I disastri naturali provocano cambiamenti politici locali solo se sono insoliti o mortali
Le due ricette delle comunità democratiche e repubblicane non sono uguali ma entrambe non sono sistemiche
[31 Agosto 2020]
Secondo lo studio “Local adaptation policy responses to extreme weather events” pubblicato recentemente su Policy Sciences da Leanne Giordono e Hilary Boudet dell’Oregon State University (OSU) e da Alexander Gard-Murray dell’Harvard University, «Dasoli, i disastri naturali da soli non sono sufficienti a motivare le comunità locali a impegnarsi nella mitigazione o nell’adattamento ai cambiamenti climatici».
Invece, il cambiamento delle politiche locali in risposta a eventi meteorologici estremi sembra dipendere da una combinazione di fattori, tra cui incidenti mortali, copertura mediatica prolungata, il fatto che un evento sua insolito e la composizione politica della comunità locale. Un bel problema, visto che i climatologi prevedono che, già nei prossimi decenni, la frequenza e la gravità degli eventi meteorologici estremi continueranno ad aumentare.
I ricercatori statunitensi volevano capire come reagiscono le comunità locali e la Giordono sottolinea che «Ovviamente esiste una politica sul cambiamento climatico a livello nazionale e statale, ma eravamo davvero interessati a ciò che accade a livello locale per adattarsi a questi cambiamenti. In genere, le comunità locali sono le prime a rispondere a eventi estremi e disastri. In che modo si stanno rendendo più resilienti? Ad esempio, come si stanno adattando a inondazioni più frequenti o al caldo intenso?»
I ricercatori hanno esaminato 15 eventi meteorologici estremi che si sono verificati negli Stati Uniti – inondazioni, clima invernale, caldo estremo, tornado, incendi e una frana – tra marzo 2012 e giugno 2017 e ogni successivo cambiamento della politica climatica locale e hanno scoperto che le reazioni della politica locale dopo un evento meteorologico estremo seguono due “ricette” e la Giordono spiega che «Per entrambe le ricette, vivere un evento ad alto impatto – uno con molti morti o una dichiarazione presidenziale di disastro – è una condizione necessaria per l’adozione di politiche orientate al futuro».
Oltre a un alto numero di vittime, la prima ricetta prevedeva che la comunità colpita fosse di stampo democratico dove ci fosse una copertura mediatica mirata dell’evento meteorologico. «Queste comunità – evidenziano i ricercatori – sono andate avanti con l’adozione di politiche volte ad adattarsi in risposta ai futuri cambiamenti climatici, come costruire la preparazione alle emergenze e la capacità di gestione del rischio».
La seconda ricetta consisteva in comunità di stampo repubblicano con esperienze passate di altri eventi meteorologici poco comuni. «In questi luoghi – dicono i ricercatori – i residenti spesso non si sono impegnati direttamente in conversazioni sul cambiamento climatico, ma hanno comunque lavorato su politiche intese a preparare le loro comunità ai futuri disastri».
In entrambe le ricette, i cambiamenti nella politica locale erano abbastanza modesti e poco reattivi, come la costruzione di cesse antincendio, argini o rifugi comunitari contro i tornado. Giordono definisce questi cambiamenti politici “strumentali” ed evidenzia che «Invece di essere guidati dall’ideologia o da un cambiamento nel processo di pensiero, sono più un mezzo per ottenere un fine. Non vogliamo che nessun altro muoia a causa dei tornado, quindi costruiamo un rifugio. Non è proprio una risposta sistemica al cambiamento climatico globale».
Studiando il loro campione, i ricercatori non hanno trovato nessuna prova di una risposta politica incentrata sulla mitigazione, come le comunità che approvano leggi per limitare le emissioni di carbonio o richiedono di passare all’energia solare. E alcune comunità, dopo aver subito gli impatti di condizioni meteorologiche estreme, non hanno apportato alcun cambiamento alle loro politiche.
Secondo i ricercatori «nelle comunità che sono ideologicamente resistenti a parlare di cambiamento climatico, potrebbe essere più efficace inquadrare queste conversazioni politiche in altri modi, come l’impegno delle persone per la loro comunità o l’esistenza a lungo termine della comunità».
La Giordono conclude: «In un certo senso, non sorprende vedere comunità che hanno subito questi eventi davvero devastanti che rispondono a loro. E la stragrande maggioranza delle comunità che non sperimentano un evento ad alto impatto, c’è un modo per suscitare interesse anche in quelle comunità?
Non vogliamo che le persone debbano sperimentare questo tipo di disastri per apportare modifiche. Senza esaminare in modo specifico le comunità che non hanno subito eventi meteorologici estremi, i ricercatori non possono parlare dello stato del loro cambiamento di politiche. E’ una domanda per studi futuri».