Le savane secche e le praterie immagazzinano più carbonio di quanto si credesse in precedenza

Da 20 anni nelle savane e nelle praterie più secche ci sono incendi più piccoli e ad aree meno bruciate

[3 Ottobre 2023]

Secondo il nuovo studio “Soil carbon storage capacity of drylands under altered fire regimes”, pubblicato su Nature Climate Change da un team internazionale di 20 ricercatori guidato da Adam Pellegrini del Department of Plant Sciences dell’università di Cambridge e dell’Institute for Global Change Biology dell’università del Michigan (UM), «Le savane e le praterie nei climi più secchi di tutto il mondo immagazzinano più carbonio che intrappola il calore di quanto gli scienziati pensassero e stanno contribuendo a rallentare il tasso di riscaldamento climatico».

Lo studio si basa su una rianalisi di dataset provenienti da 53 esperimenti a lungo termine di manipolazione del fuoco in tutto il mondo, nonché su una campagna di campionamento sul campo in 6 di questi siti.

I ricercatori hanno esaminato dove e perché gli incendi hanno modificato la quantità di carbonio immagazzinato nel terriccio, scoprendo che «Nelle regioni della savana e delle praterie, gli ecosistemi più secchi erano più vulnerabili ai cambiamenti nella frequenza degli incendi rispetto agli ecosistemi umidi».

Adam Pellegrini, che fa parte anche dell’IGCB Exchange, spiega che «Il potenziale di perdere carbonio dal suolo con frequenze di incendio molto elevate era maggiore nelle aree aride, e anche il potenziale di immagazzinare carbonio quando gli incendi erano meno frequenti era maggiore nelle aree aride».

Negli ultimi 20 anni, la soppressione degli incendi dovuta all’espansione della popolazione e alla frammentazione del territorio causata da strade, terreni coltivati ​​e pascoli nelle savane e nelle praterie ha portato a incendi più piccoli e ad aree meno bruciate nelle savane e nelle praterie più secche.

Secondo l’ecologo forestale e secondo autore dello studio Peter Reich, dell’Institute for Global Change Biology dell’UM School for Environment, «Nelle savane aride, la riduzione delle dimensioni e della frequenza degli incendi ha portato a un aumento stimato del 23% del carbonio immagazzinato nel suolo. L’aumento non era stato previsto dalla maggior parte dei modelli ecosistemici all’avanguardia utilizzati dai ricercatori su clima. e sostenibilità. Di conseguenza, gli impatti di buffering climatico delle savane aride sono stati probabilmente sottovalutati».

Il nuovo studio stima che ngli ultimi 20 anni i suoli nelle regioni di savana e praterie in tutto il mondo abbiano guadagnato 640 milioni di tonnellate di carbonio e per Reich «Il continuo calo della frequenza degli incendi ha probabilmente creato un vasto bacino di carbonio nei suoli delle zone aride globali che potrebbe essere stato sottovalutato dai modelli ecosistemici. In altre parole, negli ultimi due decenni, le savane e le praterie globali hanno rallentato il riscaldamento climatico più di quanto lo abbiano accelerato, nonostante gli incendi. Ma non c’è assolutamente alcuna garanzia che questo continui in futuro».

Le savane sono praterie tropicali o subtropicali, presenti  nell’Africa orientale, nel nord del Sud America e altrove, che contengono alberi sparsi e sottobosco resistente alla siccità. Il nuovo studio ha esaminato i recenti cambiamenti nelle aree bruciate e nella frequenza degli incendi nelle savane, in altre praterie, nei boschi stagionali e in alcune foreste e ne è venuto fuori che «Su 2,3 milioni di chilometri quadrati di savana-praterie aride, dove la frequenza degli incendi e l’area bruciata è diminuita negli ultimi due decenni, il carbonio nel suolo è aumentato di circa il 23%. Ma nelle regioni più umide della savana e delle praterie che coprono 1,38 milioni di chilometri quadrati, gli incendi più frequenti e l’aumento delle aree bruciate hanno provocato una perdita stimata del 25% di carbonio nel suolo negli ultimi due decenni. La variazione netta, durante quel periodo, è stata un guadagno di 0,64 petagrammi, ovvero 640 milioni di tonnellate, di carbonio nel suolo. Ciò equivale a un aumento di 0,038 petagrammi (38 milioni di tonnellate) all’anno».

Pellegrini conclude: «Nel grande schema delle cose, no, non si tratta davvero di una quantità enorme di carbonio che possa intaccare le emissioni antropogeniche che intrappolano il caldo. Ma nessuna regione – né la foresta amazzonica né le praterie delle Grandi Pianure statunitensi, né la foresta boreale canadese né dozzine di altri biomi in tutto il mondo – può da sola immagazzinare carbonio sufficiente per dare un grande contributo al rallentamento del cambiamento climatico. Tuttavia, nel complesso, possono farlo. Inoltre, ci sono diverse regioni di savana e praterie che hanno progetti di credito di carbonio nel suolo in fase di sviluppo, quindi comprendere la loro capacità di sequestrare il carbonio è importante per la regione, anche se non si tratta di un flusso massiccio a livello globale».