caduta del 45% del Pil agricolo, e dell’8% di quello nazionale, mentre l’ultima siccità in Nord Africa (nel 2015-2016, una delle peggiori degli ultimi 900 anni) ha colpito tutti i paesi e causato un calo significativo della produzione cerealicola in Algeria, Morocco e Tunisia. La Siria invece è stata colpita dalla siccità ogni due anni nell’ultimo mezzo secolo, contribuendo indubbiamente all’esacerbarsi delle tensioni sociali nella regione, poi deflagrate in un sanguinosissimo conflitto e nella conseguente fuga di migliaia e migliaia di migranti.
Cos’è possibile fare, dunque? Anche in questo caso, spiegano dalla Fao, prevenire è molto meglio (e molto più economico) che curare. Ad oggi fornire assistenza alimentare di emergenza, accesso all’acqua, foraggio e creazione di posti di lavoro sono gli approcci più comuni adottati dai governi della regione nel sostenere le popolazioni colpite dalla siccità: si tratta di interventi essenziali per salvare vite umane e alleviare la fame, ma hanno diversi limiti in quanto non aiutano le popolazioni vulnerabili a diventare più resistenti agli shock futuri.
Il rapporto Fao sostiene dunque che è essenziale sviluppare e attuare politiche nazionali di gestione della siccità coerenti con gli obiettivi di sviluppo dei paesi e creare sistemi di allarme preventivo. Raccomanda così di diffondere tecnologie per combattere la siccità e sostenere politiche e incentivi per utilizzare razionalmente la terra e le risorse idriche, di coltivare colture resistenti alla scarsità d’acqua e a rapida maturazione, oltre ad incoraggiare metodi avanzati di irrigazione (compresi l’irrigazione a goccia e a spruzzo); anche le pratiche tradizionali di allevamento di bestiame – mantenere bassi i tassi di allevamento e pascolare le mandrie quando il foraggio è basso – possono ridurre il rischio di sfruttamento eccessivo dei pascoli e degrado del terreno, mentre le attuali politiche agricole stanno rendendo la terra più degradata e impoverita, e devono essere riesaminate per mitigare l’impatto della siccità.
Questo per quanto riguarda la prevenzione. Per il resto, ovvero per gli interventi a sostegno dei Paesi già drammaticamente colpiti da siccità e diversificazione, gli aiuti in loco e l’accoglienza dei migranti in fuga restano un contributo fondamentale per la sopravvivenza delle popolazioni coinvolte, e un presidio di umanità da parte di chi tende una mano. Con la consapevolezza che, senza adeguati interventi di contrasto ai cambiamenti climatici in corso, anche in Italia e nel resto del sud Europa la desertificazione è destinata ad avanzare rapidamente. E in un futuro non lontano potrebbe essere il nostro il popolo in fuga dal clima che cambia.