La superficie del ghiacciaio Belvedere ha perso 60 metri di spessore negli ultimi 10 anni
Carovana dei Ghiacciai: è un hot-spot nell’hot-spot delle Alpi. Preoccupa la crescente instabilità dell’intera area
[28 Agosto 2023]
Secondo i risultati delle rilevazioni sul ghiacciaio del Belvedere, in Piemonte, nella seconda tappa della IV edizione della Carovana dei ghiacciai, la campagna internazionale promossa da Legambiente con la partnership scientifica del Comitato glaciologico italiano (Cgi), in collaborazione con la Commissione internazionale per la protezione delle Alpi (Cipra), «il ghiacciaio del Belvedere, il più grande ghiacciaio piemontese per estensione e, dopo il Miage, il secondo ghiacciaio coperto di detrito d’Italia, registra dagli anni 50 ad oggi una perdita di superficie di circa il 20%. Drammatica la perdita di volume: si rileva un abbassamento della superficie glaciale fino a 60 metri negli ultimi dieci anni (pari ad un edificio di 20 piani)».
Legambiente ricorda che «le temperature record che hanno portato, solo qualche giorno fa, lo zero termico della stazione di radiosondaggio Novara Cameri a raggiungere a 5.328 metri di altezza, possono acuire gli effetti della crisi climatica in atto che negli ultimi 20 anni. In questo contesto, la parete est del Monte Rosa ha subito trasformazioni drammatiche, sia per quanto riguarda la copertura glaciale, sia per quanto riguarda la sua stabilità in generale. Ciò ne ha compromesso la frequentazione alpinistica, soprattutto nella stagione estiva. Anche le morene si stanno destabilizzando creando seri problemi alla rete escursionistica: il Sentiero Natura non è più raggiungibile dall’arrivo della seggiovia del Belvedere, mentre il sentiero di accessi al rifugio Zamboni richiede continua manutenzione».
Inoltre, la Carovana dei ghiacciai fa notare che altri fenomeni di instabilità sono legati alla presenza o alla formazione di laghi glaciali: «Il bacino del Belvedere ha alle spalle una lunga storia di dissesti, anche di notevole intensità, dovuti alla presenza o all’accumulo – più o meno rapido ed improvviso – di volumi d’acqua che hanno ceduto in diverse fasi, distruggendo campi agricoli, impianti di risalita e piste da sci. A destare preoccupazione è il Lago delle Locce: le morene che lo contengono, per via del forte abbassamento che sta subendo il ghiacciaio del Belvedere e dei fenomeni franosi ed erosivi, stanno diventando instabili e si stanno assottigliando, con il rischio – anche in questo caso – che si verifichi un cedimento a cui seguirebbe un “effetto diga” che minaccerebbe le zone abitate».
Il ghiacciaio del Belvedere è una lingua valliva con un’area di 4,2 km² e una lunghezza di 5,8 km, situata sul versante est del Monte Rosa e alimentata dalle valanghe e dalle masse glaciali confluenti del versante: il ghiacciaio delle Locce Nord, il ghiacciaio del Monte Rosa, il ghiacciaio Nordend e quello del Piccolo Fillar. Di questi quattro ghiacciai solo quello del Monte Rosa è ancora in contatto con la lingua valliva, mentre tutte le altre fronti si sono ritirate a quote ben superiori.
Marco Giardino, vicepresidente del Comitato glaciologico italiano e docente dell’università di Torino evidenzia che «abbiamo osservato una perdita di volume preoccupante e fenomeni di instabilità che richiedono un’attenzione urgente – commenta– particolare attenzione va posta alla situazione delle morene che si deformano per la riduzione dello spessore del ghiacciaio del Belvedere. È inoltre importante monitorare la formazione di masse d’acqua sulla superficie del ghiacciaio, poiché, in caso di formazione di laghi di dimensioni importanti, potrebbero verificarsi piene glaciali improvvise, in grado di raggiungere il fondovalle. Come successo in passato con la famosa emergenza del “Lago Effimero”, il cui possibile svuotamento improvviso ha minacciato l’abitato di Macugnaga nel 2002-2003, determinando l’attivazione di un’imponente operazione di protezione civile».
Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente e presidente Cipra Italia, ha concluso: «Il ghiacciaio del Belvedere rappresenta l’hot-spot nell’hot-spot delle Alpi. Un esempio per eccellenza dell’aumento della fragilità dell’alta quota e del maggior rischio per effetto dei cambiamenti climatici. La sua instabilità ci dimostra che non c’è più tempo da perdere. Per questo continuiamo a chiedere al Governo l’approvazione del Pnacc in tempi brevi e alle istituzioni locali strategie di adattamento su scala regionale e locale per ridurre il rischio, con un nuovo approccio nell’uso del suolo, evitando di costruire dove non è necessario».