La gestione forestale contro il cambiamento climatico
Due studi del Cnr - Isafom aiutano a comprendere gli effetti del cambiamento climatico e il peso dell'impatto antropico sulle foreste
[7 Novembre 2022]
Le foreste assorbono e stoccano nella biomassa il carbonio atmosferico, questa capacità è influenzata dal cambiamento climatico in atto. Un team internazionale guidato da Daniela Dalmonech, assegnista di ricerca del Laboratorio di modellistica forestale (Forest Modelling Lab) all’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isafom) di Perugia, ha cercato di fare luce sul possibile futuro delle foreste europee e sul ruolo della gestione forestale nel contrasto agli effetti del cambiamento climatico, analizzati con un approccio modellistico.
Alcuni dei risultati ottenuti utilizzando un modello biogeochimico forestale applicato a diversi scenari di gestione selvicolturale e climatici, sono descritti nello studio “Simulating diverse forest management options in a changing climate on a Pinus nigra subsp. laricio plantation in Southern Italy”, pubblicato su Total Environment e Agricultural and Forest Meteorology e altri nello studio “Feasibility of enhancing carbon sequestration and stock capacity in temperate and boreal European forests via changes to management regimes” pubblicato su Agricultural and Forest Meteorology. La ricerca è stata realizzata nell’ambito delle attività del progetto AlForLab (laboratorio pubblico-privato per la filiera ambiente-legno-foreste) e del progetto Isimip (Inter sectoral impact model intercomparison project), tramite l’utilizzo del modello forestale sviluppato all’interno del Laboratorio di modellistica forestale del Cnr-Isafom. Hanno partecipato ancg<he rcercatori ETH Züricho, Joint research centre, European forest institute, Fondazione Cmcc, Northern Arizona University e delle università di Bologna e di Viterbo.
La Dalmonech spiega che «Entrambi gli studi analizzano diversi scenari di gestione forestale, ponendo l’attenzione sulla possibilità di gestire più o meno intensamente – e diversamente – le foreste, a partire dal presente e fino alla fine del secolo. Le foreste sono infatti in grado di assorbire e immagazzinare carbonio nei loro tessuti a seconda di come decidiamo di gestirle».
Nel primo studio, pubblicato su Science of the Total Environment, l’analisi di 6 diversi scenari di gestione forestale, compreso uno in cui la foresta è lasciata a una evoluzione “naturale”, si è concentrata sul sito sperimentale del bacino del Bonis in Calabria, una delle piantagioni artificiali di pino laricio più meridionali in Europa. Al Cnr-Isafom evidenziano che «Foreste così a sud mostrano già un’alta suscettibilità agli eventi estremi dovuti al cambiamento climatico, di conseguenza questo studio sottolinea il ruolo chiave di una gestione proattiva delle piantagioni di pino laricio rispetto all’abbandono o alla non gestione, nella mitigazione degli impatti del cambiamento climatico. Diversi interventi, basati sul variare l’intensità e il tempo tra un taglio e il successivo, permettono di agire significativamente sul potenziale di sequestro del carbonio di questi ecosistemi fortemente antropizzati riducendo, ad esempio, la competizione tra individui e aumentandone la disponibilità idrica e di luce per i rimanenti».
Il team di ricerca ha analizzato un ampio portafoglio di interventi gestionali, disegnati specificatamente per il pino laricio, sotto due diversi scenari di cambiamento climatico e la Dalmonech spiega ancora: «I nostri risultati mostrano come cicli di intervento che privilegiano il trattamento a tagli successivi rappresentano un buon compromesso che permette di minimizzare eventuali riduzioni di capacità di sequestro del carbonio sul lungo periodo causate dall’impatto del cambiamento climatico, sostenendo ed aumentando allo stesso tempo la produzione legnosa (ben oltre il 40%), mentre la non gestione risulta essere in alcuni casi la peggiore opzione sia in termini di capacità di sequestro che di accumulo di biomassa»
e Gina Marano, dottoranda all’ETH Zürich e coautrice di entrambi i lavori e collaboratrice del Laboratorio di modellistica forestale Cnr-Isafom, aggiunge: “Per il nostro studio, ci siamo ispirati ai lavori di Paolo Cantiani, ricercatore del Crea e coordinatore di Gruppo di pianificazione forestale della Società italiana di selvicoltura ed ecologia forestale (Sisef), purtroppo recentemente scomparso, per ricreare scenari di gestione quanto più vicini alla realtà applicativa che ci hanno permesso di testare il modello in un contesto più vicino ai selvicoltori».
Nel secondo studio, pubblicato su Agricultural and Forest Meteorology, i ricercatori si sono chiesti se un aumento (o una diminuzione) in intensità e frequenza dei tagli, rispetto alle pratiche attuali, potesse automaticamente aumentare la capacità delle foreste di sequestrare e stoccare la CO2 atmosferica.
La Marano racconta che «L’indagine è avvenuta attraverso un approccio modellistico applicato su foreste centro-Nord europee sotto quattro diversi scenari di cambiamento climatico. Si sono confrontati una ventina di diversi scenari a più alta e più bassa intensità e frequenza di prelievo rispetto alle comuni pratiche di gestione. I risultati prodotti dal modello mostrano come una corretta gestione forestale porti a un miglioramento, sia in termini di sequestro che di stoccaggio del carbonio, anche per il futuro, indipendentemente dallo scenario di clima considerato».
La a Dalmonech fa notare che «Gestire più intensamente le foreste non corrisponde automaticamente però ad un aumento delle loro capacità di sequestro e stoccaggio, mentre sembra vero il contrario. Dal confronto con la gestione più comune, risulta che scenari a più alta intensità di gestione, ovvero maggiore frequenza di taglio, mostrano mediamente una diminuzione di circa il 30% in termini di sequestro di carbonio e di circa il 5% in termini di accumulo di biomassa, mentre scenari a più bassa intensità di gestione mostrano rispettivamente una diminuzione di circa il 2% e il 7%. La non gestione rappresenta – una riduzione, in termini di sequestro e biomassa stoccata, di circa il 16% e il 30% rispetto alla gestione più comunemente praticata»
Alessio Collalti, responsabile del Laboratorio di modellistica forestale e coautore e coordinatore di entrambi gli studi, conclude: «I nostri risultati mostrano anche come la gestione forestale, e il tipo di gestione che si decide di applicare nel medio e lungo termine, ha di gran lunga un impatto maggiore di quanto non lo abbia il cambiamento climatico stesso. È importante quindi analizzare con cura ogni singolo caso. La speranza è che entrambi i nostri studi siano da stimolo al dibattito in corso in tema di strategie di adattamento, mitigazione e decarbonizzazione basate sulle risorse forestali, in Italia come in Europa. La non gestione rimane certamente una opzione ma le foreste gestite possono aiutarci a ridurre maggiormente la CO2 atmosferica e quindi gli effetti del cambiamento climatico in corso».