Giornata internazionale del rifugiato, Greenpeace: 21,5 milioni di rifugiati ambientali
Colpa dei cambiamenti climatici che causano modifiche ambientali, progressive o repentine
[20 Giugno 2017]
Oggi si celebra la Giornata internazionale del rifugiato, indetta dall’Onu per commemorare l’approvazione nel 1951 della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Il rapporto “Climate Change, Migration and Displacement” di Greenpeace Germania rivela che «Ogni anno 21,5 milioni di persone sono costrette a lasciare le proprie case a causa di siccità, tempeste o alluvioni. Se prendiamo in considerazione il solo 2015, si tratta di un numero quasi doppio rispetto alle persone costrette a fuggire da guerre e violenza».
Il rapporto ambientalista evidenzia che «Alluvioni, tempeste, siccità e fame possono privare le persone dei loro diritti fondamentali: il diritto alla vita, alla libertà personale, alla sicurezza, al cibo, ad avere casa, acqua, salute, educazione. Ciò rende le migrazioni correlate ai cambiamenti climatici parte del dibattito sui diritti umani. Quei Paesi, e quei gruppi sociali, che meno hanno contribuito al risaldamento globale continueranno ad essere particolarmente vulnerabili agli effetti del cambiamento del clima. Assicurare alle popolazioni colpite e ai migranti un aiuto concreto deve essere considerato come un primo passo per una maggiore giustizia climatica. Accogliere migranti che fuggono dal degrado ambientale è questione di giustizia e solidarietà. Per questo, i Paesi del Nord del Pianeta hanno l’obbligo immediato di moltiplicare i loro sforzi per accelerare la transizione dalle fonti fossili alle energie rinnovabili».
Greenpeace ricorda che «L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) ha sviluppato il concetto di “migrazione ambientale”: il cambiamento climatico porta al degrado ambientale cui contribuiscono anche altri fattori, come ad esempio lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali. Il degrado ambientale distrugge le basi materiali della sussistenza e sempre più espone le persone colpite al rischio di disastri naturali».
La degradazione ambientale è quindi il “ponte” tra il cambiamento climatico e le migrazioni. «Man mano che il cambiamento climatico aumenta . dicono a Greenpeace – aumenta anche la distruzione dell’ambiente e, con essa, la pressione alla migrazione». La definizione operativa di migranti ambientali usata dall’Oim è «Persone o gruppi di persone che, soprattutto a causa di modifiche ambientali, progressive o repentine, che influiscono negativamente sulla loro vita o sulla loro condizione di vita, sono obbligate ad abbandonare la loro residenza abituale, o scelgono di farlo, sia temporaneamente che permanentemente, spostandosi sia entro il proprio Paese che all’estero».
Greenpeace ricorda che «Non esistono dati, oggi, per accertare quante persone sono state forzate a migrare a causa del cambiamento climatico. Al tempo stesso, i fattori climatici e ambientali che causano le migrazioni sono spesso ignorati, perché è difficile isolarli dalle altre concause. In ogni caso, il rapporto ci ricorda che l’Oim e l’ Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) suggeriscono di non utilizzare il termine “rifugiato climatico” poiché rischia di sollevare attese che non possono essere soddisfatte. La Convenzione sui Rifugiati (Convention Relating to the Status of Refugees o 1951 Refugee Convention) si applica infatti solo a persone che valicano le frontiere del proprio Paese per sfuggire a conflitti o persecuzioni. La situazione dei migranti ambientali è spesso differente, anche in considerazione del fatto che il nesso causale diretto tra il cambiamento climatico e lo specifico disastro ambientale che ha causato lo sfollamento non può essere provato. Capire come colmare i vuoti normativi per meglio proteggere coloro che migrano a causa di disastri o modifiche ambientali è una delle sfide. Molti progetti di ricerca e molte iniziative politiche sono basate oggi sul comune sentire e obiettivo che la migrazione è un passo importante nell’adattamento al cambiamento climatico. L’obiettivo comune è di fornire un aiuto migliore ai gruppi di popolazioni particolarmente vulnerabili e ai migranti che fuggono dagli effetti del cambiamento climatico e ambientale. L’obiettivo è di aumentare la resilienza di coloro che abitano aree vulnerabili per prevenire migrazioni non volute e favorire quelle desiderate. Uno dei focus delle ricerche attuali è capire che opportunità può offrire la migrazione alle comunità (e agli Stati) che perdono popolazione come a quelle che accolgono i migranti».
Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia, conclude: «Eventi meteorologici estremi sempre più frequenti costringono milioni di persone nei Paesi più poveri ad abbandonare le proprie case in cerca di sicurezza. I Paesi più industrializzati e i Paesi in via di sviluppo devono lavorare insieme per trovare soluzioni concrete, sia per affrontare direttamente questi fenomeni che per sostenere e proteggere chi non ha altra scelta che lasciare la propria casa».